Preambolo N° 2: pp. 4, 5 e 6 de il “levante”; Inserto settimanale di otto pagine in supplemento al n° 164 del quotidiano genovese “IL LAVORO” del 18 luglio 1974 (N. evb).
1922 – L’eroica difesa degli operai e del popolo di Sestri Levante dagli assalti delle squadracce fasciste. (Premessa di redazione). Articolo non firmato.
Tra il 1919 e il 1922 si sviluppa la resistenza di Sestri Levante all’offensiva reazionaria e al fascismo. Prima con una serie di scioperi al Cantiere di Riva Trigoso e alla Fabbrica Italiana Tubi per la difesa dei salari e dell’occupazione, poi con la lotta aperta e armata alle squadracce operanti sotto la benevola disattenzione dei carabinieri e delle guardie regie.
Spirito civico, coraggio, indomito amore per la libertà, contrasti tra le forze politiche e il sindacato, e all’interno del sindacato, sono le componenti, a Sestri Levante come in gran parte d’Italia, di questa fase storica che si conclude con una tragica sconfitta della classe operaia; che non sminuisce per nulla il valore dei protagonisti ma pone le basi della resistenza che per venti anni si alimenterà nella clandestinità per esplodere poi nella lotta partigiana. La storia degli ultimi novant’anni del secolo scorso, dì Sestri Levante e del Tigullio, è tutta compresa qui, ed è da qui che ne discende la solida consapevolezza democratica di oggi.
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Il Partito Socialista Italiano, sorto come organismo di massa nel 1906 in occasione dello sciopero dei ribattitori di Riva Trigoso, si sviluppò a Sestri Levante attraverso le due sezioni del partito e sei circoli, dislocati tre a Riva Trigoso, uno a Trigoso, uno a San Bartolomeo e uno a Santo Stefano del Ponte.
Nel decennio precedente il fascismo, la lotta del movimento operaio socialista si svolse contro la politica dell’amministrazione comunale di Sestri Levante allora retta dalla ricca borghesia clericale: le tasse fatte pagare ai lavoratori e ai piccoli borghesi, mentre i grossi possidenti legati a filo doppio con gli amministratori pagavano cifre irrisorie furono il cavallo di battaglia della propaganda socialista.
La nuova tassa istituita sul valore locativo colpiva un fitto tanto piccolo, che nessuno andava esente: ma mentre gli operai erano costretti a pagare, il ricco marchese, tramite le sue relazioni in provincia, non sborsava nemmeno una delle mille lire che doveva al fisco. Intenso fu il lavoro politico del Partito Socialista a Sestri Levante a favore del suffragio universale che era una delle principali richieste del movimento in sede nazionale: purtroppo i documenti, che testimoniano la vita del Partito Socialista Sestrese dal 1910 al 1922, sono stati quasi tutti distrutti nei saccheggi e negli incendi delle squadracce fasciste. Restano di questo periodo le testimonianze di alcuni vecchi socialisti, da cui emerge soprattutto la posizione che il partito assunse nel 1911 in occasione dell’invasione della Libia e durante la prima guerra mondiale. Nel primo caso il Partito a Sestri Levante si schierò violentemente contro la guerra coloniale seguendo compatto la linea politica del Congresso di Modena dell’ottobre 1911. Allo scoppio del conflitto mondiale del 1914 il movimento socialista fece sua la formula espressa dal segretario Lazzari: «Né aderire, né sabotare» e cercò di alleviare i disagi e le sofferenze che la guerra portava al proletariato (violazioni delle leggi sindacali, limitazione del controllo sul lavoro delle donne e dei fanciulli, difficoltà degli approvvigionamenti) con una azione che, anche a Sestri Levante, venne svolta tenacemente, pur con mezzi insufficienti.
Le conseguenze della prima guerra mondiale in Italia furono terribili soprattutto per la classe lavoratrice, per coloro cioè che la guerra non l’avevano voluta, che pur l’avevano fatta, perdendo sulle trincee del fronte migliaia di compagni. I lavoratori nel 1918 trovarono fame, disoccupazione e riduzione dei salari, mentre il grosso capitalismo si era arricchito sulla loro pelle con l’industria della guerra. Sintomatico è a questo proposito il fatto che l’industria siderurgica aveva nel 1918 una capacità produttiva superiore del 43% a quella del 1913. A Sestri Levante e a Riva Trigoso avvenne in quegli anni un forte sviluppo del proletariato industriale: un migliaio di lavoratori nei Cantieri Navali di Riva ed un altro migliaio nella Fabbrica dei Tubi del capoluogo caratterizzavano in senso nettamente operaio la cittadina, che allora contava una decina di migliaia di abitanti. Il Partito Socialista si fece interprete della protesta e delle lotte dei lavoratori, che non accettavano uno sviluppo industriale costruito sul proprio sfruttamento, su salari miseri, su continue sopraffazioni da parte dei padroni ed aspiravano ad una società diversa, da loro direttamente gestita.
