Avvertenza preliminare: oggi nel mio archivio personale, ho ritrovato questi due inserti del quotidiano di Genova “Il Lavoro” che ho ritenuto opportuno inserire qui, quali preamboli n.1 e n.2 dell’Archivio della Coduri, con l’intento di offrire ulteriori notizie sul periodo prebellico. Infatti le varie testimonianze riportate nel Fasc. 1 dell’Archivio della “Coduri”, sono sì importanti e preziose ma piuttosto contenute rispetto agli avvenimenti che precedono l’8 settembre e l’inizio dell’evento resistenziale. Con il quale tutte le lotte operaie precedenti ben si raccordano, anche se non uniche generatrici. Inoltre, in entrambi gli inserti non viene indicato il nome dell’autore, che neanch’io posso quindi indicare. Qualora l’autore si riconoscesse e volesse essere nominato scriva pure al sottoscritto che verrà subito accontentato. Sestri Levante, 8 giugno 2017. (evb)
oooooooooooo0oooooooooooo
Preambolo N° 1: pp. 4, 5 e 6 de il “levante”; Inserto settimanale di otto pagine in supplemento al n° 147 del quotidiano genovese “IL LAVORO” del 27 giugno 1974.
Una vittoria degli operai di Riva che è storia del movimento operaio. (Premessa della Redazione). Articolo non firmato:
Una storica battaglia di classe contribuì allo sviluppo ed al consolidamento del movimento operaio sestrese dell’inizio del secolo: lo sciopero contro le macchinette ribattitrici ad aria compressa, condotto con una maturità politica e civile, con una capacità di lotta e di solidarietà e con una coscienza proletaria straordinarie per quei tempi, dai lavoratori dei Cantieri Navali di Riva Trigoso, dal 27 settembre 1906 al 18 febbraio 1907. Purtroppo questo capitolo, che tranquillamente può essere considerato uno dei più importanti della storia del socialismo sestrese, prima dell’avvento del fascismo, e può essere posto sullo stesso piano degli scontri operai del 1920 – 21 – 22 contro il capitalismo reazionario ed i suoi esecutori neri, è rimasto presente, soltanto, nella memoria di qualche vecchio compagno e nelle pagine ormai ingiallite di un settimanale socialista di quel tempo: Il Risveglio, stampato a Chiavari dal marzo 1906 al luglio 1907.
oooooooooooo0oooooooooooo
«Noi crediamo sia importante rievocare lo sciopero di Riva Trigoso del 1906, essenzialmente per due motivi:
- perché rappresenta l’inizio della presenza dei socialisti a Sestri Levante, come partito politico dei lavoratori, che tentava di aiutare «le plebi umiliate» ad una presa di coscienza dei propri diritti civili, politici e sindacali;
- perché lo scontro tra gli operai sestresi ed i Piaggio, padroni dei cantieri divampò su un tema più che mai attuale, ancora oggi: la salvaguardia della salute e della sicurezza, all’interno delle fabbriche.
Significativo e da sottolineare è che il rifiuto dei ribattitori di usare le macchinette ad aria compressa, veri e propri ordigni micidiali, allora, tenuto conto dei tremendi ritmi e tempi di lavoro (oggi il problema è in gran parte eliminato dalla saldatura delle lamiere), nei quattro mesi di lotta, non conobbe tentazioni di stampo luddista (distruggere cioè le macchine pericolose alla salute), ma venne mantenuto (e grazie ai socialisti), nell’alveo ben più serio ed impegnato dello scontro di classe.
