Preambolo N° 2: pp. 4, 5 e 6 de il “levante”; Inserto settimanale di otto pagine in supplemento al n° 164 del quotidiano genovese “IL LAVORO”  del 18 luglio 1974 (N. evb).

1922 – L’eroica difesa degli operai e del popolo di Sestri Levante dagli assalti delle squadracce fasciste. (Premessa di redazione). Articolo non firmato.

Tra il 1919 e il 1922 si sviluppa la resistenza di Sestri Levante all’offensiva reazionaria e al fascismo. Prima con una serie di scioperi al Cantiere di Riva Trigoso e alla Fabbrica Italiana Tubi per la difesa dei salari e dell’occupazio­ne, poi con la lotta aperta e armata alle squadracce operanti sotto la bene­vola disattenzione dei ca­rabinieri e delle guardie regie.
Spirito civico, coraggio, indomito amore per la liber­tà, contrasti tra le forze po­litiche e il sindacato, e all’in­terno del sindacato, sono le componenti, a Sestri Levante come in gran parte d’Italia, di questa fase storica che si conclude con una tragica sconfitta della classe operaia; che non sminuisce per nulla il valore dei protago­nisti ma pone le basi della resistenza che per venti anni si alimenterà nella clandestinità per esplodere poi nella lotta partigiana. La storia degli ultimi novant’anni del secolo scorso, dì Sestri Levante e del Tigullio, è tutta compresa qui, ed è da qui che ne discende la solida consapevolezza demo­cratica di oggi. 

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Il Partito Socialista Italiano, sorto come organismo di massa nel 1906 in occasione dello scio­pero dei ribattitori di Riva Tri­goso, si sviluppò a Sestri Le­vante attraverso le due sezioni del partito e sei circoli, dislocati tre a Riva Trigoso, uno a Trigo­so, uno a San Bartolomeo e uno a Santo Stefano del Ponte.

Nel decennio precedente il fa­scismo, la lotta del movimento operaio socialista si svolse con­tro la politica dell’amministra­zione comunale di Sestri Le­vante allora retta dalla ricca borghesia clericale: le tasse fatte pagare ai lavoratori e ai piccoli borghesi, mentre i grossi possidenti legati a filo doppio con gli amministratori paga­vano cifre irrisorie furono il ca­vallo di battaglia della propa­ganda socialista.

La nuova tassa istituita sul valore locativo colpiva un fitto tanto piccolo, che nessuno an­dava esente: ma mentre gli ope­rai erano costretti a pagare, il ricco marchese, tramite le sue relazioni in provincia, non sbor­sava nemmeno una delle mille lire che doveva al fisco. Intenso fu il lavoro politico del Partito Socialista a Sestri Levante a fa­vore del suffragio universale che era una delle principali richieste del movimento in sede naziona­le: purtroppo i documenti, che testimoniano la vita del Partito Socialista Sestrese dal 1910 al 1922, sono stati quasi tutti di­strutti nei saccheggi e negli in­cendi delle squadracce fasciste. Restano di questo periodo le te­stimonianze di alcuni vecchi so­cialisti, da cui emerge soprat­tutto la posizione che il partito assunse nel 1911 in occasione dell’invasione della Libia e du­rante la prima guerra mondiale. Nel primo caso il Partito a Sestri Levante si schierò violente­mente contro la guerra colo­niale seguendo compatto la li­nea politica del Congresso di Modena dell’ottobre 1911. Allo scoppio del conflitto mondiale del 1914 il movimento socialista fece sua la formula espressa dal segretario Lazzari: «Né aderire, né sabotare» e cercò di alleviare i disagi e le sofferenze che la guerra portava al proletariato (violazioni delle leggi sindacali, limitazione del controllo sul la­voro delle donne e dei fanciulli, difficoltà degli approvvigiona­menti) con una azione che, an­che a Sestri Levante, venne svolta tenacemente, pur con mezzi insufficienti.

