Fascicolo 30 – Doc. 9 – By Elio V. Bartolozzi: “Costituzione della Brigata Coduri”. (Inserimento 15 aprile 2019)

Giovanni Sanguineti “Bocci” (1914/1995) C.S.M. della “Coduri” – Costituzione della Brigata “Coduri” – Relazione di G. Sanguineti conservata presso l’Istituto Gramsci di Roma, composta da otto pagine dattiloscritte di cui due con porzioni di testo mancanti (la 010316 e la 010317) e completate dal redattore con stralci ripresi dal libro di A. Berti e M. Tasso, Storia della divisione Garibaldina “Coduri”, (ed. Seriarte, Genova, 1982) di cui Bocci era uno dei componenti del Comitato preposto alla raccolta e al vaglio delle informazioni rilasciate dai partigiani della brigata, poi divisione Coduri.

Il testo è importante perché Bocci precisa date e contorni dei singoli avvenimenti descritti. Una di queste è che Bocci s’era personalmente incontrato col maggiore inglese Gordon Lett già alla fine del mese di settembre 1943, quando accompagnò un gruppo di otto ex prigionieri alleati fuggiti, dopo l’8 settembre, dai campi di concentramento italiani e li guidò da Villa Loto (Sestri Levante), dove li aveva presi in consegna, fino nei pressi di Rossano (SP) dov’era acquartierato il gruppo comandato dal maggiore Lett – gruppo che poi assumerà il nome di Battaglione Internazionale – e, di ognuno di essi, Bocci fornisce pure le generalità.

Bocci entrò un’altra volta in contatto col maggiore Lett intorno al Natale ’44, quando s’era recato a Roma per perorare la causa della Coduri presso il Governo provvisorio, inerente al fatto che a questa formazione non erano state ancora aviolanciate, dagli alleati, provviste di alcun genere, né di materiale bellico, né viveri a lunga conservazione, né indumenti o valuta spendibile, né altre attrezzature di cui la brigata aveva sempre avuto, e aveva, urgentissimo bisogno.

Un cugino di Bocci, Giuseppe Martello (n.1932) residente a S. Vittoria di Libiola (Sestri Levante), interpellato da me il 2 marzo 2019 m’ha raccontato che a Bocci, giunto a Roma, venne chiesto di fornire prova circa provenienza e validità della supplica. Ed egli, allora, si era avvalso delle benevoli rassicurazioni fornite direttamente ai funzionari degli alti uffizi da don Carlo Grosso, canonico in S. Pietro e fratello di don Luigi, parroco della chiesa di Cavi di Lavagna dove suo padre faceva il campanaro. I due si conoscevano bene perché don Carlo si recava spesso a trovare il fratello prete a Cavi di Lavagna; dove in genere si fermava anche per alcuni giorni e volentieri s’intratteneva a chiacchierare con i parrocchiani del fratello; in special modo col campanaro e il figlio Giovanni che spesso l’accompagnava. Un’amicizia risultata ulteriormente fondamentale anche nel divenire della storia della divisione levantina.

(evb, 2019)

 

COSTITUZIONE DELLA BRIGATA “CODURI”

010311 IX  A/C                                                                                                                                   Liguria VI Zona

 Unità costituita come segue:

L’8 settembre il sergente maggiore e degli Alpini [Ndr., è lo stesso autore del testo, Giovanni Sanguineti.] si trovava a Glussici – Gora Glušići – (Fiume) con il suo reparto che attendeva in postazione i tedeschi con tutte le armi piazzate, benché a malavoglia del comandante, (fascista), ma che ligio agli ordini impartiti con il proclama Badoglio porta la Compagnia in posizione ed attende i tedeschi. Ma questi non arrivano.

Il giorno 11 settembre alle ore 17,40, arriva un fonogramma, che non so da quale fronte, di questo tenore (fra Italia e Germania è stato concluso un patto di non aggressione e che le truppe rimangano ai loro posti lasciando libero passaggio ai tedeschi che occupavano Fiume pacificamente). Questo messaggio lo trovo di dubbia provenienza ed apocrifo, perciò decido di abbandonare le armi e avviarmi verso casa mia con l’intenzione di trovare i miei amici in possesso di armi che presumo siano riusciti ad avere dai militari che prevedo abbiano abbandonato.

La ragione principale che mi ha fatto prendere questa decisione è data dal fatto che il comandante, capitano Bernasconi Fermo, ci ha fatto asserragliare in un caposaldo tenuto dalla G.A.F. cintato di reticolati, allora capii l’intenzione del comandante e al momento buono ne approfittai per svignarmela insieme ad un gruppo di alpini che mi avrebbero seguito ovunque. Difatti non mi ero sbagliato, chi è stato col comandante è stato fatto prigioniero dai tedeschi e portato in Germania.