Il terribile problema della salute dei lavoratori nelle fabbriche venne sollevato, nell’agosto del 1906, dal direttore del «Risveglio», per un gravissimo attentato alla vita degli operai ribattitori di chiodi del Cantiere Navale di Riva Trigoso, da parte delle macchinette ribattitrici introdotte da poco nella lavorazione. «Nel Cantiere di Riva Trigoso – scrive l’avv. Mariani – si è adottato da qualche anno un sistema di lavorazione che costituisce un vero, di giorno in giorno, più grave pericolo sociale. Chi passa anche solo in treno, per la borgata di Riva Trigoso in comune di Sestri Levante, luminosa negli albori di grande avvenire industriale, ode un caratteristico ticchettio, affannoso, insistente che proviene dal cantiere navale: lo producono certe macchinette per la ribattitura dei chiodi adottate or non è molto tempo. Se foste costretti a vivere 11 ore o anche più della vostra giornata con un tremolio in tutta la persona, quanti fra voi resisterebbero? La macchinetta poggiata e premuta sul petto dell’operaio compie il suo lavoro con una vicenda di picchi e ripicchi d’una celerità vertiginosa, elettrica e così tutta la persona dell’operaio riceve una serie infinita di scosse onde l’organismo non può tardare a risentire l’effetto deleterio. Fermate un operaio che da qualche tempo usi le macchinette ribattitrici, all’uscita dal lavoro, e fategli distendere un braccio; subito avvertirete, nell’uomo giovane, sano, robusto, il tremito proprio dei vecchi decrepiti o dei candidati alla nevrastenia e alla paralisi: l’operaio addetto alla ribattitura dei chiodi con tali macchinette si rovina la salute e accorcia di molti anni la vita. Alcuni sanitari da me interpellati hanno confermato il loro effetto nefasto sulla salute: oltretutto i lavoratori che si ammalano non vengono indennizzati, perché il tremolio di tutto il corpo viene considerato malattia professionale e non infortunio».
Fin dalla loro introduzione due anni prima, nel 1904 nel Cantiere di Riva Trigoso, gli operai avvertirono la potenza deleteria delle macchinette ribattitrici e nell’istintiva preoccupazione di salvaguardare la propria salute ne domandarono l’allontanamento. L’agitazione di apparenze vistose nell’impeto primitivo, doveva per la intrinseca debolezza e mancanza di un sostegno resistente, finire nel più completo insuccesso. Si ottenne sì, al momento la sospensione del lavoro con le macchinette, ma quasi subito, con quella clandestina invadenza del capitalismo di allora furono ripristinate in maggior numero di prima.
Pochi giorni prima del Congresso Nazionale del Partito Socialista il 27 settembre 1906, i 100 ribattitori dei Cantieri Navali di Riva Trigoso iniziavano lo sciopero contro l’uso delle macchinette ribattitrici che, come aveva denunciato un mese prima il settimanale socialista, arrecavano gravi danni alla loro salute. Significativo era soprattutto il fatto che la categoria degli operai ribattitori all’inizio dello scontro con il padronato non facesse ancora parte della Camera del Lavoro di Riva Trigoso e che fossero i lavoratori stessi, spontaneamente, a rendersi conto che ogni dissenso fra capitalismo e lavoro, specialmente vertendo su interessi d’importanza essenziale, per la salute e la vita di intere classi, dovesse fatalmente risolversi in uno stato di lotta e nello scoppio consecutivo di uno sciopero. La posizione che il Partito Socialista Italiano a Sestri Levante assunse nei confronti degli scioperanti fu di solidarietà totale: stretti e continui furono i contatti che i dirigenti socialisti con essi mantennero; notevoli gli aiuti morali e finanziari che per mezzo del partito giunsero ai ribattitori. Tuttavia lo spontaneismo dell’agitazione suscitò nei dirigenti socialisti una forte perplessità che sfociò in aperta critica: «Se un’accusa può muoversi ai lavoratori è appunto di aver atteso tanto. Però il dovere della lealtà ci impone di osservare che lo sciopero dichiarato dai lavoratori di Riva apparisce alquanto impulsivo e deficiente di quella solida preparazione materiale e morale onde gli scioperi vittoriosi si delineano fin da principio. Ripetiamo che la causa dei capitalisti del Cantiere di Riva Trigoso è troppo inumana e iniqua perché possa trionfare; e per la dignità della classe lavoratrice, per gli interessi ed i diritti supremi della specie sociale, vogliamo che essi non riusciranno a racimolare nei campi della fame e della bestiale incoscienza “krumiresca” vittime nuove da sostituire alle attuali. Ma ciò non toglie che lo sciopero sia contrario a quei criteri di preparazione tecnica e disciplinare organizzata e resistente, ormai accettati, come i più sicuri, nella pratica delle lotte fra capitale e lavoro. Valga questa occasione per indurre agli amici lavoratori di Riva ad organizzarsi una volta per tutte seriamente.
