Fasc. 30 – Doc. 13By Elio V. Bartolozzi “Ricordo di Cesare Dell’Orco, Biella” [Trani (BA) 03.01.1924/Varese Ligure (SP) 30.12.1944]. Dal suo Foglio matricolare e caratteristico si apprende che il giovane Cesare Dell’Orco (e non Dall’Orco, con la a, come si può anche leggere in parecchi testi a larga diffusione) nella sua prima visita medica d’idoneità al servizio militare (avvenuta il 19.10.1942) viene inserito nella classe di Leva 1924 del Distretto Militare di Vercelli. Dalla medesima fonte apprendiamo anche che era alto metri 1,73 e 0,83 cm di circonferenza toracica. Che aveva i capelli neri e lisci, gli occhi castani; che frequentava il 3° anno del R. Istituto Tecnico Industriale di tipo Elettrotecnico “Quintino Sella” di Biella; che conosceva abbastanza bene due lingue, il francese e l’inglese; che amava andare in bicicletta. Pertanto, espletate tutte le visite mediche e attitudinali previste, risultato “idoneo”, il Distretto militare suddetto lo arruolava, e, in stessa data, lo poneva in congedo illimitato provvisorio.

Poi: (V. Fig3- p. 3 sottoriportata) che in seguito a domanda soddisfatta, il 10.05.1943 era stato rinviato ad altra chiamata a mente del .5 lett. f del manifesto di mobilitazione.

Che il 19.11.1943 era stato chiamato alle armi a senso della m. 131 del 04.11.43 del ministro Dif. Naz. e giunto al Distretto Militare Vercelli il 27.11.1943.
Che il 27.11.1943 Tale nel 38 Rgt Fanteria predesignato per i Bersaglieri.
Che il 28.11.1943 Tale nel IV  btg Bersaglieri autonomo.
Che il 10.02.1944 Tale già ricoverato all’O.M. [N. evb- Ospedale Militare di] Alessandria è stato dimesso e rientrato al reparto.

Che  il 30 dicembre 1944 deceduto nel Comune di Varese Ligure.
Che il 28.03.1946 Verificato e Parificato a Vercelli.

                                                                                                                            Segue firma e timbro del Capo Ufficio Reclutamento e Matricola                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       

Note esplicative di evb

a). Fig1- p.1 [Nuovo Frontespizio F.M.] Appena sotto la linea del margine superiore di questa pagina è riportata (scritta a mano) la seguente nota: Rinnovata ai sensi del paragrafo 14 del regolamento sulle matricole.
b). Fig2- p.2 [Nuova pagina del F.M.] Dove, dentro la colonna di sinistra, vengono riportati dati fisici e contrassegni particolari di Dell’Orco Cesare; nella colonna di centro, l’introduzione riportata all’inizio di questo stesso articolo; sul margine destro (scritta a mano in senso verticale) la nota seguente: “Si approva la cancellatura in rosso dal [rigo] n° 5 al [rigo] n° 10 circolare 318 g.m. 945. – lì 12 – 3 – 1946″.
c). Fig3- p.3 [Vecchio frontespizio del F.M.] che si presenta deteriorato in vari punti e perciò la colonna DATI E CONTRASEGNI PERSONALI e quella superiore di ARRUOLAMENTO, SERVIZI, PROMOZIONI viene sostituita interamente dalla Fig.2- p.2; mentre la parte inferiore di p.3 rimane attiva e vi si può leggere “Allontanatosi arbitrariamente dal suddetto Reparto 28 giugno 944”. Ha fatto parte dal 28.6.944 al 30.12.944 della formazione partigiana “Div. Garib. Coduri Brig. Dell’Orco” operante in Liguria assumendo la qualifica gerarchica partigiana di “Comandante di Distaccamento”. Equiparato a tutti gli effetti, per il sevizio partigiano suddetto, ai militari Volontari che hanno operato in unità regolari delle forze armate nella lotta di liberazione (D.L. 6-9-946 N° 93)”. 
d). Fig4- p.4 Di questa pagina (che parrebbe essere rimasta alluvionata o conservata in luogo molto umido) viene occupato il solo “Specchio B del F.M. denominato Campagne, Azioni di guerra ecc.” dove sono registrate solo due  notizie: 1). Ha partecipato dal 28.6.944 al 30.12.944 alle operazioni di guerra svoltesi in territ. Metropolitano con la formazione Partig. “Div. Garib. Coduri Brig. Dell’Orco”. Riconosciutagli la qualifica di Comandante di Distaccamento- Caduto con foglio N.13190 dalla Commissione Regionale per l’accertamento delle qualifiche per i partigiani che hanno operato in Liguria. (N.B.: Le parti di testo riportate in corsivo sottolineato, nell’originale sono scritte a mano; mentre le rimanenti sono impresse con apposito timbro).
2). Concessagli la medaglia di Bronzo al V.M. “alla memoria” con la motivazione: “Studente ventenne costretto ad arruolarsi in un reparto repubblichino, immediatamente disertava passando nelle file partigiane. Sempre primo fra i primi nel corso di innumerevoli azioni, era di esempio a tutti per entusiasmo, ardimento e sprezzo del pericolo”. Ferito con altri compagni nel corso di un  combattimento, visto il nemico gettarsi su questi, e barbaramente colpirli, dopo aver tentato di difenderli preferiva togliersi la vita piuttosto che cader vivo nelle loro mani – Zona di guerra, 30 dicembre ‘944, brevetto del Presidente della Repubblica in data 17 gennaio 1957 .  