Il giorno 12 arrivo a Trieste dove prendo un treno in partenza per Mestre e di lì a Milano-Genova ed infine il 14 mattina arrivo a casa, anzi prima mi reco da un mio amico per vedere quale fosse la quantità e qualità di armi prelevate dai vari capisaldi lungo la riviera, che come avevo preveduto erano stati abbandonati subito dopo l’armistizio. Questi mi risponde di non aver preso nessuna arma, ma sola una poca quantità di esplosivo. lo allora vado a casa e la sera stessa, in compagnia di due compagni e di un altro operaio penetriamo nel caposaldo presidiato dai tedeschi di Villa Baldini a Cavi, e asportiamo tre mortai da 81, due casse di munizioni e bombe a mano. La sera del 17 settembre, con 16 uomini che ero riuscito a racimolare nei giorni precedenti e che manifestavano il desiderio di combattere i tedeschi penetriamo in un magazzino (lasciato dal battaglione costiero di presidio non ancora conosciuto dai tedeschi), dove si trovavano circa 300 moschetti francesi e tre mitragliatrici Sant Etienne e bombe a mano, la più grande delusione li attende, vi sono i fucili e le mitragliatrici ma senza otturatori, così che non troviamo che tre moschetti efficienti e tre casse di bomba a mano S.R.C.M., e coperte. Nessuno si accorge della nostra visita e l’indomani, avuto sentore che gli otturatori erano stati nascosti dal tenente Bodo (fascista) ci mando a parlare uno già suo conoscente per far sì che ci consegnasse gli otturatori e le armi; ed altro materiale nascosto, scarpe, viveri, ecc.; ma questo non solo si rifiutava alla consegna ma inveiva contro quel patriota, e minaccia di farlo arrestare. Il giorno dopo arrivano i tedeschi e prelevano i materiali ed anche gli otturatori.

Il 25 settembre con 15 uomini, avuto sentore che militari avevano nascosto delle armi in località adiacente il caposaldo di Villa Baldini, già dal 10 presidiato dai tedeschi, decidemmo di tentare il recupero che riesce in un

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 modo brillante e così veniamo in possesso di un fucile mitragliatore Scoda, 12 fucili e due casse di munizioni per il F.M. e ventidue caricatori di riserva.

Il 27 mattino passiamo definitivamente alla montagna. Siamo in 12 dato che tre si sono fermati in città per organizzare rifornimenti e servizio di informazioni, nei giorni successivi arrivano otto inglesi che si aggregano a noi; questi sono, il Maresciallo di Marina Billj, il neo-zelandese Jon Kennedi, Daives Arturo, “Ion II“, Ion, Ion, marinaio e un australiano? Siamo in venti e non tutti armati. Intanto si forma il partito repubblichino a Chiavari e lo capeggia Vito Spiotta (che al momento attuale ha sulla coscienza più di 400 individui fucilati) una parte di suo pugno). A fine novembre 1943 ho l’informazione che Spiotta con la sua squadra di azione vuole venire a scovarci di notte. Lo appostiamo ma lui ha pensato bene a non presentarsi e così non si è fatto vivo. Il giorno di capodanno vengono 35 tedeschi e riusciamo a sganciarsi senza nessuna perdita. Rimaniamo 15 perché gli ex prigionieri inglesi tentano di raggiungere la linea francese e ci riescono. Dopo qualche tempo, metà di gennaio, date le difficoltà di avere rifornimenti viveri decidiamo di scioglierci per qualche tempo. Nascondiamo le armi e in tre, Bocci e Nagari [Ndr.,Naccari] e Pevigola [Ndr., Virgola] (attualmente comandanti della brigata) facciamo il collegamento con due altre bande, una del Boia e l’altra di Bisagno.

Siamo a metà di marzo del ’44, un uomo del Boia è ferito gravemente all’addome da un colpo di arma da fuoco ed è gravissimo. Viroglia [Ndr., Virgola] si trova lì e mal­grado il tempo pessimo e le strade impraticabili in seguito ad una forte nevicata, tenta di raggiungere con una bicicletta la nostra zona per poter, con una macchina, ad andare a prendere il ferito e portarlo in una clinica della zona rivierasca. Riesce ad arrivare e dopo mezzogiorno partiamo in tre persone da S.L. [Ndr., Sestri Levante] con un camion per raggiungere Sesta Godano, ma data la quantità della neve caduta e dopo aver tentato di passare per strade diverse e controllate da tedeschi siamo costretti a ritornare senza aver potuto dar soccorso al compagno ferito, che data la gravità della ferita il giorno dopo decedeva.