Il movimento socialista, che dalla sua nascita si dibatteva nel dilemma: riformismo o rivoluzione, non seppe o non volle fare una scelta chiara e coraggiosa e le conseguenze purtroppo furono la spaccatura del movimento operaio, con la scissione comunista di Livorno nel 1921, e un aiuto involontario all’instaurazione del regime fascista.
Al termine della prima guerra mondiale il Partito Socialista conobbe in Liguria uno straordinario sviluppo: gli iscritti, che nel 1914 erano 2270 (1494 nella provincia di Genova e 776 in quella di Porto Maurizio), salirono nel 1920 a 7579 (5779 nella provincia di Genova e 1800 in quella di Porto Maurizio); nel Comune di Sestri Levante, la sezione di Riva Trigoso con i suoi 105 aderenti era una delle più numerose del Levante.
Furono proprio i socialisti sestresi, attraverso il lavoro politico delle due sezioni, della Camera del Lavoro, e dei sei circoli culturali e ricreativi della città, che diressero ed animarono gli scioperi di quegli anni nei Cantieri di Riva Trigoso e nella Fabbrica dei Tubi (complesso industriale costruito nel 1911 con due stabilimenti: uno a Sestri Levante per la produzione di tubi in acciaio ed uno a Casarza Ligure per i tubi in rame): la lotta del febbraio 1919 per la conquista delle «8 ore»; l’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920; lo sciopero generale del 1921 e lo sciopero generale dell’agosto 1922, cui seguì l’occupazione dei due stabilimenti e che rappresentò l’ultimo tentativo della classe operaia per fermare il fascismo.
Lo sciopero del febbraio 1919 per la riduzione dell’orario di lavoro, a Sestri Levante non fu massiccio come i successivi: la guerra era terminata da pochi mesi e l’organizzazione della strategia politica del partito socialista per la nazione che usciva dalla guerra, se nelle grandi città industriali come Milano, Torino e Genova si andava abbastanza chiaramente delineando nei piccoli centri della provincia mancava quasi totalmente.
Soltanto il proletariato più cosciente e politicizzato, quindi una minoranza, aderì a Sestri Levante allo sciopero del 1919: la conquista delle “otto ore” diede però nuova forza e credibilità al partito socialista; la classe lavoratrice capì che, schierandosi al fianco dei socialisti e dei suoi organismi (Camera del Lavoro e Cooperative), finalmente poteva far valere i propri diritti di fronte allo stato borghese e al capitalismo industriale. L’esito vittorioso della Rivoluzione Sovietica accendeva in molti lavoratori la speranza in un’analoga soluzione politica, per i gravi problemi e le grosse ingiustizie, che travagliavano l’Italia. Nelle elezioni generali del novembre 1919, le prime che si svolgevano nel dopoguerra a suffragio quasi universale, il PSI ottenne un grosso successo elettorale con 156 deputati eletti alla Camera Questa forza, che la classe lavoratrice aveva dato al Partito, si logorò però in una fraseologia barricadiera senza seguito nell’azione; venne dilapidato tutto un patrimonio di energie nell’inerte attesa che le cose e il loro fatale evolversi consegnassero il potere nelle mani degli operai.
L’occupazione delle fabbriche del settembre 1920, che poteva rappresentare un momento importante e decisivo per la vittoria della classe lavoratrice, trovò gli organizzatori sindacali e il partito impreparati; non se ne misurarono le conseguenze e gli sbocchi.
