Doc. n.11 bis: “Prolusione allo scoprimento del Cippo in memoria di Giuseppe Coduri, Scioa”. (Doc. in fotoc., comp. di 2 f., 2 p. dattil. sp. 2, s.d. e s.f.). Testim.za raccolta da Antonio Minetti “Gronda”.

Trascrizione

Partigiani, Cittadini,

a nome del Comitati Unitario di Casarza Ligure, comprendente tutti i Partiti Politici e tutte le organizzazioni e in collaborazione con l’Amministrazione Comunale, per celebrare il Trentennale della Resistenza, dando inizio a questa manifestazione, cercherò di dire alcune cose su CODURI, di cui questo Cippo ne immortala il suo imperituro ricordo. Era un luminoso mattino della primavera del 1944, un gruppo di “ribelli” (come li chiamavano i fascisti) e di banditi (come invece li definivano i nazisti) seduti sul ciglio montano ai piedi del Monte Bianco, da dove, con lo sguardo, potevano spaziare lungo tutta la vallata di S. Vittoria fino a Sestri Levante, stavano discutendo sul nome da dare alla loro formazione, di recente creatasi nella zona, quando il partigiano SCIOA (CODURI) faceva una proposta, che diceva: “per adesso non diamo nessun nome alla nostra formazione, prenderà quello del suo primo caduto!
VIRGOLA – LEONE – BOCCI – GRONDA – TIGRE – NACCARI, che assieme a SCIOA formavano quel gruppo, furono presi da un senso di indefinibile sbigottimento, del resto ben comprensibile, ma alla fine tutti furono d’accordo. Dopo poche settimane la formazione ebbe il battesimo del fuoco vero e proprio ed ebbe il primo caduto, qui, dove siamo riuniti e fu proprio lui, SCIOA – CODURI.
Era, Coduri, un cittadino francese, di natali Italiani, non soggetto ad obblighi di leva militare, che in un rastrellamento venne catturato dai nazisti e incorporato nella marina da guerra germanica. L’insofferenza di dover servire in un esercito invasore, l’affetto che lo legava alla sua terra natia, lo spinsero a disertare, e fu così che, assieme ad altri, abbandonò “armi e bagagli”, il posto e venne fra di noi. Si distinse subito per le doti di sprezzo del pericolo non comuni. E per il senso di organizzazione che era innato in lui venne prescelto per il comando di una squadra. All’alba di una luminosa mattina di Lug1io, un battaglione di alpini della Monterosa appena rientrati dalla Germania dove erano stati addestrati particolarmente per la guerriglia, con una imboscata, sorprende il presidio partigiano di Castello che per l’inatteso attacco si ritirava, lasciando nelle mani del nemico 16 partigiani e molti civili che erano stati rastrellati in paese. Veniva immediatamente avvertito il Comando della Formazione e VIRGOLA dava subito ordine di partire per CARRO. Ci appostammo lungo la rotabile che da Castello porta a Carro, decisi a tutto osare per liberare i nostri compagni e i civili rastrellati e per dare al nemico una lezione tale di cui si sarebbe ricordato per sempre. Ma per la vigliaccheria del nemico, che si servì da scudo sia dei partigiani che dei civili, non fu possibile portare a termine l’attacco che fu soltanto rimandato. La colonna nemica passò sotto di noi e si portò qui in Carro dove, dopo avere riunita la popolazione, il tenente si mise a parlare e stava arringandola con frasi come: ECCO CHE CASA SONO I RIBELLI – DEI VIGLIACCHI – DEI CODARDI – DEGLI ASSASSINI  – così fanno soltanto i gradassi quando noi siamo lontani, ma appena ci vedono arrivare se la danno a gambe abbandonando in balia di sé stessi gli abitanti del paese, ma ancor più, quei REBELLINI, lasciano al loro triste destino anche coloro che in buona fede li hanno seguiti.