Intanto la vita a casa diventava impossibile per gli uomini ed allora daccordo con Antonio (capobanda del Boia) decidemmo di inviargli uomini a lui che non possiamo tenere, così in pieno giorno, partiamo in 17 con un camion tutti armati da Sestri Levante e raggiungiamo il Boia a Torpiana. Operazione che desta stupore nella popolazione di Sestri per laudacia con cui viene condotta. La sera stessa torniamo indietro con lo stesso mezzo io e Virgola, e dopo qualche giorno venuti a conoscenza che a Riva esisteva un deposito di viveri decidiamo di assaltarlo e di sera prima del coprifuoco in 5 uomini con un camion ci portiamo sul posto e asportiamo 72 forme di formaggio parmigiano che collochiamo in un rifugio di montagna che dopo viene distribuito alle varie banda delle zone limitrofe dato che anche loro sono in condizioni precarie di alimentazione.

Intanto per una delazione le SS vengono a conoscenza della nostra organizzazione ed operano una battuta che grazie ad un civile (sigle O.G.) riesce ad avvisarci 5 minuti prima ed ho il tempo di svignarmela (giorno 16 aprile 1944). Il 19 altra battuta, in forse circa 90 uomini circondano il paese di Barassi e puntano diretti sul luogo dove erano le armi e li asportano tutte. Ci traviamo in tre in mezzo ai tedeschi, io solo armato di pistola, e questi non ci scorgono e riusciamo a passare.

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Rimaniamo così senza armi, e tutto da ricominciare. La zona è battuta giornalmente da pattuglie di tedeschi e bersaglieri. Così siamo costretti a cambiare zona.

Poi troviamo 4 partigiani già in precedenza con noi. Ora sbandati in seguito ad un rastrellamento, che sono Gronda, Califfo, Nube e Battaglia. I primi due attuali comandanti di distaccamento.

Altro partigiano, la notte con un gruppo di animosi del luogo, assalta un altro posto di avvistamento tenuto da fascisti e vi preleva le armi e materiali.

Ci spostiamo a Iscioli e li attendiamo qualche giorno, siamo ai primi di giugno, ci vengono dati da un nostro collaboratore tre fucili 91 e un altro. Dopo qualche giorno arrivano nove bersaglieri disertori armati di fucile. Il 6 diamo l’assolto alla caserma dei fascisti in Bargone. Catturiamo 11 fascisti e ci troviamo 12 moschetti, 52 bombe a mano con fucili mitragliatori, fucili e coperte. Il giorno dopo arrivano 5 marinari italiani, della marina tedesca, armati. Siamo in 21. Preleviamo in seguito l’esplosivo della miniera di Libiola (172 Kg.) e facciamo saltare tre linee ad alta tensione, una delle quali è quella che fornisce la corrente a cantieri del Tirreno di Riva Trigoso e alla F.I.T. di Sestri Levante che rimangono ferme per altri 45 giorni.

Intanto la formazione aumenta da 21 a 30 e via, ai primi di luglio siamo in 70 tutti armati. I repubblicani sequestrano un quantitativo di farina presso un molino della zona e noi riusciamo ad asportarla, si migliora così la nostra situazione alimentare che prima era critica in quanto l’unico alimento erano le patate di cui facevamo uso e solo in misura molto ristretta. Il 9 luglio organizziamo una spedizione in Chiavari (6 uomini in divisa da repubblicani) per prelevare Spiotta, l’operazione non riesce ma non è a vuoto, preleviamo 2 fascisti armati di mitra e di pistole.

A metà di luglio diamo l’assalto ad un Bunker lungo la via Aurelia presidiato da Tedeschi e bersaglieri e vi asportiamo una Breda 37 e 7 casse di munizioni e bombe a mano, il giorno dopo scendiamo a Casarza e preleviamo dal Municipio 24 fucili, nel frattempo facciamo prigioniero il Cap. tedesco Offman comandante la piazzaforte di Sestri L., questi dopo essere stato disarmato tenta la fuga ed è freddato da una raffica di mitra. Due giorni dopo tentiamo l’assalto ad una caserma di Moneglia, dove erano una quantità di armi automatiche e però nell’attraversare la via Aurelia, al Bracco ci imbattiamo in una camionetta tedesca che apre per prima il fuoco su di noi, nel breve combattimento ne uccidiamo i componenti (5 uomini) due cap. tedeschi, un uff. della G.N. ed un soldato tedesco, l’autista muore in seguito a ferite riportate. Nel frattempo sopraggiunge un camion di truppa tedesca e si ingaggia combattimento ma il nemico, più forte in armi e numericamente ci costringe a sganciarci infliggendogli però la perdita di 7 morti, e, da informazioni avute da borghesi del luogo, 11 feriti, nostre perdite due feriti leggeri. Qui per maggior sicurezza della zona e per tagliare la strada da Sestri L. a Parma, usata dai tedeschi, facciamo saltare il ponte dei Casali. In seguito a questa azione i tedeschi e fascisti, dopo che ci siamo allontanati si portano sul posto e bruciano tutte quante le case dei civili, meno 2 ville dei repubblichini.

