Fascicolo n.7 – Doc. n.15 bis: “Alpini portati in montagna” (seguito). Doc. in fotoc., comp. da 6 f., 6 p. manosc., s.d. e s.f.  Testim.za di Giovanni Agazzoni “Moschito” nato il 6.12.1920 a Cominiago (NO), raccolta da A. Minetti “Gronda” negli anni 1976/79 e scritta sul rovescio dei fogli del Doc. n.15, (Test.za di “Rango”).

Trascrizione
Azione di “Moschito” Agazzoni Giovanni
: Alpini portati in montagna (seguito)

«Era una mattina di fine settembre [’44] mi trovavo alla casa Bianca con Gronda (mi ricordo che nel momento c’era anche Virgola) quando vidi entrare un ragazzo di Montedomenico dicendo che da Balicca c’era un giovane che voleva parlare con noi poiché a Riva tre alpini volevano congiungersi con i partigiani e malgrado i dissensi di Gronda e di Virgola, scesi al punto indicato e trovai Gaggiati Domenico, che vedendomi disse come mai ero lì. Risposi che avevo portato granoturco al mulino, poi disse che lui ci si trovava per mettersi in contatto con i partigiani. Avendo intuito che il partigiano ero io e, assieme su una bicicletta, scendemmo immediatamente  a Riva passando il posto di blocco tedesco, sito sulla strada di S. Vittoria passando dalla via Don Toso Emanuele (allora chiamata via dei Chiodi), S. Bartolomeo e le Rocche, Gaggiati prese la bicicletta in spalla e siamo scesi a Riva Ponente dirigendosi verso Via Genova ed entrammo in casa del signor Bruzzone (poi assessore del Comune di Sestri Levante). In quell’appartamento vi era un gruppo di giovani, qui ho notato che il padrone di casa era molto preoccupato dalla mia presenza e chiesi subito dove erano i tre alpini, si fece avanti un giovane che si faceva chiamare Macario (era di Molassana, lavorava a Riva nella Todt). Il quale mi accompagnò all’inizio del Ponte sul Petronio, indicandomi il Bunker dove si trovavano gli alpini, dato che in quell’istante era suonato l’allarme aereo, Macario fuggì verso i rifugi e io pensai che era il momento di agire, e mi diressi verso il bunker, entrai e vidi che gli alpini non erano 3 ma 4, con la pistola in pugno dissi loro che ero un partigiano e sono venuto a prelevare i tre che volevano venire con me, essi rimasero allibiti, ci fu qualche minuto di silenzio, la situazione si faceva sempre più imbarazzante per tutti, poi uno mi disse ora non si può c’è pericolo, venga questa sera alle ore 20 alla trattoria del Carbonino (era in via E. Piaggio) siamo tutti d’accordo, mi tese la mano che la strinsi. Anche gli altri mi salutarono allo stesso modo. Uscii preoccupato temendo che mi sparassero alla schiena, ma camminando a passo lento e avendo percorso una decina di metri, mi rassicurai subito, pensai che c’era un alpino in più e un fucile in più. Arrivato all’altezza della farmacia incontrai Valentino (Specchio) faceva parte delle S.A.P. di città, gli chiesi se aveva l’A.B.C. del Partito, (poiché Meneghetta, Dellepiane Bruno medico della «Coduri», lo voleva leggere e mi disse se avessi incontrato Specchio di farmelo dare) di passare dopo tre giorni che me lo avrebbe procurato.
Io andai a casa mia, cenato, ritornai per l’ora prescritta all’appuntamento dal Carbonino, entrai e vidi una tavolata di soldati tedeschi che mangiavano, mi avvicinai al banco e chiesi alla titolare, Giulia Venzi, dov’erano gli alpini, mi rispose che erano nell’altra sala, apersi la porta e entrai, davanti a me mi si presentò un quadro che al momento era funereo, gli alpini non erano più 4 [ma] due tavolate tutti seduti in attesa di mangiare.