Seguendo invece l’excursus (sia pur succinto) del partigiano Dell’Orco Cesare attraverso la documentazione che lo riguarda e susseguente la fine della guerra, troviamo vari spunti d’interesse.
Il primo ente a muoversi per concretizzare un percorso di memoria del partigiano Biella sarà lo stesso comando della Coduri, con una lettera datata Chiavari, 17 maggio 1945 e indirizzata alla famiglia [però fatta recapitare tramite la Benemerita perché il Comando della Coduri non disponeva più del suo indirizzo di casa, andato distrutto insieme a gran parte dell’archivio della stessa Divisione durante lo scontro armato del 29/12/44, contro forze della RSI].

Seguirà poi il REI (Regio Esercito Italiano) con l’invio di una Lettera-Precetto (V. fig.7) datata 4.3.46 dove tassativamente stava scritto che alla recluta Dell’Orco il giorno 18.3.46 correva l’obbligo di presentarsi al sindaco di Biella per essere inviato alla sede del Distretto Militare di Vercelli, dove il mattino presto del giorno dopo doveva puntualmente darsi presente. A termini di legge sarebbero state deferite ai tribunali militari quelle reclute che, senza legittimo motivo, non si fossero presentate entro i limiti di tempo stabiliti. 
Datosi però che il giorno prefissato la recluta Dell’Orco non poteva certo essere presente alla chiamata perché deceduto, il Comando del Distretto Militare di Vercelli, lo stesso 19 marzo (V. fig.8), trasmetteva mandato di ricerca del mancante al Comando della Stazione RR. CC. di Biella; e questi rimetterà puntualmente “L’esito dei suoi accertamenti” tramite appunto scritto a mano, col lapis, posto in fondo allo stesso modulo del Distretto richiedente: Deceduto il 29.12.1944 a Varese Ligure mentre si trovava nelle brigate partigiane Divisioni ‘Coduri’. 

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        A questo punto, volendo presentare un breve profilo di Biella, il più aderente e autentico possibile, con riguardo mi affido a quello che ha lasciato scritto uno che lo ha potuto conoscere e avuto come compagno nel Distaccamento più conosciuto e divenuto poi Brigata Zelasco, mentre ad un altro Distaccamento della Coduri fu dato in seguito, proprio quello del partigiano caduto in battaglia Dell’Orco Cesare “Biella”. Ed ecco, dal diario di memorie del comandante della Brg. Zelasco “Riccio” le affettuose e fraterne parole di commiato rivolte al partigiano “Biella”. 

             Dal libro  NE È VALSA LA PENA? (pag. 527/529) di Aldo Vallerio “Riccio”, a cura dell’A.N.P.I. di Sestri Levante, Tipo-Litografia A.G.I.F., Genova, Dicembre 1983.

         CESARE DELL’ORCO «BIELLA» 

Cesare Dell’Orco, che da partigiano si chiamava «Biella», era stato per un certo  periodo anche nel mio distaccamento. Era uno studente biellese, che si esprimeva volentieri con la tipica intercalata dei «bugia nem» e prendeva ogni cosa con spirito e con tutta una particolare filosofia. Intelligenza lucida, il ragazzo piemontese, che si era fatto crescere rapidamente baffi e barbetta, non era uno stacanovista del sacrificio, nel senso che non risultava mai il primo ad alzare la mano quando c’era da affrontare un incarico, una incombenza o una fatica. Si può anzi tranquillamente dire che era anzichenò un pigro, se è vero che per svegliarlo, quando doveva montare di guardia o andare di pattuglia, eri costretto a sudare le proverbiali sette camicie.

Era tuttavia di una vivacità e di una simpatia straordinarie. Lo vedevi spesso, in mezzo al branco, mentre raccontava curiosità, aneddoti, barzellette, e da quella parte ti giungevano in quei momenti rumorosi schiamazzi, risate chiassose, espressioni colorite e piccanti, ed era sempre lui il capintesta ed il protagonista indiscusso che muoveva la scena.