Agli operai si continuava a dire che la prossima occasione sarebbe stata quella buona, ma quando questa occasione giunse, l’incertezza, la paura, l’insufficienza rivoluzionaria del PSI venne alla luce in tutta la sua gravità. L’urto frontale tra la classe lavoratrice e gli industriali venne originato dalle richieste di aumenti salariali, che ebbero come risposta la serrata delle fabbriche metallurgiche a Milano. Il sindacato replicò ordinando agli operai di occupare tutti gli stabilimenti del metallo nella penisola, continuando, asserragliatisi dentro, più o meno armati, a mandare avanti la produzione. Tra mercoledì 1 e sabato 4 settembre 1920, 400.000 operai occuparono le fabbriche: a Sestri Levante e a Riva Trigoso vennero occupati la Tubifera (Fabbrica Italiana Tubi) e i Cantieri Navali.
I lavoratori, dai capannoni del tubificio e dagli oblò delle navi in costruzione sugli scali del Cantiere, armati di moschetti della prima guerra mondiale, erano pronti a difendersi dagli eventuali attacchi delle forze dell’ordine (che in realtà non ci furono). All’interno il lavoro continuava normalmente e contemporaneamente si svolgeva un lavoro politico: vennero costituiti Consigli di Fabbrica i cui principali esponenti erano gli attivisti socialisti: Bacigalupo Mario, Muzio Davide, Maberino Giovanni, Burgassi Siro, Fico Giambattista e Zolezzi Giulio.
Dopo le prime due settimane di entusiasmo, non avendo gli industriali nessuna intenzione di cedere, con gli operai divisi tra chi si accontentava di un aumento salariale e chi voleva intensificare ed estendere la lotta; con la Confederazione del Lavoro in mano ai riformisti che insistevano per chiedere la mediazione di Giolitti; con l’ostilità della piccola borghesia e la mancanza di contatti con le campagne, il Partito Socialista demandò alla Confederazione del Lavoro di decidere sulla rivoluzione, che una grande parte di operai auspicava. La proposta di un indirizzo rivoluzionario da dare alla agitazione venne respinta il 21 settembre con l’o.d.g. d’Aragona dalla maggioranza del Consiglio generale della C.G.L.
Tramite il Governo venne raggiunto un onorevole compromesso sindacale, ma la spinta rivoluzionaria del movimento operaio era irrimediabilmente bloccata e battuta.
L’occupazione delle fabbriche lasciò nel Partito Socialista un profondo strascico di polemiche e di risentimenti, che riacutizzarono i contrasti interni già esistenti, e che sarebbero sfociati nella scissione comunista di Livorno. Molti operai non si rassegnarono alla soluzione moderata imposta dalla Confederazione del Lavoro: a Riva Trigoso tre socialisti di tendenze anarchiche installarono nella caserma dei carabinieri una bomba, che non fece nessuna vittima, ma produsse ingenti danni all’edificio.
Attraverso le forze dell’ordine i tre intendevano colpire gli istituti preposti alla difesa dello Stato borghese e del capitalismo nazionale, che tanto brutalmente opprimevano la classe lavoratrice.
Dall’autunno 1920 alla primavera del 1921 intanto il pericolo fascista, anche con la connivenza del Governo si era fatto sempre più minaccioso: il capitalismo industriale, i grossi agrari, la borghesia, impauriti dal pericolo rosso, che le giornate del settembre avevano lasciato intravedere, appoggiarono sempre più apertamente lo squadrismo fascista, che sembrava l’unica arma efficace per frustrare i tentativi rivoluzionari degli operai. A Sestri Levante il fascismo raccolse aderenti e fondi tra la ricca borghesia proprietaria terriera, tra i commercianti, tra i grossi e i piccoli industriali e tra i professionisti: il luogo dove si incontravano era la Farmacia sita in Corso Colombo, la via Centrale della città dal momento che il suo proprietario dott. Dogliotti di Torino era il personaggio più in vista del nascente fascismo sestrese.
In quegli anni la presenza dei socialisti si fece sentire, non solo nelle fabbriche, ma anche in Consiglio comunale: i consiglieri comunali socialisti erano Pecunia, Maberino, Piccardo e Burgassi e rappresentavano la minoranza operaia di fronte ai 26 consiglieri in gran parte clerical – reazionari che governavano la città.