Chiusi la porta a chiave, mi levai il soprabito, misi la pistola e lo sten sul tavolo e chiesi il responsabile, si presentò un caporal maggiore, gli dissi: 1500 partigiani hanno circondato Riva Centro, ho tempo ¼ d’ora per trattare con voi, se entro tale termine di tempo non escono hanno ordine di attaccare; alle mie parole gli alpini allibirono, ma parte si alzarono in piedi, il caporal maggiore mi fece notare che il tempo da me richiesto era limitatissimo e che non si poteva nemmeno discutere, (a parte che il sottoscritto ha parlato così perché è stato preso dalla paura trovandosi di fronte ad un gruppo così numeroso rinfrancato dalla richiesta del caporal maggiore, chiesi se si poteva prendere due ore di tempo per le trattative, avuto conferma, dissi loro che dovevo uscire per avvertire i reparti (che praticamente non esistevano) così uscii e andai all’osteria di Magin (Castagnola Tomaso in via Libertà, e in seguito a [Riva] Ponente [all’osteria del] da Muleta ho fatto trascorrere 40 minuti in tutto dando loro la convinzione che i partigiani c’erano realmente.
Rientrato ho mangiato con loro una bella polenta con spezzatino, piatto da Natale per me, con la fame arretrata che avevo nello stomaco.
Ci siamo messi d’accordo che al sabato notte sarebbero venuti [30 settembre ’44] via tutti. Uscii per primo, i tedeschi erano andati via, e io andai a casa mia a dormire, l’indomani mattina raggiunsi Iscioli e dissi Gronda che gli Alpini del presidio di Riva venivano tutti con noi però per forza di cose dovevo portarli verso Moneglia in quanto a farli passare nella Valle del Gromolo era pericoloso dato che esistevano gli Alpini da Barattieri Alpini e tedeschi a Villa delle Pesche in Sara e i tedeschi nelle vicinanze di Villa Zarello e ho pregato che mi desse in aiuto Rango che lui era pratico dei distaccamenti nemici dal versante di Moneglia, ed era più facile far passare il reparto da quella zona che da quella su citata. Era il 30/9/44 giorno di sabato, scendo con il compagno Rango e arriviamo a Trigoso in casa mia. Ed è qui che dissi al compagno di aspettarmi a Moneglia all’imbocco della galleria che sarei arrivato con gli Alpini, e ci lasciammo coadiuvati dal gruppo S.A.P. di Riva gli Alpini lasciarono i bunker e si portarono all’imbocco della galleria, qui con il compagno Bottari Enrico partigiano King arrivammo a Moneglia con gli Alpini, purtroppo data l’ora tarda, «Rango» non c’era più, e io mi misi in testa alla colonna e King la chiudeva. Mi inerpicai sulla collina in mezzo agli uliveti, dopo una ½ ora di marcia vedo il chiaro dentro un rustico, busso la porta, sento dire chi è, partigiani rispondo, aprite, ho bisogno di parlarvi, la risposta è negativa, non apro a nessuno, io gli rispondo che se non avesse aperto gli avrei fatto saltare il casolare, allora la moglie disse al marito carogna apri e così che mi si presentò un uomo con il volto terrorizzato che tremava come una foglia, io le misi una mano sulla spalla dicendo ma siamo tutti partigiani non abbiate paura siamo mica fascisti, preso da parte chiesi l’itinerario da fare senza incappare nei distaccamenti nemici, la strada me l’insegnò giusta e io sbagliai e camminavo verso la Bottigliona, è stata una vera fortuna che incontrai la zia Rango, la quale mi mise al corrente che la Bottigliona era occupata dai tedeschi, mi mise al corrente dove poter nascondere gli Alpini, i quali li ho sistemati in due baracche e mandai a chiamare Rango il quale si presentò con un altro non ricordo se era Braccone, Lupo, oppure il fratello di Rango, a loro lasciai gli Alpini e tornai a Riva con Bottari per ritirare la stampa da Valentino, senonché incappai nel rastrellamento che i tedeschi e i fascisti avevano iniziato e mi rifugiai in un buco nel cortile di casa mia e mandai una staffetta da Virgola per avvertire che gli Alpini erano al sicuro e al mattino seguente arrivai a Iscioli che gli Alpini condotti da Rango erano appena arrivati. Bottino 27 uomini e 27 fucili dei quali 10 semiautomatici, 3 machinenghewer e 3500 colpi.

Alla conclusione dell’operazione la Signora Venzi Giula e Macario sono stati arrestati e condotti a Castiglione Chiavarese, il comando Alpino voleva sapere da loro chi era l’uomo del soprabito, cosa che nessuno dei due poteva dirlo poiché non ero conosciuto da loro, in più presero numerosi giovani che in parte portati in Germania. [La signora Gai e Macario vennero rilasciati dopo una quindicina di giorni di detenzione].  (evb)

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