Fascicolo n.2 – Doc. n.6 bis: “Promemoria lavoro clandestino 1939/45”. – Testimonianza di Edoardo Solari, ex operaio dei Cantieri Navali di Riva Trigoso, consegnata a mano nel febbraio 1976 ad A. Minetti “Gronda”.

Trascrizione:
Pro memoria lavoro clandestino 1939–1945 di Solari Edoardo (Doc.6 bis).

Certo non è facile ricordare a distanza un così triste periodo: posso solo dire che quanto circolava tra amici di tendenza diversa, tutto si fermava a rapporti verbali. Questo modo di procedere è durato fino al settembre 1943. Ai primi di marzo, negli ambienti di lavoro, si tentava la preparazione ad azioni di sciopero. Devo dire che dove lavoravo io questo non è stato possibile perché gli unici amici di cui mi fidavo – forse per le mie scarse capacità ad aprirmi agli altri senza i dovuti stimoli – erano due soltanto, e sono Bersani Carlo e Battistini Alfredo. Mentre dal primo ottenni informazioni, qualche pistola, e altro – solo dopo l’8 settembre – dal secondo nulla.
Nella mia famiglia, sentendo i miei fratelli e mio padre che non frequentava la chiesa, cercai di sapere qualcosa sul fascismo e sui vari problemi, ma scarse e allusive le informazioni avute – questo tra il 1926/30. Capii solo che mio fratello fece parte della cellula Comunista di Trigoso: con Ravera, Godani, Peri e Borgatti o Borgazzi scioltasi con l’arrivo di Busero, Domenichini e altri squadristi di La Spezia – che provocò l’espatrio in Francia di Peri, Migliori, Ravera, Poletti e altri ancora. Questo periodo dovrebbe, se lo vuole, descrivere bene l’avv. Cirenei (mi risulta che abbia tenuto nascosto in località “Casa Gin” (Comune di Molare) per parecchio tempo diversi antifascisti sestresi. Su questo problema si potrebbero esprimere bene pure Arduino Favero e Vanteri Alfredo che lavoravano ai Cantieri del Tirreno dove esisteva la raccolta del Pro Soccorso Rosso.
Arrivati alla guerra 40/45: con mio fratello maggiore sentivamo, insieme a Umberto Calosso, radio Londra, Radio Carso e la Cincinnati America – [e poi] si discuteva sulla guerra – sul fascismo. Mio fratello palesava simpatia per il sistema anglo americano, ma non gli cavavo nulla su quanto si metteva in pentola contro il fascismo. Ai primi di marzo 43, circolavano molte voci sugli scioperi e l’eventuale caduta di Mussolini. Avvertivo un certo nervosismo in mio fratello e in altri. Una sera capitò in casa mia un militare addetto al trasporto truppe proveniente dal confine Francese in sosta momentanea. Questo militare mi offrì uno stoccafisso in cambio di olio e vino. A questo soldato chiesi se si poteva avere una pistola per difesa della mia famiglia. Arrivò verso le 22 con una 9 corta e due caricatori e in cambio chiese altro olio.
Tutto lieto andai da mio fratello intento a sentire radio Londra. Alla vista dell’arma quasi svenne; gli prese una tale fifa che mi disorientò. Solo gli dissi che era cosa poco utile mettersi ad ascoltare, mettersi a repentaglio con tutta la famiglia, se poi non ci si muoveva. Da quel momento non chiesi più nulla. Arrivò il 25 luglio e si avverrò quello che si prevedeva. Per mia parte osservai ciò che accadeva cercando di incitare le reazioni degli operai dove lavoravo. Intanto si cominciò ad allargare le conoscenze: con Nicoli, Nero, Vanteri Alfredo, Poletto Guido, Menini Mario e altri, che più o meno erano interessati a questi problemi.
Premetto che dove io abitavo [a Riva Trigosto], a cento metri esisteva il Comando della 213 Costiera, e della Milizia fascista: i primi li comandava il capitano Ghiglione, i secondi il comandante De Bernardi (che credo attualmente abiti a S. Giulia), nel magazzeno nella casa a fianco – vi era ubicato una squadra addetta alla sorveglianza del ponte sul torrente Petronio che era minato. Con uno di questi, un certo Traverso di Sestri Pon. o Cornigliano, ho discusso varie volte dei rapporti esistenti tra i due corpi e lo trovai consenziente sui vari punti, tanto che l’8 settembre, mi consegna armi e dispositivo per fare saltare il ponte; e mi aiutò, insieme ad altri sui colleghi, a nascondere lungo i camminamenti le varie armi che invece dovevano essere riconsegnate al comando. Poi li vestii in borghese e se ne andarono a casa loro. Ma un agente della milizia aveva visto e l’indomani i tedeschi si ripresero quasi tutto, salvo quello che ero riuscito ad infilare nei cunicoli sotto casa mia.