Nei verbali del Consiglio comunale del 12 febbraio 1921 si legge che «il consigliere Pecunia anche a nome di Maberino e Piccardo dichiara che essi rinunciano e si intendono dimissionari dalle diverse commissioni in cui sono stati eletti poiché, escludendo il loro compagno Burgassi da qualsiasi carica, si è voluto fare atto di rappresaglia contro il partito che rappresentano»: la maggioranza discriminando Siro Burgassi aveva voluto colpire il partito socialista attraverso il suo uomo più rappresentativo a Sestri Levante; segretario della Camera del Lavoro, protagonista dell’occupazione dei Cantieri Navali, socialista di chiare tendenze rivoluzionarie. Il 6 luglio 1921 lo stesso Burgassi propose con’ un’interrogazione l’invio di una somma al Comitato Pro Russia, perché si venisse in aiuto del popolo russo, affamato per la carestia e la guerra civile; il sindaco di Sestri Levante rispose che non si poteva non rilevare il carattere politico dell’interrogazione, poiché per ben due anni si era propagandato, per spingere il proletariato italiano sulla via della rivoluzione russa, della quale sentiva di dovere constatare le funeste conseguenze; non era contrario a che fosse votato un sussidio, ma sosteneva che dovesse essere versato alla Croce Rossa.
La crisi economica italiana intanto continuava a ritmo incessante; gli indici della produzione cominciavano a scendere e quelli della disoccupazione a salire: a Sestri Levante, nel giugno 1921, vi erano 120 disoccupati senza contare un centinaio di marinai senza lavoro, per effetto del disarmo delle navi. I disoccupati, come denunciava il «Lavoro» del 23 giugno 1921, erano dovuti in parte alla riduzione del personale dello Stabilimento Trafilerie e Laminatoi Metalli (Fabbrica Tubi); in parte alla riduzione delle Miniere di Libiola e di S. Vittoria e il rimanente numero per l’ampliamento ultimato delle officine dei Cantieri Navali di Riva Trigoso. Nella seduta del Consiglio comunale del 10 ottobre 1921 venne votato all’unanimità in difesa dell’occupazione a Sestri Levante, il seguente O.d.g. presentato dai consiglieri Rossignotti per la maggioranza, e Burgassi per i socialisti:
«Il Consiglio Comunale di Sestri Levante udito l’esposto della direzione del Cantiere Navale di Riva Trigoso che minaccia la prossima chiusura del medesimo, prescindendo dal merito delle discussioni tecnico politiche cui ha dato luogo il problema della ricostruzione del naviglio nazionale, preoccupato fortemente che ben 1.500 operai possono essere lasciati senza lavoro e altrettante famiglie lasciate nella miseria della disoccupazione, unanime fa voti perché la commissione parlamentare per la marina mercantile ed il Governo risolta ogni controversia traducano ben presto in atto un vasto programma di costruzioni navali, porge un’istanza al competente ministero perché nella ripartizione del costruendo naviglio di linea venga assegnata al Cantiere Navale di Riva Trigoso la quota che gli è dovuta, per la potenzialità ed importanza dei suoi impianti (5 scali in muratura per piroscafi anche di 170 metri, attrezzature e macchinari moderni, 4.000 tonnellate di stazza lorda annuale ecc.). Invita la deputazione ligure senza distinzione di partito a sostenere efficacemente la pronta realizzazione del presente O.d.G.».
Nella stessa seduta il consigliere socialista Burgassi lamentava che le ditte locali, anziché impiegare mano d’opera locale, importassero operai dal di fuori: citava ad esempio la ditta Fogliani, che aveva importato da Bobbio una ventina di manovali e sterratori per la costruzione della strada provinciale di S. Anna, ricordando che esistevano precise disposizioni del prefetto, che vietavano l’impiego di mano d’opera esterna. La voce della protesta socialista si alzava anche contro gli affitti troppo alti e a riguardo del problema degli alloggi, che molti proprietari si limitavano a tenere chiusi d’inverno per poi affittarli a prezzi favolosi d’estate.
Il 15 novembre 1921 si svolgeva a Riva Trigoso il Congresso della Confederazione Generale del Lavoro: era la prima volta che localmente si trovavano a confronto socialisti e comunisti; la scissione comunista, avvenuta a Livorno nel gennaio, aveva tolto al Partito Socialista di Sestri Levante il 30% degli iscritti. Il Congresso della Camera del Lavoro sanzionò attorno al 37% dei voti l’incidenza del movimento comunista sulla classe lavoratrice della zona: la tesi socialista infatti ottenne 2246 voti e quella comunista 1350: le Leghe rappresentate erano 16 su 17 e di esse 13 votarono la tesi socialista e 3 quella comunista.