Alla proclamazione dello sciopero venne subito organizzata una raccolta fondi a favore degli operai in agitazione; per chiedere aiuti materiali i dirigenti socialisti di Sestri Levante tennero comizi alla Camera del Lavoro di Genova, a Savona e a Parma: durante i 115 giorni di lotta vennero raccolte lire 2066,15; intanto gli aiutanti carpentieri e i battimazza dello stesso Cantiere di Riva organizzati nella Lega Metallurgica della Camera del Lavoro avanzavano richieste di aumenti salariali, che venivano soddisfatte dopo contatti con la Direzione Generale di Genova.
Lo sciopero proseguiva da un mese quando il direttore dei Cantieri licenziava i ribattitori in agitazione: molti di loro trovarono lavoro nel Cantiere della Foce di Genova; appena i padroni dei cantieri di Riva lo vennero a sapere, con un comportamento tipico del più gretto e barbaro capitalismo dell’inizio del 900, si adoperarono affinché i loro operai fossero di là licenziati. Il 28 ottobre 1906 venne organizzata a Riva Trigoso dalla Camera del Lavoro una manifestazione di solidarietà a favore degli scioperanti. Più di 600 operai dei Cantieri Navali assistettero al comizio tenuto dall’avv. Francesco Mariani: l’oratore fece il punto sull’agitazione dei ribattitori: «I lavoratori scioperanti sono stati mossi alla resistenza ed ai sacrifici della lotta titanica – disse tra l’altro – non dal solito stimolo dei miglioramenti economici di riduzione d’orario, aumento dei salari, turno di lavoro, ma dall’alto e nobilissimo sentimento di amore alla vita onde solamente le classi più evolute e civili sono capaci. Lo sciopero dei ribattitori così rappresenta tutta una protesta formidabile contro il disprezzo e la criminosa trascurarla della salute dei lavoratori che caratterizzano l’attuale sistema di produzione capitalistica. L’opificio industriale, il laboratorio e l’officina sono diventati altrettanti campi di morte per i miseri lavoratori costretti a lasciarvi di giorno in giorno a brani la propria salute. Ma gli operai addetti qui al Cantiere di Riva Trigoso alla ribattitura dei chiodi con le micidiali macchinette ad aria compressa hanno gridato forte in faccia al capitalismo omicida che preferiscono la disoccupazione e la miseria all’assassinio di se stessi, delle famiglie e della classe intera con quel genere di lavoro». Al termine del comizio, nei locali della Lega falegnami, molti operai si iscrissero alle loro leghe, già costituite, e alla Camera del Lavoro e molte categorie di lavoratori, che ancora non erano costituite in leghe, s’impegnarono a preparare le liste e ad aderire alla Camera del Lavoro.
Alcuni giorni dopo gli operai ribattitori in sciopero facevano affiggere sui muri della città questo manifesto:
«Compagni,
è questo il grido che noi ribattitori emettemmo il giorno 27 settembre u.s. intraprendendo la lotta contro la S.E.B. cantiere Navale di Riva Trigoso, e questo è il grido che da due mesi ripetiamo ai nostri padroni e ripetiamo finché non manca l’aiuto, il plauso, l’incoraggiamento di tutta la classe lavoratrice. L’industria metallurgica ne risentirebbe danno di tale abolizione? Niente di tutto ciò. L’applicazione di queste macchinette non è stata effettuata nei regi arsenali, né tampoco nei Cantieri Odero, Ansaldo, né in quelli di Palermo, d’Ancona, pochissime al Muggiano; soltanto la esclusiva avidità dell’azionista affamatore e omicida ha voluto introdurre in questo Cantiere il triste strumento. In un abboccamento avuto il direttore da cui dipendiamo, ci riferì l’impressione dei suoi viaggi – inchiesta all’estero, dove trovò sorprendente che colà si vuol fare sciopero per volere il rovescio di quello che vogliamo noi. Non vogliamo mettere in dubbio la buona fede dell’egregio nostro direttore, ma non volendo questi ci confessò che all’estero i ribattitori guadagnano il minimo 30 lire giornaliere pari al quintuplo del massimo della nostra mercede giornaliera!
