8 Poesie contro la guerraNOI IMPLORIAMO LA PACE PER L’INTERO MONDO
E FORTE GRIDIAMO:
“SALVATE I BAMBINI DAL MOSTRO DELLA GUERRA !!!”

 

Elio V. Bartolozzi: marzo 2022: Preambolo alle 8 Poesie contro la guerra” riportate sotto.

Già il Simbolo sopra riprodotto e lo scritto che lo accompagna dicono tutta l’avversione che nutro contro qualsiasi tipo di guerra. Lo dicevo già nella premessa della loro prima comparsa avvenuta sul mio sito dopo i tragici eventi dell’11 Settembre 2001. Premessa che provoca ancora oggi giusto gli stessi sentimenti d’indignazione e di ripulsa di allora pur essendo mutati i protagonisti. 

PREMESSA del settembre 2001:  I tragici eventi dell’11 settembre 2001 m’hanno fatto inorridire; e sento di non possedere più quella convinzione che in passato ho sempre avvertito: l’odio e il rigetto quasi fisico nei confronti delle guerre. Qualunque guerra, non solo quelle cosiddette “imperialiste” o di “conquista”, ma anche le cosiddette guerre “giustizialiste”. Ciò che ho visto e  che m’è toccato vivere durante il secondo conflitto mondiale, ha sedimentato in me tali e tanti motivi di ripulsa contro “le guerre” che mai avrei immaginato di dover porre un giorno in discussione ciò di cui ero arciconvinto: la guerra, qualunque guerra, può essere evitata purché lo si voglia: basta solo l’intelligenza e la buona volontà per non volerla scatenare.

Qualche sussulto questa convinzione l’aveva già subito ma l’11 settembre è successo un fatto irrimediabile. Non ci si può sedere alla scrivania e far finta di niente. Non si può giustificare l’ingiustificabile: i quasi tremila morti accertati e l’imprecisabile numero di dispersi sono un’entità di cui non si può non tener conto se non si vuole porre sullo stesso piano vittime e assassini.

Non so se i bombardamenti dell’Afghanistan siano stati poi una risposta appropriata oppure no, ma non me la sento di obbiettare, né di negarne in certo senso la legittimità. Sono quelli che hanno sferrato quell’inaudito attacco alle Twin Towers, piuttosto, che dovranno porsi un’infinità di domande. Una potrebbe essere questa, per esempio: come pensano di poter ricevere il plauso del mondo civile se per primi, con la loro spregevole e delittuosa impresa, sono riusciti a far accettare l’idea della guerra “buona” e quindi “giustificabile”, anche a coloro che in linea di principio ne erano stati da sempre strenui oppositori? Dio voglia, tuttavia, che tutto ciò non si tramuti in una guerra tra civiltà diverse o, peggio ancora, in una guerra tra religioni diverse.

Invocazioni che purtroppo mi sono risalite alle labbra anche in questo inizio 2022: durante il quale, nel mezzo d’una pandemia globale da lasciarci bell’intontiti, come sospesi, un’altra guerra (terribile! piena di morti tra cui migliaia di bimbi! e centinaia di città rase al suolo!) ci coinvolge e ci sta massacrando nel di dentro, rendendoci inermi e vuoti come conchiglie sospinte a morire lungo le riarse battigie. 

 

(Poe. 1)

AVVERSO A NOI IL TEMPO

                             (Ai miei compagni d’infanzia)

Avverso a noi il tempo e brevi
i giochi dell’infanzia. Pochi
        i sorrisi sui volti della gente.

I corpi dei giovani ribelli trucidati,
accatastati su carri trainati da buoi.
        Le giubbe intrise tutte di sangue…

… e l’urlo delle vedove che s’alzava
dalle case oscurate.
         E sui bimbi tremanti.

Nessuno che più badasse noi ragazzi,
se non quando nell’aria ruggivano proietti.
        Ma solo per coprirci gli occhi coi lembi del grembiale.

La morte incombeva su tutto e su tutti
e sui soldati che c’insegnavano sconcezze…
        e spiare gli amanti arrotolarsi nei canneti.

Ed ora m’indigno e vergogno di me e di voi,
o panici mostri della mia infanzia…
           e delle guerre che ho imparato a odiare.