Avvisati da una staffetta del luogo di quanto stava succedendo, con camion ci portavamo sul posto per attaccare il nemico, ma purtroppo si

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arrivava dopo che tedeschi e fascisti si erano allontanati.

Così che delle due ville risparmiate dai fascisti si requisiva tutta la biancheria, materassi e quanto poteva essere utile e distribuito immediatamente alla popolazione del luogo rimasta senza casa. Così pure per le riserve di viveri rinvenute in dette ville.

Venerdì 20 luglio ci spostiamo a Velva.

Siamo in 120, un distaccamento si apposta sulla Via Aurelia, al Bracco, e preleva un camion tedesco carico di q 80 di farina, q 7 di vino e 170 Kg di salumi. Nel frattempo un distaccamento si sposta a Carro per meglio controllare la Via Aurelia, però in seguito a questa azione gli Alpini organizzano una puntata su Carro, e, inferiore per numero e armi, il distaccamento decide di sganciarsi e lascia 2 prigionieri e una Breda 37 in mani nemiche. Verso le ore 15 organizziamo il contrattacco e portatisi nelle vicinanze di Carro con 2 camion attacchiamo gli Alpini adunati nella piazza del paese, riuscendo a liberare i prigionieri e ricuperare le armi, infliggendo al nemico la perdita di 14 morti, tra cui un ufficiale e 32 feriti tra gravi e leggeri, 7 prigionieri, una Breda 37 e 20 fucili, sui 70 Alpini attaccanti. Nostre perdite un morto (Coduri, primo Caduto di cui per riconoscenza decidiamo di dare il suo nome alla brigata) e due feriti uno grave e uno leggero.

Dopo questi fatti la zona diventa insostenibile per il fatto che sono inviate altre truppe nelle vicinanze, e allora presi accordi con il capo di S.M. della Brigata Cichero ci agganciamo a loro e ci spostiamo nella zona del monte Penna. Un distaccamento “Scoglio” rimane nella zona di Iscioli come centro di raccolta, intanto si prelevano alpini dietro accordi e si recuperano così armi e munizioni.

Nella zona si è a conoscenza che due individui delle SS spacciandosi per partigiani, operano violazioni e grassazioni a carico della popolazione per far cadere la responsabilità di detti fatti sui partigiani, in modo da inasprirne la popolazione e metterla contro di noi.

Così che una mattina il capo di S.M. della Brigata transitante da Loto si imbatte in detti individui intenti a minacciare con le pistole alla mano un contadino per farsi consegnare viveri e soldi.

La sorpresa è tale per detti individui che all’intimazione di mani alto lasciano cadere le armi, cosicché con l’aiuto di un ex carabiniere vengano arrestati e tradotti al comando del distaccamento Scoglio che, dopo uno stringente interrogatorio si rendevano rei confessi, di tutto quanto gli era imputato e dichiaravano pure di appartenere alle SS per svolgere opera di spionaggio nella zona, il giorno dopo venivano fucilati.

Così pure sono stati giustiziati due fascisti di Campore, che nel settembre 1943 facevano arrestare un capitano inglese, fuggito da un campo di concentramento l’8 settembre, che dopo averlo attirato in casa loro con la scusa di rifocillarlo hanno temporeggiato affinché il Segretario del comune di Maissana non fosse arrivato con una squadra di fascisti e repubblicani per arrestare

il suddetto capitano inglese, che il giorno dopo veniva fucilato dagli stessi in località Sesta Godano. I suddetti delatori hanno agito in questi termini tanto per odio contro ex prigionieri inglesi quanto per ricavare le 5 mila lire che il comando tedesco consegnava a chi consegnasse o denunciasse la presenza di un prigioniero inglese.

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L’abitazione dei suddetti è stata requisita e adibita ad accantonamento per un distaccamento e i mobili e biancheria distribuiti alle famiglie a cui, in seguito a rappresaglia, perdettero ogni loro avere.

A fine luglio la formazione assume la denominazione di battaglione Coduri, si divide in tre distaccamenti, 2 al passo dell’Incisa (Monte Penna) e una al passo della Forcella (strada Rezzoaglio S. Stefano).

Il 26 agosto ha inizio un rastrellamento in forze della zona (circa 12.000 uomini) dopo una preparazione di artiglieria e mortai il nemico tenta di passare per il passo dell’Incisa credendo ormai la zona libera, ma una brutta sorpresa li attende.