Le conseguenze della prima guerra mondiale in Italia furono terribili soprattutto per la classe lavoratrice, per coloro cioè che la guerra non l’avevano voluta, che pur l’avevano fatta, perdendo sulle trincee del fronte migliaia di compagni. I lavoratori nel 1918 trovarono fame, disoccupazione e ridu­zione dei salari, mentre il grosso capitalismo si era arricchito sulla loro pelle con l’industria della guerra. Sintomatico è a questo proposito il fatto che l’industria siderurgica aveva nel 1918 una capacità produttiva superiore del 43% a quella del 1913. A Sestri Levante e a Riva Trigoso avvenne in quegli anni un forte sviluppo del proleta­riato industriale: un migliaio di lavoratori nei Cantieri Navali di Riva ed un altro migliaio nella Fabbrica dei Tubi del capo­luogo caratterizzavano in senso nettamente operaio la cittadi­na, che allora contava una de­cina di migliaia di abitanti. Il Partito Socialista si fece inter­prete della protesta e delle lotte dei lavoratori, che non accetta­vano uno sviluppo industriale costruito sul proprio sfrutta­mento, su salari miseri, su con­tinue sopraffazioni da parte dei padroni ed aspiravano ad una società diversa, da loro diret­tamente gestita.

Il movimento socialista, che dalla sua nascita si dibatteva nel dilemma: riformismo o rivo­luzione, non seppe o non volle fare una scelta chiara e corag­giosa e le conseguenze pur­troppo furono la spaccatura del movimento operaio, con la scis­sione comunista di Livorno nel 1921, e un aiuto involontario all’instaurazione del regime fa­scista.

Al termine della prima guerra mondiale il Partito Socialista conobbe in Liguria uno straor­dinario sviluppo: gli iscritti, che nel 1914 erano 2270 (1494 nella provincia di Genova e 776 in quella di Porto Maurizio), sali­rono nel 1920 a 7579 (5779 nella provincia di Genova e 1800 in quella di Porto Maurizio); nel Comune di Sestri Levante, la sezione di Riva Trigoso con i suoi 105 aderenti era una delle più numerose del Levante.

Furono proprio i socialisti sestresi, attraverso il lavoro poli­tico delle due sezioni, della Ca­mera del Lavoro, e dei sei circoli culturali e ricreativi della città, che diressero ed animarono gli scioperi di quegli anni nei Can­tieri di Riva Trigoso e nella Fabbrica dei Tubi (complesso industriale costruito nel 1911 con due stabilimenti: uno a Se­stri Levante per la produzione di tubi in acciaio ed uno a Ca­sarza Ligure per i tubi in rame): la lotta del febbraio 1919 per la conquista delle «8 ore»; l’occu­pazione delle fabbriche nel set­tembre 1920; lo sciopero gene­rale del 1921 e lo sciopero gene­rale dell’agosto 1922, cui seguì l’occupazione dei due stabili­menti e che rappresentò l’ul­timo tentativo della classe ope­raia per fermare il fascismo.

Lo sciopero del febbraio 1919 per la riduzione dell’orario di la­voro, a Sestri Levante non fu massiccio come i successivi: la guerra era terminata da pochi mesi e l’organizzazione della strategia politica del partito so­cialista per la nazione che usciva dalla guerra, se nelle grandi città industriali come Milano, Torino e Genova si an­dava abbastanza chiaramente delineando nei piccoli centri della provincia mancava quasi totalmente.

Soltanto il proletariato più cosciente e politicizzato, quindi una minoranza, aderì a Sestri Levante allo sciopero del 1919: la conquista delle “otto ore” diede però nuova forza e credibilità al partito socialista; la classe lavo­ratrice capì che, schierandosi al fianco dei socialisti e dei suoi organismi (Camera del Lavoro e Cooperative), finalmente po­teva far valere i propri diritti di fronte allo stato borghese e al capitalismo industriale. L’esito vittorioso della Rivoluzione So­vietica accendeva in molti lavo­ratori la speranza in un’analoga soluzione politica, per i gravi problemi e le grosse ingiustizie, che travagliavano l’Italia. Nelle elezioni generali del novembre 1919, le prime che si svolgevano nel dopoguerra a suffragio quasi universale, il PSI ottenne un grosso successo elettorale con 156 deputati eletti alla Camera Questa forza, che la classe lavo­ratrice aveva dato al Partito, si logorò però in una fraseologia barricadiera senza seguito nell’azione; venne dilapidato tutto un patrimonio di energie nell’inerte attesa che le cose e il loro fatale evolversi consegnas­sero il potere nelle mani degli operai.