 

                                                                                            

(Poe 2)

L’EMBLEMA DEL XX SECOLO

Distese bianche di croci
ad emblema del XX secolo:
e noi, tu ed io,

da sempre avversi
ai biechi
fautori delle guerre,

ad alzare parole
che tra i denti
si sgretolano.

Poeta, mio amico carissimo,
ma lo sai che il nostro grido
forse non giunge all’altezza

del tetto più basso?

 

 

(Poe. 3)

I BOMBARDAMENTI AEREI SULLA MIA CITTÀ

… E per noi, intanto,
che allora
non eravamo ancora uomini,
la vita già era una voragine
di voci mute.

La paura
il terrore
è scolpito
nei loro occhi
smarriti.

Fuggono,
hanno paura:
tutti fuggiamo.

Strillano i bimbi
pregano i vecchi,
mentre su tutto
(tra lancinanti stridii)
s’avventa lo stormo.

Poi un boato
assordante,
uno schianto:
un vortice
d’aria impazzita
c’ investe…

Poi, tra fiamme,
stridori
e ammassi roventi,
crollano case…

e con loro, 
ogni
nostr’altra cosa
là dentro!

Poi fumo:
una nuvola nera,
densa, pesante
ci soffoca
e c’impedisce la vista.

Poi pianti, lamenti,
richiami accorati…

Tra cui molti
destinati a restare
(per sempre)
senz’alcuna risposta.

 

(Poe. 4)

LA MIA LOTTA

            (Assistendo alla proiezione del film “Il dittatore folle”) 

È terribile!
Le immagini                                       
che scorrono 
atroci sullo schermo,
riflettono
i più obbrobriosi
mali dei popoli!

         Ah! e riecco i vili
         squadroni della morte
         a puntare le armi
         persino contro le esauste
         tempie degl’infermi
         riversi sui selciati;

         e quell’ossesso che s’erge
         sopra i palchi a urlare
         parole intrise d’odio,

          mentre altre sevizie e morti
          incombono sui ghetti, dove,
          ormai larve, gli Juden

          piombano a terra,
          invano sperando solo
          in un ultimo afflato
          di cristiana fratellanza
          …         …         …
          e poi il passo cadenzato della ronda
          che giunge da lontano
          come un micidiale sibilo di morte,

          e i feroci calci sferrati
          contro i ventri
          gonfi delle gravide,

          e gli innocenti gridi
          delle tante Anne Frank:
          implumi rondini trafitte   

         … lungo la loro
         appena iniziata
         trasvolata della vita.

E poi..? e poi cataste di macerie
alte come monti;
fumo dalle case divelte, fuoco. 
Fuoco che lambisce ogni cosa,
distruggendola. Brucia
l’intima pace delle case,
le suppellettili, il letto:
sul quale, forse,
quell’uomo
sepolto sotto le travi
crollate del suo stesso tetto
ebbe per la prima volta
la sua donna, che ancora
si stringe tra le braccia.

          Mein Kampf! Mein Kampf!
          Cadaveri.
          Corpi ignominiosamente
          accatastati sopra i carri.
          Distruzione!
         E così, ogni traccia d’umano
         è cancellata…

         Mein Kampf! Mein Kampf!
         Questa è la mia lotta,
          urla il forsennato,
          ordinando di porre a ferro
          e a fuoco
          persino le macerie.
          Heil! Hei! Evviva!
          gli rispondono in coro,
          le sue orde perfide e caine.

Ma quel cadavere che ci guarda fissi,
che stringe quel poco di terra
nelle sue grandi mani serrate a pugno,
ci accusa, e ci ammonisce!
Ci accusano e ci ammoniscono
i suoi occhi spalancati,
scolpiti nel terrore.
Ci accusano e ci ammoniscono
le case distrutte, i muri atterrati:
i sassi stessi, scheggiati
e anneriti dal fuoco come sono!
Ci accusano e ci ammoniscono
gli sguardi atterriti
di quell’inerme gruppo di bambini
con le mani alzate, ignobilmente
perquisiti dai soldati. Ci accusano
e ci ammoniscono. E ci umiliano!
o uomo del mio tempo!

          Mein Kampf! Mein Kampf!
          La mia lotta invece è:
          PACE! Pace per tutti noi… 
                                 Ma in quanti siamo?