Poi quando il mio distaccamento fu dislocato a Iscioli, lui chiese ed ottenne di essere trasferito in un distaccamento dislocato in zona meno esposta, forse perché temeva, egli che era fuggito armi e bagagli dalla Repubblica di Salò, di cadere nelle mani dei suoi ex camerati, che sicuramente, in considerazione del suo «tradimento», se fossero riusciti a catturarlo, lo avrebbero servito di barba e capelli. Era quindi consapevole di non dover cadere nelle mani del nemico. Meglio morire piuttosto.

Ed egli valutava giustamente, che fare il partigiano a Valletti, Codivara o Comuneglia, comportasse forse meno rischi, che invece, in un distaccamento che di frequente scendeva in città, e comunque incaricato di presidiare sistematicamente zone piuttosto esposte. Ma purtroppo i rischi li corse lo stesso. Finì addirittura con il cadere nell’imboscata della Gattea. Non nella zona di S. Vittoria, che lui giudicava pericolosa, ma in territorio di Varese Ligure dove si considerava più coperto.

Ironia del destino, ed a dimostrazione che allora non esistevano zone coperte e sicure perché il pericolo ed il rischio di morire poteva correre dappertutto.

Quella sera io ero a Riva Trigoso in azione, e non posso testimoniare in assoluto su quello che è successo sul costone maledetto della Gattea. Pur tuttavia conoscendo piuttosto bene il carattere ed il modo di pensare di «Biella» non mi è stato difficile ricostruire gli attimi tremendi che hanno preceduto la sua morte. Una morte in parte tragica ed in parte eroica.

Mentre gli alpini della Monterosa sparavano da tutti i lati, e molti partigiani erano già riusciti a portarsi in salvo, egli che si era attardato a valutare meglio la situazione, tentò a sua volta una sortita in quel momento impossibile e disperata, perché il nemico, che nel frattempo aveva completato l’accerchiamento, sparava a colpo sicuro. Un autentico tiro al piccione.

Bisognava in ogni modo tentare. Piuttosto morire che cadere vivo nelle mani del nemico.

Così, nel momento più difficile di tutta la sua esperienza partigiana, benché morto di sonno e spossato dalla stanchezza, vinse alla fine la sua proverbiale pigrizia, si buttò fuori in uno slancio generoso sparando per primo, nel tentativo senza speranza di riuscire ancora ad aprirsi un varco, che consentisse a lui ed ai compagni ancora intrappolati, di rompere il cerchio implacabile che li stringeva ed a mettersi in salvo. Fu subito centrato ad una gamba e inchiodato a terra, mentre tutto attorno gli alpini sparavano, sparavano senza sosta e senza fine, e molti di loro erano ebbri di gioia per come gli riusciva facile questa specie di tiro al pettirosso. Di questo cinismo belluino e fratricida raccontano alcuni testimoni oculari, che sono scampati al massacro, i quali hanno riferito di certi alpini che pubblicamente si vantavano di avere ammazzato in questa occasione più partigiani che altri loro camerati.

         Benché colpito Biella, si difese con disperazione e con lucidità al tempo stesso, ma ad un certo punto quando si accorse che la ferita alla gamba era di tale gravità che non gli avrebbe mai consentito di muoversi da lì e di porsi al riparo, portò la canna del suo «tapum» sotto il mento, schiacciò convulsamente il grilletto e per lui fu la fine.

        E quando io vidi il suo corpo allineato fra gli altri caduti alla Gattea, sul sagrato della chiesa di Varese Ligure, mi sembrò persino sereno, anche se quel filo rosso di sangue che gli colava ancora caldo dal naso, testimoniava un coraggio e una determinazione, che onestamente non gli riconoscevo.

        Il coraggio di aver saputo affrontare la morte, consapevole di dover morire nell’estremo tentativo di aprire un varco per sé e per gli altri. Non a cadere vivo nelle mani del nemico. L’aveva sempre detto. E si sparò. Ma c’era in questo suo modo di morire, anche il senso della beffa, del «non te la do vinta», del «non mi avrai vivo», e dell’orgoglio inteso come espressione personale.

        Infatti gli alpini che se lo avessero preso vivo gli avrebbero certamente fatto pagare caro quello che loro consideravano un tradimento, e che per «Biella» era stato invece un modo per riscattare la vergogna fascista, si trovarono di fronte al cadavere di un uomo. Un uomo vero, che piuttosto di arrendersi e cadere prigioniero, aveva preferito morire.

        Ecco la forza di Cesare Dell’Orco detto «Biella». Piemontese puro sangue, ed anche un po’ scansafatiche, il quale seppe però dignitosamente affrontare con lucidità e coraggio, l’estrema e sicuramente più dura fatica, quella di morire come sanno fare soltanto gli uomini. Gli uomini autentici.

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