Il Congresso di Riva Trigoso si tenne in un momento particolarmente duro e difficile per la classe operaia: il capitalismo industriale, prendendo a pretesto la erigi economica del paese e sentendosi già protetto dalle prepotenze fasciste contro i socialisti, non intendeva rispettare i contratti di lavoro esistenti. Il 16 novembre la Camera del Lavoro di Riva Trigoso proclamò lo sciopero generale con la seguente dichiarazione:
«Ai compagni tutti,
l’agitazione dei metallurgici di Liguria che sboccò prima nello sciopero di categoria per difendere e mantenere i salari ai contratti di lavoro esistenti, è entrata nella fase acuta; da soli questi forti lavoratori non possono resistere di fronte alla prepotenza padronale che fa capo al Consorzio Industriale Ligure. Le organizzazioni tutte della Regione hanno con unanime deliberazione aderito di entrare in lotta a fianco dei metallurgici, proclamando da stanotte 16 alle ore 24 lo sciopero generale di tutte le categorie facendo il fronte unico. Cotesto consiglio e i compagni tutti sono tenuti a preparare lo sciopero, acciocché esso debba riuscire completo, entusiastico e senza defezioni facendo con apposite assemblee comprendere agli operai che la battaglia odierna dei metallurgici è vittoria o sconfitta di tutti gli operai. Lavoratori! In piedi, rispondiamo presente, per l’amore e la difesa dell’organizzazione. Saluti cordiali.Il Segretario Siro Burgassi».
Gli scarsi risultati ottenuti dall’agitazione acuirono i contrasti presenti nella Camera del Lavoro di Riva Trigoso tra la componente socialista e quella comunista; per oltre quattro mesi l’organizzazione dei metallurgici rimase paralizzata a causa delle polemiche interne e questa stasi impedì un fermo intervento contro i licenziamenti dal locale Cantiere.
Nel febbraio 1922 gli aderenti alla Confederazione si resero conto che le lotte intestine facevano il gioco del capitalismo padronale e soprattutto dei fascisti, sempre più imbaldanziti dal successo delle proprie imprese squadriste. In un’assemblea di oltre trecento operai venne deliberata la ricostituzione della Lega Metallurgica ed il Segretario Siro Burgassi invitò gli operai a smussare gli angoli delle diverse correnti politiche per assurgere a nuova vitalità. Fu quindi nominato il comitato direttivo composto da Botto Luigi, Belli Luigi, Carmagnini Luigi, Berisso Silvio, Petrini Roberto, Fiabene Enrico, Consiglieri Enrico, Niccoli Nicolò, Sanguineti Alberto, Burgassi Siro, Pesce Pietro, Bregante Daniele, Ghiberti Primitivo.
Nell’ambito della Camera del Lavoro di Riva Trigoso era stata fondata anche una Lega di contadini capeggiata dall’avvocato socialista Marcello Cirenei di Sestri Levante e composta da più di 150 agricoltori e braccianti dell’entroterra. La Lega contadina fu protagonista di una importante manifestazione di protesta, conclusasi con arresti e violenze da parte dei carabinieri, che ebbero una larga eco alla Camera dei Deputati. Da alcuni mesi a Sestri Levante i contadini e la classe lavoratrice, erano in agitazione contro l’Amministrazione comunale, che voleva imporre nuovamente le barriere daziarie; un documento contro il minacciato dazio era stato firmato da numerosi cittadini, ma gli amministratori decisero lo stesso di imporre le nuove tasse. La mattina del primo marzo 1922 una colonna di 500 capi famiglia si recava in Municipio per protestare col sindaco ed occupava la sede comunale; i carabinieri, chiamati dagli amministratori, caricavano la folla percuotendo brutalmente anche una donna: certa Rollero, traendo in arresto la stessa, suo marito, alcuni altri contadini e il capo lega avv. Marcello Cirenei, che aveva invitato la forza pubblica a desistere dalle violenze. Il comportamento dei contadini e soprattutto quello degli arrestati era stato secondo la testimonianza dei presenti rispettoso e corretto. Nella città venivano fatti giungere rinforzi composti da carabinieri e da guardie regie, che occupavano militarmente il Palazzo del Comune:” Sestri Levante era percorsa continuamente da pattuglie militari che avevano l’ordine perentorio di sciogliere qualsiasi assembramento; solamente ai fascisti era lecito munirsi di bastoni, riunirsi compatti e circolare indisturbati con aria provocatrice. L’arresto dei manifestanti e l’occupazione militare della città destò grande scalpore e dalla Camera dei Deputati i socialisti Francesco Rossi ed Eugenio Chiesa si fecero portatori della protesta dei lavoratori. L’on. Francesco Rossi presentò la seguente interrogazione: «Al Ministro degli Interni per sapere come intende tutelare e ripristinare in Sestri Levante l’ordine pubblico e il rispetto alle leggi violati per l’opera faziosa delle autorità amministrative e dell’arma dei carabinieri che trasse in arresto l’avv. Marcello Cirenei ed altri onesti cittadini non appartenenti a partiti politici solo perché protestavano contro gli errati criteri di quella amministrazione comunale». Una commissione di manifestanti, guidata dal segretario della Camera del Lavoro, si recò a Chiavari in Sottoprefettura dove veniva ricevuta dal Sotto Prefetto, il quale prometteva il suo interessamento per ottenere la scarcerazione degli arrestati; veniva intanto proclamato uno sciopero generale e una grande manifestazione di protesta qualora i fermati non fossero stati rimessi in libertà: il 5 marzo gli arrestati venivano rilasciati.