L’occupazione delle fabbriche del settembre 1920, che poteva rappresentare un momento im­portante e decisivo per la vitto­ria della classe lavoratrice, trovò gli organizzatori sindacali e il partito impreparati; non se ne misurarono le conseguenze e gli sbocchi.

Agli operai si continuava a dire che la prossima occasione sarebbe stata quella buona, ma quando questa occasione giun­se, l’incertezza, la paura, l’insuf­ficienza rivoluzionaria del PSI venne alla luce in tutta la sua gravità. L’urto frontale tra la classe lavoratrice e gli indu­striali venne originato dalle ri­chieste di aumenti salariali, che ebbero come risposta la serrata delle fabbriche metallurgiche a Milano. Il sindacato replicò or­dinando agli operai di occupare tutti gli stabilimenti del metallo nella penisola, continuando, asserragliatisi dentro, più o meno armati, a mandare avanti la produzione. Tra mercoledì 1 e sabato 4 settembre 1920, 400.000 operai occuparono le fabbriche: a Sestri Levante e a Riva Tri­goso vennero occupati la Tubifera (Fabbrica Italiana Tubi) e i Cantieri Navali.

I lavoratori, dai capannoni del tubificio e dagli oblò delle navi in costruzione sugli scali del Cantiere, armati di moschetti della prima guerra mondiale, erano pronti a difendersi dagli eventuali attacchi delle forze dell’ordine (che in realtà non ci furono). All’interno il lavoro continuava normalmente e con­temporaneamente si svolgeva un lavoro politico: vennero co­stituiti Consigli di Fabbrica i cui principali esponenti erano gli attivisti socialisti: Bacigalupo Mario, Muzio Davide, Maberino Giovanni, Burgassi Siro, Fico Giambattista e Zolezzi Giulio.

Dopo le prime due settimane di entusiasmo, non avendo gli industriali nessuna intenzione di cedere, con gli operai divisi tra chi si accontentava di un aumento salariale e chi voleva intensificare ed estendere la lot­ta; con la Confederazione del Lavoro in mano ai riformisti che insistevano per chiedere la me­diazione di Giolitti; con l’osti­lità della piccola borghesia e la mancanza di contatti con le campagne, il Partito Socialista demandò alla Confederazione del Lavoro di decidere sulla ri­voluzione, che una grande parte di operai auspicava. La propo­sta di un indirizzo rivoluziona­rio da dare alla agitazione venne respinta il 21 settembre con l’o.d.g. d’Aragona dalla maggio­ranza del Consiglio generale della C.G.L.

Tramite il Governo venne raggiunto un onorevole com­promesso sindacale, ma la spinta rivoluzionaria del movi­mento operaio era irrimedia­bilmente bloccata e battuta.

L’occupazione delle fabbriche lasciò nel Partito Socialista un profondo strascico di polemiche e di risentimenti, che riacutizza­rono i contrasti interni già esi­stenti, e che sarebbero sfociati nella scissione comunista di Li­vorno. Molti operai non si rasse­gnarono alla soluzione mode­rata imposta dalla Confedera­zione del Lavoro: a Riva Trigoso tre socialisti di tendenze anar­chiche installarono nella ca­serma dei carabinieri una bom­ba, che non fece nessuna vitti­ma, ma produsse ingenti danni all’edificio.

Attraverso le forze dell’ordine i tre intendevano colpire gli isti­tuti preposti alla difesa dello Stato borghese e del capitali­smo nazionale, che tanto bru­talmente opprimevano la classe lavoratrice.