 

                 Gruppo di donne in un lager nazista

(Poe. 5) 

NOI NON SAPPIAMO  

Noi non sappiamo. Spento il fuoco,
nel gelido antro d’una grotta ostile
imperversa il nuovo fortunale:

                      Sparta annientata dagli opliti!

Anche la nostra città,
è oggi un oscuro fortilizio
dov’è bandita ogni ideologia
che possa distrarci dalla guerra,
o che possa, in qualche misura,
contrastarne il suo potere.

Invero, noi però non sappiamo ancora,
se quando il cipiglio delle opposte schiere
sarà scemato, potranno sempre esistere
viali su cui poter, io e te,
chiacchierare, mano nella mano,
dei nostri particolari,

                       intimissimi segreti.

E così mi sei apparsa in sogno,
o mia dolce beatitudine,
ma eri lontana e non ti giungevano
le mie invocazioni disperate.

Intorno a noi non v’erano più orti,
né sentieri, né teneri virgulti.
E anche il mare, oltre il molo derelitto,
era un limo di sangue raggrumato
contro le decrepite murate; e i malfermi,
dischiodati bordi delle chiglie.

Su questa terra ormai solcata soltanto
da voragini, cresceva a dismisura in me
l’anelito, l’impulso estremo
di raggiungerti: ma i nostri due atolli
erano sospinti sempre più lontani
da una vorticosa e inarrestabile deriva.

Ormai al mondo non esisteva altro dio
che il vento. Nelle bisacce,
il nostro pane aveva fatto i vermi,
l’acqua marcita:

                           e sui cadaveri insepolti,
neanche il più misero dei ceri, ardeva.

                       

 (Poe. 6) 

 LA BUONANOTTE

          Alla sera, nel bosco
          sommerso dall’ombra,
          tra i pini incupiti,
          qualcosa si muove:
          è un passo di uomo!

E l’eco risuona alta, sinistra…

           Ma quando già penso
           a fuggire,
           ecco levarsi tra i rami
           una voce
           che amichevolmente
           mi dice:
           «Buonanotte».
           E allora,
           anch’ io le rispondo:
           «Buonanotte».

           … Mentre dentro mi sale
           come un grumo d’ira,
           per le paure della guerra
           che in me

 tanto tardano a svanire.

                                                        

(Poe. 7)

E IN ME RIECCO NITIDO

Da più parti si va strepitando
che su noi gravino, di nuovo,
immanenti pericoli di guerra:
la terza! E forse,

e forse pure l’ultima!

      …           …           …

E in me riecco nitido
lo sgomento
di quelle cene al buio
di pochi fichi
seccati
al sole di settembre.

Lo stesso
immenso
raccapriccio…

Con l’acre sapore
della terra
sulle labbra serrate
nell’ultimo gesto
che in un mondo, dove
s’è estinta ogni speranza,
sembra ancora sia concessa:

i denti conficcati nella carne
lacerata delle mani
a cercare, in estremo,
il nostro sangue.

Mio Dio, fa che questi restino
per sempre, in me, soltanto
lembi squarciati di memoria!  

 

 

                                                                                        (Poe. 8)

                                                           Vecchia cartolina della  Chiesa parrocchiale di Santa Giulia di Centaura (Lavagna GE)

                                                         

SANTA GIULIA DI CENTAURA

Al tramonto: enclave
rossa
e verdastra                                                                 
di colline;
e costoni di ripidi ulivi.

Il carminio del mare,
d’abbasso, trasale
ai fischi prolungati
del treno che rapido transita.

È una sera d’inverno,
livida, spettrale.
Una voce ormai fin quasi
troppe volte ascoltata. Crudele.

E tra le chiome del leccio annoso,
qui da sempre piantato, inamovibile,
sibila il vento: sordamente, pur esso,

come il grido strozzato
dei condannati uccisi impiccati.
Un ricordo straziante, remoto,

forse appartenente a un’era di cui
dirsi testimoni può farti sembrare
addirittura un vecchio melenso.

Ma non solo questo è mutato!
Ormai il mondo possiede, nella notte,
soltanto più luci come quelle laggiù,

lungo l’Aurelia: chiare,
elettriche, ferme. Ma all’epoca
erano assai rade e tremavano

al beccuccio delle lucerne a carburo:
e ad una folata più forte,
come un niente, morivano.

(ebv) Marzo 2022