Fasc. 20 – Doc. 01; a cura di E.V. Bartolozzi: ovvero, Genova, la resa dei nazisti.

S.E. Giuseppe Card. Siri (Genova, 20.05.1906/02.05.1989), Memorie sulle vicende genovesi 1944-45″ già pubblicate sulla Rivista Diocesana (N° 3 – Maggio-Giugno 1975) della Curia Arcivescovile di Genova (di cui sotto viene riportata la sola pagina del Sommario); e successivamente, sempre nell’anno 1975,  ripubblicate in tre distinte puntate sul quotidiano IL SECOLO XIX (di Dom. 20 luglio –  Mer. 23 luglio – Dom. 27 luglio). Per una più agile lettura, nell’impaginazione ivi riportata, scannerizzata, si è preferito tenere distinto il contenuto d’ogni singola pagina mantenendo pure inalterata la loro numerazione, che rimane la stessa di quella della Rivista Diocesana. Al momento, i testi riportati sono quasi tutti privi di foto, ma il lavoro è da ritenersi parzialmente in lavorazione e quindi via via potrà subire modifiche anche d’una certa importanza.

 

STORIA GENOVESE

1. Memorie sulle vicende genovesi 1944-1945 di S.E. Giuseppe Card. Siri

Dopo quasi trent’anni dagli avvenimenti e dopo aver assistito silen­ziosamente a tutte le ricorrenti esibizioni, dopo aver sentito falsità di valutazioni, mi sono deciso a scrivere queste memorie.
Dopo trent’anni in cui mai mi sono esibito e nulla ho chiesto a nessuno, credo di poter essere credibile. Scrivo per la sola verità.

La mia vicenda del 1944

Venni consacrato Vescovo Ausiliare di Genova il 7 Maggio 1944. Era domenica ed allora festa di Santa Caterina da Genova. Dal venerdì antecedente, al martedì seguente non si ebbe neppure un allarme aereo. Tutto si svolse in pace nonostante i giusti e motivati timori.
Nel mese di Maggio e di Giugno ebbi molto da fare per la ammini­strazione della Santa Cresima. Più d’una volta mi trovai in Chiesa, amministrando quel Sacramento, con una folla che, dato l’allarme, non si muoveva: avevano la convinzione che col Vescovo e con quel rito sacro le bombe non sarebbero cadute lì.
Alla fine di Giugno ero veramente stanco. Il Cardinale Boetto mi consigliò di prendermi finalmente un periodo di riposo. Infatti benché il Seminario dove continuavo l’insegnamento della Teologia fosse a Ruta io andavo là e subito ritornavo: non ho abbandonata la città. C’erano i poveri, c’era l’Auxilium, c’erano i disastrati.
Mi ritirai alla Guardia. Il 6 Luglio, camminando per monti e por­tandomi la valigia con tutto l’occorrente, andai a dare la Cresima ad alcuni giovani sfuggiti ai rastrellamenti e che il Prof. Caboara ospitava in una sua tenuta fuori mano nel territorio di Sant’Alberto di Sestri. Ritornai per monti. Nel pomeriggio del 7 capitò Don Viola, mandatomi dal Cardinale, coll’ordine di fuggire dalla Guardia e ritirarmi in luogo più sicuro, perché pareva decisa la mia incarcerazione ed il mio trasfe­rimento in un lager di Germania. Raccolsi subito le mie poche cose, salutai il Rettore, Mons. Malfatti, il quale avendo intuito di che si trattava, piangeva e presi la guidovia. Stavo colla mia valigia sulla piattaforma anteriore per poter tenere visivamente sotto controllo la stazione ter-