La lotta, lotta di sacrifici e di stenti che noi combattiamo, non è come ripetiamo per l’ennesima volta, una lotta economica di fronte a cui si può curvare la schiena, piuttosto che gettare sul lastrico o nella prigione una massa di operai, ma una lotta contro ciò che costituisce un pericolo prossimo, e che noi fortemente sosteniamo in nome del diritto di vivere, in nome di tutta l’umanità, in nome delle nuove generazioni.
Di fronte alla cinica risposta del direttore, il quale alle nostre domande ci rispose che aveva fatto venire un compressore nuovo, noi risponderemo mercé la vostra solidarietà morale e finanziaria che, del nuovo compressore ci comprimeremo la prepotenza degli sfruttatori e dei macellai di carne umana!
Salute e cordialità, i Ribattitori Scioperanti».
Sul fronte dello sciopero di Riva Trigoso si registravano intanto alcuni tentativi del padronato per sconfiggere i ribattitori: dopo aver cercato inutilmente krumiri in tutta Italia, la direzione del Cantiere inviò un capo operaio (da allora soprannominato spregiativamente dagli operai “il tedesco”) in Germania per reclutarvi mano d’opera. Il Partito Socialista di Sestri Levante prontamente per mezzo dei giornali socialisti Il Lavoro e L’Avanti! Lanciava al Partito Internazionale il seguente appello:
«Al Partito Internazionale.
A Riva Trigoso gli operai ribattitori del Cantiere Navale, per ottenere l’abolizione delle micidiali macchinette ribattitrici sostengono da oltre due mesi uno sciopero eroico. La Direzione del Cantiere impotente a trovare in Italia lavoratori disposti a tradire la causa dei propri compagni e fratelli – che intendono rivendicare il diritto alla vita e alla salute per tutti – ha rivolto i propri tentativi di krumiraggio in Germania. Ci ripugna il semplice sospetto che tra i forti lavoratori tedeschi e stranieri in genere possano trovarsi dei malvagi o incoscienti capaci di commettere tale vergogna fratricida.
Noi scongiuriamo il Partito e il proletariato di tutte le nazioni a boicottare, fino a lotta definitiva il Cantiere Navale di Riva Trigoso (Provincia Genova) contribuendo con ogni sorta di aiuti materiali e morali, al giusto trionfo degli scioperanti».
L’appello dei socialisti sestresi venne raccolto dai lavoratori tedeschi e la direzione del cantiere non trovò in Germania un solo operaio disposto al krumiraggio. Il padronato cercò allora di provocare uno scontro tra gli scioperanti ed i lavoratori degli altri reparti e caricò sui ribattitori tutta la responsabilità della situazione. Alcuni piroscafi impostati sugli scafi dovevano, entro poche settimane, essere sottoposti alla ribattitura dei chiodi; mancando i ribattitori la Direzione pose agli operai delle altre categorie questa alternativa: «O voi provvedete anche alla ribattitura, o noi, a causa della resistenza degli scioperanti dobbiamo chiudere il cantiere buttandovi a spasso». Gli operai al lavoro dovevano quindi scegliere tra il krumiraggio e la prospettiva di un licenziamento in blocco: in massa respinsero l’odioso ricatto, anche se un esiguo numero di lavoratori cercava di convincere gli scioperanti a riprendere il lavoro. Venne addirittura convocata una riunione, il 24 dicembre, a Trigoso per farli desistere dalla lotta, ma i socialisti presenti riuscirono a sventare la manovra palesemente ispirata dai padroni del Cantiere. Gli operai in agitazione tramite la Camera del Lavoro ed il Partito Socialista sollecitarono l’arbitrato del Prefetto, del sottoprefetto, del Sindaco e perfino del delegato di P.S., dichiarandosi disposti a subire visite competenti di medici e di igienisti e a discutere per la modifica delle macchinette, che attenuasse gli effetti malefici del loro uso. Le autorità chiamate in causa al momento si disinteressarono completamente della grave situazione cosicché la Commissione Esecutiva della Camera del Lavoro fece sapere che visto l’atteggiamento preso dalle Autorità nelle ultime fasi dello sciopero, atteggiamento veramente dichiarato dalla parte dei padroni, declinava qualunque responsabilità su quanto avrebbe potuto succedere.