Avendo le nostri armi automatiche piazzate in postazioni interrate, lasciammo passare le pattuglie di avanguardia e quando il grosso delle forze, credendosi al sicuro, si ammassa a m 150-200 dalle nostre armi, apriamo il fuoco con due Breda 37 e due fucili mitr.; a questo ricevimento il nemico si sbanda in preda al panico lanciando sul terreno 42 morti tra cui un maggiore e un numero imprecisato di feriti. Si combatte dalle sette alle 13 e poi rimasti isolati   e circondati, dato che le formazioni sui fianchi si erano rafforzate a nostra insaputa, abbiamo dovuto sganciarsi a nostra volta e rotto l’accerchiamento ci portammo sul monte Maggiorasca e nella notte abbiamo dovuto abbandonare per non essere presi in trappola dato che eravamo circondati da tre lati; di qui con una marcia di 42 ore ci siamo portati nella zona di Iscioli in perfetto ordine e senza perdite di materiali concedendo agli uomini, quattro giorni di permesso.

Perdite nostre in questa aziona due morti e cinque feriti, fra cui il vicecomandante Naccari. Durante questi giorni non si perde tempo, ai agganciano relazioni con elementi della M.Rosa e si arriva così a far passare dalle nostre file circa 200 alpini armati.

Però queste operazioni ne va il maggior merito alle compagne partigiane che lavorano in città.

Ne vanno citate in particolare modo le compagna Gina e Nica che non solo riescono [N.d.T., a procurarsi] informazioni preziosissime, ma pure a convincere elementi della M.Rosa alla diserzione. Arrestate dalle brigate nere, la prima, e dagli alpini, la seconda, riuscivano a districarsi senza compromettersi loro, né compromettere altri compagni rimasti in città.

Siamo al 1° di settembre. Riorganizzazione del Batt. che è della forza di 300 uomini il 7 settembre, e al 10 dichiarato Brigata; la Brigata rimane in zona e il 12 una nostra pattuglia in perlustrazione sulla strada Chiavari Reppia preleva tre alpini, una carretta e due muli. In seguito a questa azione gli alpini prelevano trentaquattro ostaggi nella popolazione civile e minacciano di fucilarli se non sono riconsegnati il materiale e i prigionieri. In risposta noi, venuti a conoscenza che a Frisolino era arrivato un camion e una trentina di Alpini, gli tendiamo una imboscata, al ritorno; e lasciano tre morti e un numero elevato di feriti, dato che l’attacco viene condotto a bombe a mano, nel frattempo si prelevano 34 alpini di Sestri L. da accordi presi con loro, e altri 26 presi di forza a Riva Trigoso posti di presidio a Bunker lungo la spiaggia, prelevando inoltre, 2 mitraglie e distruggendo due cannoni e uno 73/13. Il giorno dopo viene fatto prigioniero un tenente degli alpini sulla

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strada Velva-Varese L. è ucciso un sottufficiale tedesco che transitava per detta strada e che all’ intimazione di resa tentava usare le armi.

Il 19 marzo un nostro distaccamento comandato dal partigiano Riccio dà l’assalto a un magazzino vestiario della M. Rosa a Missano, sulla strada Sestri L. – Parma vi cattura un sottufficiale e sette alpini e asporta il materiale giacente. Il giorno dopo il comandante distaccamento Tigre con otto uomini in agguato sulla strada sopraddetta cattura 7 alpini, 2 carrette e quattro muli; e Riccio, da accordi presi con gli alpini ne preleva 18 con 18 muli e 6 cavalli.

In seguito a queste azioni condotte in zona controllata dal nemico viene effettuato un rastrellamento con circa 3.000 alpini e tedeschi e 180 fascisti della Brigata N. I tedeschi usarono carri armati, cannoni e mortai.

Trovatisi nell’impossibilità di affrontare tale forza anziché sconfinare dalle zone di occultammo, lasciammo passare la truppa nemica che non trovando traccia alcuna, prosegue. Solo i fascisti bruciano tre case a Nascio, compresa la canonica; e la Chiesa e diverse case a Statale, facendo razzia di viveri, bestiame e portandosi dietro 22 ostaggi.

Dopo questo rastrellamento il comando di Brigata si porta a Valletti (Varese L.) e lascia nella zona di Iscioli 3 distaccamenti (la Brigata è ora di 9 distaccamenti, dai 40 ai 50 uomini ognuno, più la S.I.P. composta da ex carabinieri e guardie di finanza, più le salmerie e le staffette) gli altri sono spostati secondo le esigenze tattiche.