Passarono molti giorni prima che ci si potesse orientare per il da farsi; nell’attesa perlustrai tutti i luoghi dove vi erano stati militari. Giunto sulla costa del Brunecato [loc. sul litorale rivano] trovai due cassette contenenti bombe a mano OTO (bombe a mano incendiarie e anticarro) e altro materiale che gettai in mare perché ritenni non dovesse essere recuperato dai tedeschi. Mentre le bombe, [messe] con mia moglie in secchi da latte [vuoti], le portammo a casa in attesa di come usare questo e altro.
E arrivammo ai primi di gennaio 44. Si parlava di organizzare una formazione (in appoggio alla già esistente Cichero) qui nella zona, e a metà Marzo si inviarono i primi, in zona Torchiano, dal Cap. Ernesto. Prima di questo, strinsi rapporti con un compagno di lavoro Minetti “Aquila”) il quale mi chiedeva se gli potevo dare delle armi per suo fratello e altri.
Parlai di questo a Vanteri Fiorenzo e Fico Italo “Naccari”, e tramite Bastian (Bernardello Sebastiano) mi incontrai a Casarza nella cantina di Massucco, con Marco Lessona, Finocchietti “Bobbio” e volli sapere come stavano le cose: si decise che avrei dato 6 moschetti e una ventina di caricatori, però queste armi non finirono troppo bene, perché questi stessi le armi le avrebbero trovate in un cunicolo sopra Trigoso, portate là da me, Naccheri e Neno. Questo episodio ritengo lo debbano precisare i protagonisti.
Prima qualche mese, assieme a Vanteri, si tenne nascosto in una stalla vicina, nutrito e curato, un polacco – o finto polacco – fuggito, così si diceva, da una bettolina. Il quale ci procurò non pochi guai. Infatti qualche mese dopo sono rientrati nella zona, diversi di Casarza, e Vanteri mi disse di rintracciarli e Naccari mi disse poi di farli rientrare a Iscioli. Arrivò pure il polacco che voleva portarmi a prelevare, assieme a Nero, il comando tedesco a Casarza. Mi rifiutai, lo tenni fermo. Naccari e Vanteri, mi dissero di farlo rientrare sullo stesso percorso che lui conosceva. Lo tenni sotto controllo, dal Nicolini seppi che scese da una auto tedesca a Trigoso, e che pure a lui aveva fatto la stessa proposta – e anche maggiori informazioni sui partigiani. Alla seconda notte, vennero prelevati Nicolini, Bellagamba e non so quali famigliari di Sanguineti su a (Basci) Barassi, e credo che questo sia stata la fase cruciale per la formazione autonoma della Brigata Coduri – imponendo l’allontanamento di quasi tutti gli anti fascisti attivi nella zona, e per qualche tempo non ebbi più contatti. Mi trasferii a Casarza, in casa Finocchietti, fino all’arrivo della Monterosa. Da lì a Cardini in casa Bonfiglio. Riallacciati i contatti, a questo punto servii molto per i rifornimenti e i passaggi; ottenni sempre da tutti ospitalità gratuita, con me gli altri. Avevamo punti di appoggio a Verici, Tassani, Libiola Caminata e Barletti.
Da casa Bonfiglio passarono Migliorini “Riccio”, Libero, e altri ancora ottennero ospitalità: Bruneri, Canella, Tato o Taro, Volpe, Zolo o Zalo, Undici e molti altri ancora di cui mi sfugge il nome. A queste famiglie si deve dare il merito della benevolenza avuta perché tutto hanno dato e nulla chiesto. Questa riconoscenza in particolare dovrebbero esternarla coloro che ne hanno avuto, specie nel periodo gennaio ‘45 fino alla calata a Sestri Levante.
Non ricordo bene come avvenne l’incontro a Verici, per l’azione sul Bracco, e quella a Tassani in casa Merlo, con Bocci, Italo e altri, sul problema del dislocamento, [del] potenziale e [del] numero postale del comando dei militari [di stanza in zona], da [poter] segnare sulle [nostre] apposite cartina.
Tramite Bobbio ottenni dalla titolare postale il numero che se non erro era 053, il resto fu eseguito. Io in particolare ero specializzato nel taglio delle comunicazioni tanto che costringemmo in poco tempo i vari Comandi a fare montare la guardia a varie linee.
Nota bene che per l’antifascismo, credo che il metodo adottato sia stato quello giusto – nessuno chieda ad altri – perché così nulla rimaneva – perché se uno veniva acciuffato non avrebbe potuto parlare di grandi cose. Questo capisco che era a livello di base, che in alto altro vi fosse, in modo che chi tirava i fili si trovava quasi sempre al sicuro. (evb)