L’attività del Cantiere era semiparalizzata con tutte le navi sugli scali da ribattere ed allora la Direzione del Cantiere proclamò da lunedì 7 gennaio 1907 la serrata: era l’invito allo sciopero generale.
Mercoledì 2 gennaio in un’assemblea di oltre 400 dei mille operai del Cantiere (tutti minacciati di licenziamento) si chiedeva la liquidazione dei cottimi non oltre il mezzogiorno di sabato 5. Generale riprovazione ebbe sulla stampa l’atteggiamento padronale: «Il Lavoro», «L’Avanti», «L’Azione di Parma» presero posizione a favore dei lavoratori.
Sabato 5 come stabilito tutti gli operai del Cantiere abbandonavano il lavoro a mezzogiorno: rimanevano a lavorare solo gli operai delle officine meccaniche dipendenti da un’amministrazione diversa, che però s’impegnavano a sussidiare gli scioperanti. In una riunione presso la Lega falegnami gli scioperanti decidevano all’unanimità: 1) di riprendere il lavoro, nell’eventualità di una soluzione, non altrimenti che in massa e come classe, non già per domande individuali; 2) di esigere, come condizioni essenziali che prima di tutti dovessero essere occupati gli scioperanti ribattitori e non si facessero vendette né rappresaglie da parte della Direzione. L’on. Aroldi della Direzione del Partito Socialista in visita a Riva Trigoso portò l’adesione e la solidarietà del Partito agli operai in agitazione, incitandoli a resistere. Contatti venivano presi con le organizzazioni metallurgiche di Genova, Milano e Torino che si impegnavano in aiuti finanziari e a trovare un’occupazione per i licenziati, Consiglio delle Leghe Fonditori e Tornitori della Lombardia e la Federazione Metallurgica di Milano approvavano un ordine del giorno in cui si proclamava il boicottaggio del Cantiere di Riva Trigoso.
L’on. Morgari, segretario della Direzione comunicava finalmente agli scioperanti che il Ministero di Agricoltura, industria e commercio aveva ordinato un’inchiesta dell’Ufficio del Lavoro affidandone l’incarico all’ingegnere Effreim Magrinj, delegato speciale per la Liguria ed il Piemonte e che il senatore Erasmo Piaggio proprietario dei Cantieri si era impegnato ad accettarne il responso.
Mercoledì 23 gennaio 1907 giungeva nel Cantiere di Riva la commissione d’inchiesta del Consiglio del Lavoro: il primo esperimento delle micidiali macchinette ribattitrici venne fatto sopra una ordinata distesa di tre cavalletti alti un metro circa, di modo che, anche un individuo che non avesse mai visto le macchinette, avrebbe potuto lavorare senza sentire il minimo tremolio nella persona. Questo fu il primo trucco preparato dalla Direzione del Cantiere alla commissione, complici due medici: i dott. Raffo e Gazzano di Sestri Levante, che erano due azionisti dei Cantieri, mentre all’esperimento non era stato ammesso nessun medico da parte degli operai e neppure un ribattitore scioperante.