Dall’autunno 1920 alla pri­mavera del 1921 intanto il peri­colo fascista, anche con la con­nivenza del Governo si era fatto sempre più minaccioso: il capi­talismo industriale, i grossi agrari, la borghesia, impauriti dal pericolo rosso, che le gior­nate del settembre avevano lasciato intravedere, appoggia­rono sempre più apertamente lo squadrismo fascista, che sem­brava l’unica arma efficace per frustrare i tentativi rivoluzio­nari degli operai. A Sestri Le­vante il fascismo raccolse ade­renti e fondi tra la ricca borghe­sia proprietaria terriera, tra i commercianti, tra i grossi e i piccoli industriali e tra i profes­sionisti: il luogo dove si incon­travano era la Farmacia sita in Corso Colombo, la via Centrale della città dal momento che il suo proprietario dott. Dogliotti di Torino era il personaggio più in vista del nascente fascismo sestrese.

In quegli anni la presenza dei socialisti si fece sentire, non solo nelle fabbriche, ma anche in Consiglio comunale: i consi­glieri comunali socialisti erano Pecunia, Maberino, Piccardo e Burgassi e rappresentavano la minoranza operaia di fronte ai 26 consiglieri in gran parte clerical – reazionari che governa­vano la città.

Nei verbali del Consiglio co­munale del 12 febbraio 1921 si legge che «il consigliere Pecunia anche a nome di Maberino e Piccardo dichiara che essi ri­nunciano e si intendono dimis­sionari dalle diverse commis­sioni in cui sono stati eletti poi­ché, escludendo il loro compagno Burgassi da qualsiasi carica, si è voluto fare atto di rappresaglia contro il partito che rappresen­tano»: la maggioranza discri­minando Siro Burgassi aveva voluto colpire il partito sociali­sta attraverso il suo uomo più rappresentativo a Sestri Levan­te; segretario della Camera del Lavoro, protagonista dell’occu­pazione dei Cantieri Navali, so­cialista di chiare tendenze rivo­luzionarie. Il 6 luglio 1921 lo stesso Burgassi propose con’ un’interrogazione l’invio di una somma al Comitato Pro Russia, perché si venisse in aiuto del popolo russo, affamato per la carestia e la guerra civile; il sin­daco di Sestri Levante rispose che non si poteva non rilevare il carattere politico dell’interro­gazione, poiché per ben due anni si era propagandato, per spingere il proletariato italiano sulla via della rivoluzione russa, della quale sentiva di dovere constatare le funeste conse­guenze; non era contrario a che fosse votato un sussidio, ma so­steneva che dovesse essere ver­sato alla Croce Rossa.

La crisi economica italiana intanto continuava a ritmo in­cessante; gli indici della produ­zione cominciavano a scendere e quelli della disoccupazione a salire: a Sestri Levante, nel giu­gno 1921, vi erano 120 disoccu­pati senza contare un centinaio di marinai senza lavoro, per ef­fetto del disarmo delle navi. I di­soccupati, come denunciava il «Lavoro» del 23 giugno 1921, erano dovuti in parte alla ridu­zione del personale dello Stabi­limento Trafilerie e Laminatoi Metalli (Fabbrica Tubi); in parte alla riduzione delle Mi­niere di Libiola e di S. Vittoria e il rimanente numero per l’am­pliamento ultimato delle offi­cine dei Cantieri Navali di Riva Trigoso. Nella seduta del Consi­glio comunale del 10 ottobre 1921 venne votato all’unanimità in difesa dell’occupazione a Se­stri Levante, il seguente O.d.g. presentato dai consiglieri Rossignotti per la maggioranza, e Burgassi per i socialisti:

«Il Consiglio Comunale di Se­stri Levante udito l’esposto della direzione del Cantiere Na­vale di Riva Trigoso che minac­cia la prossima chiusura del medesimo, prescindendo dal merito delle discussioni tecnico politiche cui ha dato luogo il problema della ricostruzione del naviglio nazionale, preoc­cupato fortemente che ben 1.500 operai possono essere lasciati senza lavoro e altrettante fami­glie lasciate nella miseria della disoccupazione, unanime fa voti perché la commissione parla­mentare per la marina mercan­tile ed il Governo risolta ogni controversia traducano ben presto in atto un vasto pro­gramma di costruzioni navali, porge un’istanza al competente ministero perché nella riparti­zione del costruendo naviglio di linea venga assegnata al Can­tiere Navale di Riva Trigoso la quota che gli è dovuta, per la potenzialità ed importanza dei suoi impianti (5 scali in mura­tura per piroscafi anche di 170 metri, attrezzature e macchi­nari moderni, 4.000 tonnellate di stazza lorda annuale ecc.). In­vita la deputazione ligure senza distinzione di partito a soste­nere efficacemente la pronta realizzazione del presente O.d.G.».

Nella stessa seduta il consi­gliere socialista Burgassi la­mentava che le ditte locali, an­ziché impiegare mano d’opera locale, importassero operai dal di fuori: citava ad esempio la ditta Fogliani, che aveva impor­tato da Bobbio una ventina di manovali e sterratori per la co­struzione della strada provin­ciale di S. Anna, ricordando che esistevano precise disposizioni del prefetto, che vietavano l’im­piego di mano d’opera esterna. La voce della protesta socialista si alzava anche contro gli affitti troppo alti e a riguardo del pro­blema degli alloggi, che molti proprietari si limitavano a te­nere chiusi d’inverno per poi af­fittarli a prezzi favolosi d’estate.

Il 15 novembre 1921 si svol­geva a Riva Trigoso il Con­gresso della Confederazione Generale del Lavoro: era la prima volta che localmente si trovavano a confronto socialisti e comunisti; la scissione comu­nista, avvenuta a Livorno nel gennaio, aveva tolto al Partito Socialista di Sestri Levante il 30% degli iscritti. Il Congresso della Camera del Lavoro san­zionò attorno al 37% dei voti l’incidenza del movimento co­munista sulla classe lavoratrice della zona: la tesi socialista in­fatti ottenne 2246 voti e quella comunista 1350: le Leghe rap­presentate erano 16 su 17 e di esse 13 votarono la tesi sociali­sta e 3 quella comunista.

Il Congresso di Riva Trigoso si tenne in un momento partico­larmente duro e difficile per la classe operaia: il capitalismo industriale, prendendo a prete­sto la erigi economica del paese e sentendosi già protetto dalle prepotenze fasciste contro i so­cialisti, non intendeva rispet­tare i contratti di lavoro esisten­ti. Il 16 novembre la Camera del Lavoro di Riva Trigoso pro­clamò lo sciopero generale con la seguente dichiarazione:

«Ai compagni tutti,
l’agitazione dei metallurgici di Liguria che sboccò prima nello sciopero di categoria per difendere e mantenere i salari ai contratti di lavoro esistenti, è entrata nella fase acuta; da soli questi forti lavoratori non pos­sono resistere di fronte alla pre­potenza padronale che fa capo al Consorzio Industriale Ligure. Le organizzazioni tutte della Regione hanno con unanime de­liberazione aderito di entrare in lotta a fianco dei metallurgici, proclamando da stanotte 16 alle ore 24 lo sciopero generale di tutte le categorie facendo il fronte unico. Cotesto consiglio e i compagni tutti sono tenuti a preparare lo sciopero, acciocché esso debba riuscire completo, entusiastico e senza defezioni facendo con apposite assemblee comprendere agli operai che la battaglia odierna dei metallur­gici è vittoria o sconfitta di tutti gli operai. Lavoratori! In piedi, rispondiamo presen­te, per l’amore e la difesa dell’organizzazione. Saluti cordiali.

Il Segretario Siro Burgassi».