L’atteggiamento repressivo assunto dalle autorità nei confronti della classe lavoratrice, la connivenza delle forze dell’ordine con le squadracce nere mostravano come la vita democratica italiana fosse ormai irrimediabilmente compromessa dal fascismo sempre più baldanzoso. Nell’agosto del 1922 lo sciopero così detto legalitario fu una prova generale della classe operaia contro il fascismo, ma l’esito fu del tutto insoddisfacente: dal centro venne organizzato assai malamente e non era ragionevolmente da prevedersi successo da una protesta legale (sia pure sciopero) contro squadracce armate, composte di facinorosi senza scrupoli e senza riguardi e pronti ad ogni eccesso.
I militanti socialisti di Sestri Levante furono ancora una volta in prima fila per combattere l’ultima battaglia, in difesa della democrazia morente sotto i colpi della reazione: gli antifascisti furono assoluti padroni della zona (da Chiavari a Deiva) per alcuni giorni; la Fabbrica dei Tubi ed i Cantieri Navali vennero occupati dagli operai che erano armati per difendersi dalle incursioni degli squadristi; sui tetti delle case di Riva Trigoso i lavoratori con i moschetti aspettavano i fascisti, che sembrava dovessero arrivare da un momento all’altro (in effetti non si fecero vedere).
I socialisti e i comunisti armati di fucili, pistole, bombe a mano e spezzoni di dinamite pattugliavano le strade e presidiavano i passaggi obbligati notte e giorno, mentre quotidianamente operai e contadini si riunivano nella Camera del Lavoro, dove l’avvocato socialista Marcello Cirenei e il professore comunista Fabrizio Maffi parlavano degli sviluppi politici della situazione e davano istruzioni. Di notte, dai colli e per le vallate risuonava il richiamo dei corni che convocavano i contadini della plaga.
A Riva Trigoso tre socialisti: il diciottenne Dino Trinca, Osvaldo Sostegni ed Italo Galbiati venivano alle mani con dei giovani fascisti: dopo il furibondo pestaggio i carabinieri li arrestavano come delinquenti comuni, legandoli con delle catene; i «neri» naturalmente poterono liberamente andare a compiere altre imprese.
«Furono giornate di lotta e di passione – scrive – Marcello Cirenei in «Genova» rivista del comune nel settembre 1949 – ma ormai la fermezza e l’audacia spiegata in taluni paesi e città, dai soci al comunisti, non potevano impedire il fallimento dello sciopero, e tale fallimento rimosse ogni residuo dubbio o timore in ordine alla incapacità delle masse lavoratrici di opporsi ai fascisti: virtualmente, nell’agosto 1922, in Italia fu prostrato e vinto lo stato liberale; o meglio questi si arrese senza combattere, mentre a difendere lo Statuto del 1848, soli in campo rimanevano i lavoratori.