Oltretutto vennero fatti ribattere appena cinque o sei chiodi, quando in una giornata lavorativa (dieci ore) un operaio ribatteva dai trecento ai quattrocento chiodi. Il secondo esperimento venne fatto sotto il piano del vapore, per dimostrare che si ribatteva col cavalletto e con la manovella, senza che il corpo sentisse alcun male, mentre la parte inferiore del vapore era l’unico posto dove si potesse ribattere col cavalletto. Terminati gli esperimenti tecnici gli scioperanti chiesero di essere visitati. Il medico provinciale cercò di suggestionare gli scioperanti tentando di far credere che la loro malattia poteva anche provenire da malattie veneree; ma lo scioperante Costa Magno rispose prontamente che l’uso delle macchinette limitava di per sé il bisogno e l’uso dei sensi genitali e che chi abusava non poteva durare al lavoro che uno o due anni.
La Commissione dopo lungo interrogatorio dei tre scioperanti disse di essere convinta che le macchinette ribattitrici ad aria compressa, nel modo in cui si usavano a Riva Trigoso facevano male alla salute, però che gli scioperanti si arrangiassero alle buone con la Direzione del Cantiere, perché le macchinette rappresentavano un sistema industriale moderno e che le potevano adoperare in quei posti del vapore dove maggiormente si adattavano. Nel congedarsi dagli scioperanti la Commissione disse che, entro quattro giorni avrebbero pubblicato la relazione dell’inchiesta e che avrebbe riferito al Governo che, la Direzione del Cantiere, dopo aver licenziati gli operai, non permetteva loro di trovarsi lavoro altrove.
Domenica 27 gennaio i lavoratori in sciopero, conosciuta la relazione della Commissione d’inchiesta, per protesta contro le sue risultanze, decidevano all’unanimità la resistenza ad oltranza.
Nella relazione della commissione infatti si riconosceva che i reclami dei lavoratori erano giusti, ma non si voleva proclamarlo apertamente; si riconosceva che sarebbero stati indispensabili esperimenti, seri e ripetuti come avevano proposto i lavoratori; si riconosceva che col tempo l’uso (anzi l’abuso) delle ribattitrici ad aria compressa avrebbe potuto rendersi nocivo all’organismo umano; che in qualche Cantiere (R. Arsenale di Spezia, Orlando, Castellamare) ne era adottato, ma non generale come a Riva, mentre in altri (Napoli) fu abbandonato.
La relazione concludeva che a Riva si erano adottati i sistemi migliori per rendere meno dannoso l’uso dei martelli pneumatici.
Nella relazione erano presenti anche dati palesemente inesatti ed equivoci; ad esempio che i martelli pneumatici pesavano 10-11 kg. mentre non pesavano meno di 14-15 kg., che invece la mazza pesava circa 10 kg. mentre non superava i 2-3-4 kg. (altrimenti sarebbe stato materialmente impossibile adoperarla); che erano stati visitati degli operai, nulla riscontrando nel loro organismo (mentre visibili erano gli effetti nocivi delle macchinette sul loro corpo); che si usavano cavalletti d’appoggio e leve, mentre la loro mancanza era appunto uno dei moventi principali dell’agitazione.
L’Ufficio del Lavoro stesso sconfessava la Commissione d’inchiesta quando dichiarava che «la frequenza grandissima dei colpi (mille al minuto) è causa di tremore continuo, che si comunica al braccio destro dell’operaio e da qui al corpo e questo tremore, congiunto allo sforzo che l’operaio deve fare per sostenere e dirigere il martello, produce uno stato di tetano muscolare. Una Commissione formata da lavoratori scioperanti venne finalmente ricevuta a Genova dal sen. Erasmo Piaggio proprietario dei Cantieri; vennero rinnovate le richieste di abolire le macchinette o per lo meno di apportare modifiche che ne riducessero gli effetti dannosi alla salute. La risposta fu: «Riprendete il lavoro come prima, i caporioni dell’agitazione non sarebbero stati riassunti a Riva Trigoso, la direzione si impegnava a munirli di lettere perché potessero trovare occupazione presso altre fabbriche».