Gli scarsi risultati ottenuti dall’agitazione acuirono i con­trasti presenti nella Camera del Lavoro di Riva Trigoso tra la componente socialista e quella comunista; per oltre quattro mesi l’organizzazione dei metal­lurgici rimase paralizzata a causa delle polemiche interne e questa stasi impedì un fermo in­tervento contro i licenziamenti dal locale Cantiere.

Nel febbraio 1922 gli aderenti alla Confederazione si resero conto che le lotte intestine face­vano il gioco del capitalismo padronale e soprattutto dei fa­scisti, sempre più imbaldanziti dal successo delle proprie im­prese squadriste. In un’assem­blea di oltre trecento operai venne deliberata la ricostitu­zione della Lega Metallurgica ed il Segretario Siro Burgassi invitò gli operai a smussare gli angoli delle diverse correnti po­litiche per assurgere a nuova vi­talità. Fu quindi nominato il comitato direttivo composto da Botto Luigi, Belli Luigi, Carmagnini Luigi, Berisso Silvio, Petrini Roberto, Fiabene Enrico, Consiglieri Enrico, Niccoli Nico­lò, Sanguineti Alberto, Burgassi Siro, Pesce Pietro, Bregante Daniele, Ghiberti Primitivo.

Nell’ambito della Camera del Lavoro di Riva Trigoso era stata fondata anche una Lega di con­tadini capeggiata dall’avvocato socialista Marcello Cirenei di Sestri Levante e composta da più di 150 agricoltori e braccianti dell’entroterra. La Lega contadina fu protagonista di una importante manifestazione di protesta, conclusasi con arre­sti e violenze da parte dei cara­binieri, che ebbero una larga eco alla Camera dei Deputati. Da alcuni mesi a Sestri Levante i contadini e la classe lavoratrice, erano in agitazione contro l’Amministrazione comunale, che voleva imporre nuova­mente le barriere daziarie; un documento contro il minacciato dazio era stato firmato da nu­merosi cittadini, ma gli ammi­nistratori decisero lo stesso di imporre le nuove tasse. La mat­tina del primo marzo 1922 una colonna di 500 capi famiglia si recava in Municipio per prote­stare col sindaco ed occupava la sede comunale; i carabinieri, chiamati dagli amministratori, caricavano la folla percuotendo brutalmente anche una donna: certa Rollero, traendo in arresto la stessa, suo marito, alcuni altri contadini e il capo lega avv. Marcello Cirenei, che aveva in­vitato la forza pubblica a desi­stere dalle violenze. Il compor­tamento dei contadini e soprat­tutto quello degli arrestati era stato secondo la testimonianza dei presenti rispettoso e corret­to. Nella città venivano fatti giungere rinforzi composti da carabinieri e da guardie regie, che occupavano militarmente il Palazzo del Comune:” Sestri Le­vante era percorsa continua­mente da pattuglie militari che avevano l’ordine perentorio di sciogliere qualsiasi assembra­mento; solamente ai fascisti era lecito munirsi di bastoni, riu­nirsi compatti e circolare indisturbati con aria provocatrice. L’arresto dei manifestanti e l’occupazione militare della città destò grande scalpore e dalla Camera dei Deputati i so­cialisti Francesco Rossi ed Eu­genio Chiesa si fecero portatori della protesta dei lavoratori. L’on. Francesco Rossi presentò la seguente interrogazione: «Al Ministro degli Interni per sa­pere come intende tutelare e ri­pristinare in Sestri Levante l’ordine pubblico e il rispetto alle leggi violati per l’opera fa­ziosa delle autorità ammini­strative e dell’arma dei carabi­nieri che trasse in arresto l’avv. Marcello Cirenei ed altri onesti cittadini non appartenenti a partiti politici solo perché pro­testavano contro gli errati cri­teri di quella amministrazione comunale». Una commissione di manifestanti, guidata dal se­gretario della Camera del Lavo­ro, si recò a Chiavari in Sotto­prefettura dove veniva ricevuta dal Sotto Prefetto, il quale pro­metteva il suo interessamento per ottenere la scarcerazione degli arrestati; veniva intanto proclamato uno sciopero gene­rale e una grande manifesta­zione di protesta qualora i fer­mati non fossero stati rimessi in libertà: il 5 marzo gli arrestati venivano rilasciati.