Il comandante di distaccamento Gronda con 15 uomini si reca a Casarza per prelevare degli Alpini ma questi gli tendono un tranello che grazie alla perizia del Comandante riesce ad evitare e benché accerchiati riescono ad aprirsi il passo e a bombe a mano mettere in fuga il gruppo nemico, infliggendogli le perdite seguenti: 2 morti e 3 feriti gravi di cui uno decedeva il giorno dopo; nostre perdite, un ferito.

A fine settembre il distaccamento di Riccio, sul Monte Zenone, è attaccato da preponderanti forze nemiche, ma dopo due ore e mezza di combattimento “…

???????  (N.d.r.) Il completamento che segue è stato effettuato dal Redattore in quanto nel testo originario il paragrafo, dopo una serie di sette punti interrogativi, s’interrompe: c’è da ritenere che il relatore (“Bocci” G. Sanguineti, C.S.M. della Coduri) non ricordasse più come si concluse l’azione di Riccio, ma attraverso altra fonte (A. Berti, “Storia della Coduri”) si sa per certo che: …il distaccamento di Riccio riesce a sorprendere i reparti nemici che stavano tentando l’accerchiamento. E dopo i primi momenti di sbigottimento, molti di loro cercano riparo nella fuga, seguiti a ruota dal grosso della truppa nemica che, per altro, nel successivo scompiglio subiscono ingenti perdite. La loro precipitosa fuga si arresta solo dopo aver raggiunto Bargone, dove è di stanza un loro numeroso contingente”.

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Frattanto un gruppo di 70 alpini si portava a Disconesi per razziarvi viveri e bestiame; il comandante di distaccamento Saetta ne è informato e con una squadra del suo distaccamento si apposta sulla via del ritorno, e con armi automatiche e bombe a mano infliggeva al nemico la perdita di 9 morti tra cui un tenente e più di 12 feriti; rimanevano pure uccisi tre muli e un cavallo.

Intervenivano allora gli Alpini dal caposaldo di Velva con fuoco concentrato di mortai, impedendo così ai pochi uomini di Saetta di recuperare il materiale degli alpini in fuga.

Il giorno dopo il distaccamento di Riccio, nella zona di Monte Zatta, viene attaccato da preponderanti forze nemiche, che col favore della nebbia riesce a circondare il nostro presidio dove il comandante rimane ferito, ma grazie alla perizia del vicecomandante Dan, (ex ufficiale degli Alpini già precedentemente fatto prigioniero, ed ora ottimo partigiano) riesce ad aprirsi un varco tra il nemico e sganciarsi senza perdite di uomini, lascian­do però in mani nemiche sei muli e il materiale (coperte ecc.).

Prevedendo un’azione in forze nella zona di Monte Zenone si manda di rinforzo un altro distaccamento; difatti due giorni dopo il nemico tenta di prendere alle spalle le nostre posizioni, ma Tigre è informato e tende un’imboscata al nemico che gli costa la perdita di quattro uomini, un Ufficiale, 12 feriti e quattro muli morti.

Il nemico disorientato si ritira al caposaldo di Velva e due giorni dopo alle ore 16 siamo noi ad attaccare le sue posizioni ma non riuscendo in pieno la sorpresa e data la posizione favorevole del nemico con postazioni in buche protette da reticolati e da fasci di mine siamo costretti dopo pochi minuti di fuoco a ritirarci con due feriti di cui uno gravissimo.

Dopo due giorni il nemico ci invia un parlamentare per trattare una tregua, noi accettiamo l’invito e il capo di S.M. accompagnato dai commissari, si reca al Comando degli Alpini e s’incontrano col Colonnello Clerici (Ndr., Col. Policarpo Chierici, comandante degli alpini] ed altri ufficiali. Le nostre richieste sono queste: passaggio nelle file partigiane di tutto il reggimento con tutto il materiale e occupazione da parte dei nostri distaccamenti del caposaldo di Velva ed anche altre richieste che per ragioni cospirative sono segrete.

(N.d.r.) [A questo punto la fotocopia del testo in nostre mani è soltanto parziale e quindi inadatta per una trascrizione appena comprensibile. Solo per non creare un vuoto testuale si ritiene utile colmarlo con un testo stornato dal libro Storia della divisione Garibaldina Coduri di A. Berti e M. Tasso (Seriarte s.d.f. 1982 GE) perché gli autori ci hanno lasciato scritto che durante la stesura del loro libro si sono più volte consultati con i capi della Coduri (e quindi ripetutamente anche con lo stesso Bocci) da essere perciò bene informati su questi fatti.