Il 12 febbraio veniva espulso dalla Camera del Lavoro tale Lagostena Francesco che aveva iniziato a raccogliere firme di operai sospesi per fornire krumiri al Cantiere. Gli scioperanti oramai però erano stremati; gli aiuti finanziari diminuivano, gli esercenti privati si rifiutavano di vendere a credito i beni di prima necessità; il morale degli operai dopo l’inchiesta truffa della Commissione era duramente provato; così lunedì 18 febbraio, dopo 115 giorni di lotta, gli operai ritornavano nei Cantieri Navali di Riva Trigoso: dei 100 ribattitori solo 15 (i padri di famiglia con numerosi figli) riprendevano il loro posto e più di uno nella sera stessa riabbandonava il lavoro per farsi visitare dal medico. L’insuccesso dello sciopero creò profonda amarezza nella classe lavoratrice sestrese e soprattutto nel Partito Socialista Italiano che lo aveva sostenuto con tutte le sue forze. Da un’analisi fatta sullo svolgimento dello sciopero emerge senz’altro una radicalizzazione delle posizioni del Partito in senso sindacalista rivoluzionario.
«Durante i 115 giorni di sciopero dei ribattitori di Riva Trigoso molte cose abbiamo imparato: abbiamo imparato ad essere contrari agli scioperi quando questi non siano organizzati e diretti secondo il metodo sindacalista. Lo sciopero se deve essere arma per difendere gli interessi della classe lavoratrice o di conquista non dovrebbe essere sollevato e voluto da una data categoria di operai, ma da tutta la classe lavoratrice, l’unica che abbia interesse a che si vincano le battaglie del lavoro. Per fare lo sciopero è necessario essere disposti e preparati a tutte le conseguenze che potranno derivare da esso: fame, privazioni di ogni genere ed infine essere preparati allo sciopero rivoluzionario; prima di dichiarare la fine della battaglia, bisogna preparare i militi per essere pronti a far uso della violenza.
Se i capitalisti possono resistere contro i loro sfruttati perché hanno degli immensi capitali, non è così per gli operai i quali non posseggono che la resistenza e la solidarietà della classe lavoratrice. Intanto tra qualche mese si dovrà, a Riva Trigoso, ritornare all’attacco, se quegli umanitari non aboliranno le micidiali macchinette; ma prima di ingaggiare una seconda lotta eroica, dovremo prima metterci d’accordo con tutti gli operai di stabilimenti italiani ove si usano le macchinette e poi con tutta la classe lavoratrice organizzata. Una volta assicurata la solidarietà morale e materiale, inculcare nei cervelli di quei lavoratori lo spirito di sacrificio; e più tosto che dover inchinarsi ai padroni, prima di aver escogitato tutte le vie conciliative e rivoluzionarie, essere preparati a partire anche per l’estero, e questo si può fare facilmente quando si ha la solidarietà di tutta la classe lavoratrice organizzata. Prima di dichiarare uno sciopero ci si deve pensare un milione di volte, ma quando questo è dichiarato: morire sul campo di battaglia, piuttosto che ricorrere alla viltà».
Prescindendo dall’esito negativo di quel lungo sciopero del 1906-07 importanti e significative furono le conseguenze che esso portò per la classe lavoratrice sestrese: il Partito Socialista mostrava il suo volto di movimento operaio di classe: abbandonando le dispute ideologiche e le affermazioni di principio, talvolta incerte e fumose, si era gettato nella lotta scuotendo il torpore di una città come Sestri Levante sino ad allora soggiogata da una politica clericale e paternalistica. Gli organismi socialisti della città (sezioni di partito e Camera del Lavoro) si rafforzarono: sindacalmente si costituì la Lega mista degli operai del Cantiere, che aggiungendosi alla Lega dei falegnami, eliminava quei contrasti corporativistici tra le categorie, che tanta parte avevano avuto nel fallimento dello sciopero. Il Partito Socialista Italiano a Sestri Levante cominciava ad assumere l’aspetto del movimento di massa che con gli scioperi del 1919, 1920 e 1922 tanto strenuamente avrebbe combattuto l’avvento del fascismo.
oooooooooooo0oooooooooooo