L’atteggiamento repressivo assunto dalle autorità nei con­fronti della classe lavoratrice, la connivenza delle forze dell’or­dine con le squadracce nere mostravano come la vita democra­tica italiana fosse ormai irrime­diabilmente compromessa dal fascismo sempre più baldanzo­so. Nell’agosto del 1922 lo scio­pero così detto legalitario fu una prova generale della classe ope­raia contro il fascismo, ma l’esito fu del tutto insoddisfa­cente: dal centro venne organiz­zato assai malamente e non era ragionevolmente da prevedersi successo da una protesta legale (sia pure sciopero) contro squadracce armate, composte di fa­cinorosi senza scrupoli e senza riguardi e pronti ad ogni ecces­so.

I militanti socialisti di Sestri Levante furono ancora una volta in prima fila per combat­tere l’ultima battaglia, in difesa della democrazia morente sotto i colpi della reazione: gli antifa­scisti furono assoluti padroni della zona (da Chiavari a Deiva) per alcuni giorni; la Fabbrica dei Tubi ed i Cantieri Navali vennero occupati dagli operai che erano armati per difendersi dalle incursioni degli squadri­sti; sui tetti delle case di Riva Trigoso i lavoratori con i mos­chetti aspettavano i fascisti, che sembrava dovessero arrivare da un momento all’altro (in effetti non si fecero vedere).

I socialisti e i comunisti ar­mati di fucili, pistole, bombe a mano e spezzoni di dinamite pattugliavano le strade e presi­diavano i passaggi obbligati notte e giorno, mentre quoti­dianamente operai e contadini si riunivano nella Camera del Lavoro, dove l’avvocato sociali­sta Marcello Cirenei e il profes­sore comunista Fabrizio Maffi parlavano degli sviluppi politici della situazione e davano istru­zioni. Di notte, dai colli e per le vallate risuonava il richiamo dei corni che convocavano i conta­dini della plaga.

A Riva Trigoso tre socialisti: il diciottenne Dino Trinca, Osvaldo Sostegni ed Italo Galbiati venivano alle mani con dei giovani fascisti: dopo il furi­bondo pestaggio i carabinieri li arrestavano come delinquenti comuni, legandoli con delle ca­tene; i «neri» naturalmente po­terono liberamente andare a compiere altre imprese.

«Furono giornate di lotta e di passione – scrive – Marcello Cirenei in «Genova» rivista del comune nel settembre 1949 – ma ormai la fermezza e l’auda­cia spiegata in taluni paesi e cit­tà, dai soci al comunisti, non po­tevano impedire il fallimento dello sciopero, e tale fallimento rimosse ogni residuo dubbio o timore in ordine alla incapacità delle masse lavoratrici di op­porsi ai fascisti: virtualmente, nell’agosto 1922, in Italia fu pro­strato e vinto lo stato liberale; o meglio questi si arrese senza combattere, mentre a difendere lo Statuto del 1848, soli in campo rimanevano i lavoratori.

Terminato lo sciopero una parte degli operai colpiti da or­dini di cattura o da bandi di pro­scrizione si rifugiarono armati sui monti circostanti Sestri Le­vante: la reazione fascista non aspettò molto tempo a manife­starsi con violenze, bastonatu­re, incendi e saccheggi. I capo­rioni del partito fascista di Se­stri Levante fecero arrivare in città gli squadristi della «Mar­toriata» e della «Disperata» di Spezia, Carrara e Firenze: i cir­coli socialisti, le sedi dei partiti socialista e comunista, la Ca­mera del Lavoro vennero incen­diati e saccheggiati con la pro­tezione della polizia a cavallo; la bandiera della Camera del La­voro di Riva Trigoso venne sal­vata da un socialista di Trigoso detto «Muntagnin», che succes­sivamente perseguitato dovette espatriare in Francia: allora l’af­fidò al giovane socialista, Do­menico Muzio, che la nascose in una cascina di S. Bernardo; la bandiera del Circolo giovanile socialista fu ritrovata dopo la liberazione strappata e ridotta a brandelli in una sezione fascista di Torino; i libri della sezione socialista vennero nascosti da alcuni attivisti sotto terra in un orto di Riva Trigoso.