Chi vi parla, assieme ad altri due partigiani valorosi che rispondono ai nomi di NUBE e di PARENTESI, ascoltarono con le proprie orecchie queste frasi, trovandosi a non più di 15–20 metri da dove venivano pronunciate. Non potevano sparare perché anche qui gli alpini si circondarono di cittadini del paese, ma appena due di loro si staccarono dal gruppo, le nostre armi automatiche cominciarono a cantare e fu questo il segnale di attacco, a suo tempo convenuto con il rimanente della formazione. L’attacco venne sferrato di sorpresa e con una violenza tale che mise lo scompiglio nelle file nemiche, fu un fuggi fuggi generale e alla fine di quella battaglia vennero liberati i nostri compagni e tatti i civili, rimasero in nostre mani 7 prigionieri, dei quali qualcuno ferito, tutti gli altri, con gli ufficiali in testa se la diedero a gambe levate lasciando sul terreno molto materiale bellico.
Fu a questo punto, quando noi ci stavamo congratulando l’un l’altro per la bella vittoria riportata, che accadde l’imponderabile! Infatti, CODURI, che alla testa della sua squadra stava rastrellando il materiale lasciato dal nemico, raggiunto da Leone stava con lo stesso congratulandosi, venne colpito alla fronte dal colpo di una raffica di mitraglia sparata da un gruppo di alpini che stavano ritirandosi. Il colpo fu mortale, CODURI, cadde riverso sotto lo sguardo incredulo dei compagni presenti e di Leone che era al suo fianco. Non era ancora morto (racconta lo stesso Leone) ma non ebbe più la forza di dire una parola; nel cadere ebbe un gesto di disprezzo rivolto al nemico – rimase con gli occhi aperti e sorridenti – con il respiro ansimante del morente, conscio della sua sorte. A braccia venne trasportato in paese ma qui giunto ci si accorse che stava morendo, eppure lui, con lo sguardo profondo e buono, guardava i compagni impotenti e allibiti che gli stavano al fianco, come a voler parlare loro per incitarli alla lotta, senza curarsi di lui, della sua sorte.
La formazione di VIRGOLA (come lui ebbe a proporre) da quel preciso momento aveva un nome, un nome fulgido e grande, un nome consacrato dal sangue del suo primo caduto – CODURI. Ed è nel suo ricordo, nel ricordo di tanti e tanti altri che lo seguirono, che oggi noi, a distanza di 30 anni dalla LIBERAZIONE, qui, davanti al Cippo che ricorda e tramanda alle generazioni che verranno, il suo sacrificio, uniti e invitti nella lotta non più armata, lanciamo un appello a tutti i partigiani e a tutti coloro che amano la libertà e la pace, di rimanere vigili e uniti attorno alle nostre bandiere e alle nostre organizzazioni, perché ancora c’è bisogno di noi, per far tacere una volta per sempre quel rigurgito fascista che tutto verrebbe travolgere e seppellire. È un giuramento, compagno CODURI che ti facciamo, accomunando a te tutti i caduti della Resistenza e ancora e sempre diciamo che “il vostro sacrificio non sarà stato vano” che seguiteremo a camminare sulla strada che ci avete indicata e tracciata con il vostro sangue, fino a che si affermi per sempre in Italia e nel mondo la LIBERÀ e la PACE per tutti.

= *La parola al Senatore Bertone – Partigiano “Walter”!  / Frase finale di Commiato: Cari Partigiani – Cittadini, nel ringraziarvi tutti per aver preso parte a questa manifestazione, a nome di tutti i componenti il Comitato Unitario di Casarza Ligure, dichiariamo la stessa terminata.

[NOTA di e.v.b.: Nel testo non viene indicato né il luogo né la data né l’oratore che ha letto questa prolusione, ma dalle parole ch’essa contiene si può evincere che è stata pronunciata nel 30° anniversario della Liberazione, cioè il 25 Aprile 1975, a Carro (SP), sulla piazza principale del paese, in occasione pure dello scoprimento del cippo in memoria di “SCIOA”, Coduri Mario, poi accertato che si chiamava Giuseppe.
La parte di testo a caratteri barrati sembrerebbe annullata o sostituita durante la lettura, ma non si è a conoscenza del testo che può averla sostituita. Inoltre c’è da tener presente che su questo avvenimento esistono altre versioni (p.e. ivi Fasc.6-Doc.10: Appunti Personali di V. Cosso) con alcuni particolari che divergono].

 

 

 

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