COLLOQUI TRA I COMANDANTI PARTIGIANI E GLI UFFICIALI DELLA «MONTEROSA»  I colloqui tra i comandi partigiani e gli ufficiali della Monterosa furono almeno 5, e si protrassero, con alterne vicende, dall’ot­tobre del ’44 fino al marzo-aprile 1945. Le cause che portarono le due parti avverse a colloquiare furono soprattutto di carattere politico e strategico-militare. La Monterosa, si trovava, in quella fine di settembre, inizio d’ottobre ’44, in crisi logistica per lo spostamento di due terzi dei suoi effettivi sui fronti di guerra, e in una crisi politico-morale a seguito delle continue di­serzioni, causate dall’opera di disgregazione e dalle azioni di guerriglia da parte dei partigiani e dei loro collaboratori. I partigiani, dal loro canto, convinti che la guerra in Italia stesse per terminare e constatato che l’attività di convincimento e gli attacchi ai reparti alpini della Monterosa si rendevano sempre più proficui, ponendoli in una si­tuazione di vantaggio politico-militare rispetto agli avversari, allarga­vano sempre di più la rete degli informatori e dei collaboratori allo scopo di arrivare a convincere anche gli ufficiali, fino a livello dei comandanti di reggimento, perché passassero armi e bagagli dalla parte della Resistenza. Chi fece scattare la molla per addivenire a questi colloqui, fu l’amicizia della partigiana Eva della Centocroci col comandante del II Reggimento Alpini, col. Policarpo Chierici l’amicizia di don Giovanni Battista Bobbio, cappellano militare Coduri, col ten. Bardi, ufficiale del presidio alpino di Velva e braccio destro di Chierici. Ma soprattutto chi costrinse il Chierici ad indire incontri con i partigiani, fu la diserzione di 50 alpini di stanza Pietro Vara che, convinti dalle donne del villaggio passarono alla Centocroci, sguarnendo l’ultimo avamposto della Monterosa verso il passo di Centocroci. Il primo colloquio, voluto dagli alpini, ebbe luogo il 17-10-1944 all’osteria del Galletto di Tavarone di Maissana. Presenti al colloquio furono: Benedetto (Terzo Bellari, commissario politico della Centocroci); Roberto (Roberto Berté), ufficiale di S.M. della Centocroci); Leone, Falco (Aldo Argentini, capo dell’Ufficio Stampa della Coduri); il ten. col. Policarpo Chierici, tenenti Bardi e Bernardi per la Monterosa. Inoltre erano presenti don Olivieri, arciprete di Varese Ligure e don Bobbio. Quest’ultimo fu invitato dallo stesso Chierici che conosceva bene la sua attività di cappellano militare della Coduri e a cui lasciò il suo testamento spirituale. Il colloquio durò per circa due ore, dalle 15 alle 17. Il col Chierici impostò subito il discorso sulla necessità di evitare scontri tra italiani. Discorso pieno di retorica a sfondo patriottico, che lasciava trapelare una tattica volta a dimostrare che, dopo tutto, partigiani e alpini combattevano contro dei nemici invasori dell’Italia (tedeschi e anglo-americani). Inoltre il Chierici tendeva a dimostrare ai partigiani che, per il momento, chi aveva il sopravvento militare erano loro, gli alpini. E, quasi con tono di minaccia, presentava la loro situazione più vantaggiosa, poiché erano alleati dei tedeschi e quindi avevano un appoggio militare immediato, mentre i partigiani, per operare, dove­vano attendere aiuti dagli Alleati o rischiare con atti di guerriglia di procurarsi le armi. Gli alpini volevano in fondo essere lasciati in pace dai partigiani, con l’avvertimento che loro erano legati all’invasore ed erano i più forti. I partigiani controbattevano che loro avevano scelto di combattere per la libertà e non per la schiavitù, come facevano gli alpini. I sacerdoti presenti, don Olivieri e don Bobbio, insistevano che le parti si accordassero, che cessassero finalmente quella guerra tra italiani. Quell’incontro terminò senza un nulla di fatto, ma per non chiudere la possibilità di ulteriori incontri, i partigiani lasciarono gli alpini con la promessa di portare le loro proposte ai rispettivi comandi, per stabilire una comune linea di azione. Specie don Bobbio avrebbe accettato la proposta di non belligeranza tra i due schieramenti e a questo si dedicò instancabilmente, con visite al caposaldo di Velva e al comando della Centocroci. Ma egli come sacerdote si illudeva di poter comporre rotture ormai irreparabili. Tuttavia continuò sulla strada della “pacificazione tra alpini e partigiani fino al sacrificio della vita.  (Fine delle pagine 211 e 212 del libro “Storia della Coduri”]. 

Infatti Don G.B. Bobbio, poco dopo il Natale ‘44, nel corso di un sanguinoso rastrellamento, i nazifascisti giunsero a Valletti, devastarono e poi incendiarono il paese e la canonica. Arrestarono e portarono via il sacerdote, tenendolo un paio di giorni in carcere in completo isolamento; poi il 5 gennaio 1945, lo portarono al poligono di tiro di Chiavari e lo fucilarono, senza processo.