Oramai il fascismo era pa­drone del paese: a Sestri Le­vante il 3 novembre 1922, subito dopo la marcia su Roma, il Con­siglio comunale della città ras­segnava le dimissioni in segno di protesta; 5 giorni dopo, il Sotto Prefetto di Chiavari le re­spingeva imponendo ai consi­glieri di restare al proprio posto.

L’opera di «convincimento» dei più tenaci socialisti sestresi da parte dei picchiatori fascisti continuava con accanita soler­zia: alla Lapide di Pila sul Gromolo venne devastata una bot­tega dell’artigiano Angelo Fio­re; l’operaio Fico Giambattista, padre dell’eroico comandante della divisione partigiana «Coduri». pestato brutalmente, di li a poco tempo mori a causa, delle ferite subite; il socialista Raffo Mario stordito nei giar­dini pubblici a Sestri Levante e lasciatovi morente, si riprese dopo lungo tempo, ma rimase privo di un occhio; a Riva Tri­goso l’operaio Storti venne col­pito a calci e pugni di fronte ai carabinieri, che si limitavano ad assistere.

La resistenza socialista non si piegava neppure alle violenze: durante l’inizio della costru­zione della nuova stazione fer­roviaria un gerarca fascista venne fischiato dagli operai im­piegati nel cantiere; dopo al­cune ore tutti i lavoratori ven­nero licenziati ed arrestati: trat­tenuti in caserma per alcune ore, furono poi tutti rilasciati, eccezion fatta per due dirigenti socialisti Ugo Ferri ed Angelo Maberino.

A S. Bernardo, una frazione di Sestri Levante situata sulla col­lina, una squadraccia fascista, giunta con camionette per dare una lezione, fu respinta a sas­sate dai numerosi socialisti del luogo: alcuni giorni dopo venne arrestato l’attivista dell’entro­terra Fortunato Muzio che fu condannato a tre anni di confi­no. I socialisti continuavano ad incontrarsi ed a riunirsi clande­stinamente; i luoghi prescelti per vedersi erano i più disparati: dai cascinali sparsi sul Passo del Bracco ad una spiaggetta poco lontana da Punta Manara

Le domeniche d’estate Giu­seppe Pecunia, l’avv. Marcello Cirenei, De Floriani, il dott. Marchisio, Alberto Cirenei, Malatto Virgilio ed altri salivano sul gozzo del «Galletto» e anda­vano alla «Chiappa del lupo» dove fingendo di pescare discu­tevano delle violenze squadristiche, della resistenza da op­porre al fascismo, degli aiuti da prestare ai socialisti che emigravano in Francia per sfuggire al carcere o al confino. Molti fu­rono i sestresi esuli oltralpe tra i quali il segretario della camera del lavoro Siro Burgassi, che a Parigi diresse l’edizione dell’«Avanti!» per gli emigrati italiani. Nelle riunioni clandestine dei socialisti sestresi venivano di­stribuiti manifestini antifascisti inneggianti alla libertà, libri e giornali stampati segretamen­te: il 25 ottobre 1927 a Genova tre socialisti sestresi Giovanni Muzio, Amilcare Penna e lo stesso avv. Cirenei venivano processati nel dicembre 1925 e per la diffusione di volantini sovversivi; venivano assolti perché l’accusa non era riuscita a trovare prove sufficienti con­tro di loro.

Erano questi gli ultimi sus­sulti del movimento socialista sotto i colpi del fascismo: per 15 anni tutti i sestresi sembrarono accettare passivamente la dit­tatura: sarebbero stati gli scio­peri del marzo 1944 e la resi­stenza armata a dimostrare che la classe lavoratrice sestrese non si era mai piegata al regime.

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