Terminato lo sciopero una parte degli operai colpiti da ordini di cattura o da bandi di proscrizione si rifugiarono armati sui monti circostanti Sestri Levante: la reazione fascista non aspettò molto tempo a manifestarsi con violenze, bastonature, incendi e saccheggi. I caporioni del partito fascista di Sestri Levante fecero arrivare in città gli squadristi della «Martoriata» e della «Disperata» di Spezia, Carrara e Firenze: i circoli socialisti, le sedi dei partiti socialista e comunista, la Camera del Lavoro vennero incendiati e saccheggiati con la protezione della polizia a cavallo; la bandiera della Camera del Lavoro di Riva Trigoso venne salvata da un socialista di Trigoso detto «Muntagnin», che successivamente perseguitato dovette espatriare in Francia: allora l’affidò al giovane socialista, Domenico Muzio, che la nascose in una cascina di S. Bernardo; la bandiera del Circolo giovanile socialista fu ritrovata dopo la liberazione strappata e ridotta a brandelli in una sezione fascista di Torino; i libri della sezione socialista vennero nascosti da alcuni attivisti sotto terra in un orto di Riva Trigoso.
Oramai il fascismo era padrone del paese: a Sestri Levante il 3 novembre 1922, subito dopo la marcia su Roma, il Consiglio comunale della città rassegnava le dimissioni in segno di protesta; 5 giorni dopo, il Sotto Prefetto di Chiavari le respingeva imponendo ai consiglieri di restare al proprio posto.
L’opera di «convincimento» dei più tenaci socialisti sestresi da parte dei picchiatori fascisti continuava con accanita solerzia: alla Lapide di Pila sul Gromolo venne devastata una bottega dell’artigiano Angelo Fiore; l’operaio Fico Giambattista, padre dell’eroico comandante della divisione partigiana «Coduri». pestato brutalmente, di li a poco tempo mori a causa, delle ferite subite; il socialista Raffo Mario stordito nei giardini pubblici a Sestri Levante e lasciatovi morente, si riprese dopo lungo tempo, ma rimase privo di un occhio; a Riva Trigoso l’operaio Storti venne colpito a calci e pugni di fronte ai carabinieri, che si limitavano ad assistere.
La resistenza socialista non si piegava neppure alle violenze: durante l’inizio della costruzione della nuova stazione ferroviaria un gerarca fascista venne fischiato dagli operai impiegati nel cantiere; dopo alcune ore tutti i lavoratori vennero licenziati ed arrestati: trattenuti in caserma per alcune ore, furono poi tutti rilasciati, eccezion fatta per due dirigenti socialisti Ugo Ferri ed Angelo Maberino.
A S. Bernardo, una frazione di Sestri Levante situata sulla collina, una squadraccia fascista, giunta con camionette per dare una lezione, fu respinta a sassate dai numerosi socialisti del luogo: alcuni giorni dopo venne arrestato l’attivista dell’entroterra Fortunato Muzio che fu condannato a tre anni di confino. I socialisti continuavano ad incontrarsi ed a riunirsi clandestinamente; i luoghi prescelti per vedersi erano i più disparati: dai cascinali sparsi sul Passo del Bracco ad una spiaggetta poco lontana da Punta Manara
Le domeniche d’estate Giuseppe Pecunia, l’avv. Marcello Cirenei, De Floriani, il dott. Marchisio, Alberto Cirenei, Malatto Virgilio ed altri salivano sul gozzo del «Galletto» e andavano alla «Chiappa del lupo» dove fingendo di pescare discutevano delle violenze squadristiche, della resistenza da opporre al fascismo, degli aiuti da prestare ai socialisti che emigravano in Francia per sfuggire al carcere o al confino. Molti furono i sestresi esuli oltralpe tra i quali il segretario della camera del lavoro Siro Burgassi, che a Parigi diresse l’edizione dell’«Avanti!» per gli emigrati italiani. Nelle riunioni clandestine dei socialisti sestresi venivano distribuiti manifestini antifascisti inneggianti alla libertà, libri e giornali stampati segretamente: il 25 ottobre 1927 a Genova tre socialisti sestresi Giovanni Muzio, Amilcare Penna e lo stesso avv. Cirenei venivano processati nel dicembre 1925 e per la diffusione di volantini sovversivi; venivano assolti perché l’accusa non era riuscita a trovare prove sufficienti contro di loro.
Erano questi gli ultimi sussulti del movimento socialista sotto i colpi del fascismo: per 15 anni tutti i sestresi sembrarono accettare passivamente la dittatura: sarebbero stati gli scioperi del marzo 1944 e la resistenza armata a dimostrare che la classe lavoratrice sestrese non si era mai piegata al regime.
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