Al caposaldo di Velva, dopo questo secondo, vi furono altri tre colloqui tra gli alpini e la Coduri, di cui Bocci non fa cenno alcuno in questo suo scritto. Comunque, come noto, i colloqui si conclusero sempre tutti con un nulla di fatto, perché gli alpini cercavano soltanto di guadagnar tempo. Infatti lasciarono il caposaldo soltanto alcuni giorni prima della Liberazione, e quando Gronda giunse sul posto per attaccarli, la postazione la trovò completamente abbandonata.

010318

La notte dopo due nostri distaccamenti sabotavano così il ponte di Torza (sulla strada Sestri Levante – Parma) e il ponte di S. Lucia (sulla strada Chiavari – Reppia) già fatto saltare in precedenza per impedire ai tedeschi il trasporto di manganese, dalle miniere di quella zona al porto di Sestri L.

Il 16 nov. il capo di S.M. (Ndr., quindi lo stesso Bocci) della brigata in missione nella zona di Lavagna veniva a conoscenza che esiste a Lavagna un magazzino vestiario della M. Rosa, presidiata da circa 30 Alpini e un ufficiale, avvisato tempestivamente il co­mandante di distaccamento Riccio la stessa notte, con 25 uomini, si porta in Lavagna e con azione di sorpresa immobilizza le sentinelle e vi fanno prigionieri un tenente, due sottufficiali e 15 Alpini asportando 80 coperte 20 fucili un mitra, medicinali, cuoio vestiario, e sigarette, distruggendo poi il magazzino appiccandovi fuoco, distruzione completata; un’ora dopo da un apparecchio alleato che scorte le fiamme lanciava sei bombe delle quali due colpivano l’ob­biettivo. La settimana successiva sei distaccamenti scendevano due su Sestri L., uno su S. Giulia e Sorlana, tre a Lavagna.

 A Sestri sono state prelevate le fasciste repubblicane e un maresciallo tedesco. A S. Giulia è stato requisito un certo numero di viveri imboscato dai fascisti, a Lavagna i distaccamenti Riccio, Saetta, e Ciccio, attaccavano tre posti di blocco presidiati dalle Brigate Nere, facendo prigionieri 32 fascisti, distruggevano poi le liste degli accertamenti agricoli al Municipio, e distruggevano 3 camion tedeschi, attaccavano la casa del fascio distruggendone un’ala a colpi di Bazzoka, azione svolta dalle ore 0,30 alle ore 5; due giorni dopo un distaccamento attaccava il presidio del ponte di Carasco, e ne faceva prigionieri 17 Alpini e un sottufficiale asportando armi materiale e due muli, il giorno dopo Riccio, venuto a conoscenza che a Conscenti, esisteva ancora un deposito di vestiario della G.I.L. e che in serata le Brigate Nere sarebbero venute a prelevarlo partiva in pieno giorno e ne asportava tutto il materiale. 100 divise complete.

Il comandante di distaccamento Califfo si porta, in pieno giorno, a Sestri e vi cattura tre fascisti repubblichini.

Così pure qualche giorno prima faceva Riccio che facendo irruzione in un’osteria e vi catturava un altro fascista.

Il 27 novembre la squadra sabotatori comandata da Abbruzzi, appoggiati dal distaccamento Riccio e Saetta sabotavano il ponce di S. Lucia, ultimato in giornata dai tedeschi e presidiato da alpini, che dopo breve combattimento si davano alla fuga, lasciando in nostre mani una mitraglia e munizioni; intervenivano circa 2 ore dopo, ad operazione ultimata, i tedeschi con mortai e mitragliatrici ma i partigiani era ormai lontani.

Tutte queste azioni sono da aggiungere a quelle della S.l.P. che opera in città, per prelevamenti fascisti, ecc.

Il 25 novembre 3 uomini del distaccamento Sergio si recavano in pieno giorno a Sestri L. per acchiappare un fascista delle Brigate Nere, noto criminale, avvicinatolo questi, all’intimazione di mani in alto, si metteva ad urlare, allora il patriota faceva uso dello Sten ma questo si inceppava in nodo che non fu possibile giustiziare il fascista sul posto; dopo breve consultazione il patriota Piero riusciva ad assestargli diversi colpi con lo Sten sulla testa in nodo da mandarlo all’ospedale in fin di vita.

L’azione si è conclusa strada facendo, col prelevamento di un ufficiale alpini della M.Rosa.

Azioni fatte a tutto il 27/11/1944
Il Capo di Stato Maggioro della Brigata Coduri

(f.to Bocci)