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minale, che si presentava ad ogni svolta del monte verso levante. Ero deciso, se vi avessi scorto qualche movimento sospetto di gettare la vali­gia e me giù dal treno e risolvere la situazione camminando per le bal­ze di Ceranesi. Vidi nessuno ed arrivai alla stazione. Intanto avevo formulato il mio piano: avrei cercato — certo pericolosamente — di raggiungere Teglia al Molino Boccardo. Quasi tutti i figli Boccardo erano stati in un modo o nell’altro miei alunni; sapevo che ogni tardo pomeriggio partivano su un loro camioncino per Casella dove avevano una villa. Avrei chiesto un passaggio, fermandomi prima di Casella a Vallecalda ove avrei chiesta ospitalità per quella sera e quella notte a Don Debarbieri, parroco. Presi il tram verso Genova colla avvertenza di stare sulla piattaforma del manovratore, anche qui per squagliar­mela in tempo colla mia valigia, se avessi visto qualcosa di sospetto. Arrivai al molino Boccardo. La ragione della richiesta di un passaggio la dissi solo a Maurizio, che stimavo capace di tenere il becco chiuso. Dovetti attendere quasi un’ora per un guasto al camioncino e finalmen­te si partì. Durante il viaggio chiesi a Maurizio se avesse potuto venire a prendermi la mattina dopo alle 5,30 a Vallecalda, senza però dir niente ai suoi. Maurizio promise. Quando bussato alla porta il parroco venne ad aprirmi, capì al volo che succedeva, si fece bianco, mi accolse e rimasi con lui. Lì trovai a riposarsi don Cicali, mio aiutante all’Auxilium. Quando il mattino dopo partii sul camioncino di Maurizio, volle accompagnarmi, nonostante le mie proteste. Fu generoso. Mi feci por­tare dentro la valle Brevenna fino al punto più vicino donde si stac­cava la mulattiera per Carsi. Cicali volle venire su con me per aiutarmi a portare la valigia. Fortunatamente il paese era deserto e trovammo solo ad un balcone un povero deficiente, che capì nulla. È difficile descrivere la sorpresa del parroco Reggiardo mio antico compagno di scuola molto caro e buono. Gli chiesi ospitalità. Subito mi preoccupai di due cose: assicurare il mio incognito e stabilire un ponte informativo con Genova. Per l’incognito chiesi l’elenco degli sfollati: due famiglie i cui figli erano stati miei alunni al « Doria ». Li mandai a chiamare e dissi chiaro che dovevano tenere, se volevano salva la mia testa, il becco chiuso anche in casa. Io ero un professore di Genova, ammalato di nervi, ritirato lassù per sistemarseli alla meno peggio. Stettero esem­plarmente alla consegna. Io infatti volevo evitare che i partigiani sapes­sero della mia fuga, perché l’avrebbero cantata su tutte le radio e così mi avrebbero impedito di tornare a Genova, ove stava il mio dovere, fino alla fine della guerra. Ero ben certo infatti che quando avessero cominciato a temere fascisti e tedeschi, sarei stato dispensato io dall’aver paura ed avrei potuto tornare al mio posto e al mio dovere. Ritenevo che questo sarebbe accaduto entro un tempo breve. Come fu. Per il ponte informativo mi intesi con don Cicali, il quale poteva rice­vere a Vallecalda i miei messaggi, trasmetterli e poteva farmi avere i messaggi da Genova.

La posizione della canonica di Carsi, alla estremità nord del paese, in prossimità di un prato e del bosco, favoriva il mio isolamento.
La gente seppe di me, ma quando vide che ogni mattina alle sei,

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uno dei due miei alunni, il Dott. Carlo Anselmi (l’altro era Rossi) veniva a servirmi la Messa disse: « povero prete, è così malandato che per dire Messa gli ci vuole il prete » ed io fui al sicuro. Me la sbrigai abbastanza comicamente in una congiuntura in cui io fui sul punto di essere rico­nosciuto dal parroco di Pentema, venuto in visita a Carsi e tutto pro­cedette bene. Dopo circa venti giorni ebbi la certezza che le cose comin­ciavano a cambiare e decisi di ritornare clandestinamente alla Guardia. Non che il pericolo fosse scomparso, ma i miei persecutori cominciava­no a doversi occupare d’altro ed io potevo tentare. Col favor delle tene­bre feci il viaggio di ritorno e salii un’altra volta alla Guardia. Là stavo tutto il giorno in casa e solo — almeno al principio — uscivo al tra­monto sul retro dove sta il nuovo bosco di pini. Nel frattempo appresi — eravamo in agosto — lo sbarco degli alleati in Normandia e com­presi che il destino della guerra era segnato. Cominciai a mettere la testa fuori dell’uscio e il giorno dell’Assunta tenni Pontificale ed Omelia in Basilica. Dopo scomparvi e tutti gli abitanti del Santuario, meno il Rettore e il Chierico Garello (mio abituale compagno nelle uscite) si credettero che fossi arrivato e ripartito. In questo mese vennero alcuni a cercarmi e mi accorsi di loro mentre stavo verso Lencisa con Garello. Finsi una scommessa di velocità col Chierico e lo lanciai a testa bassa all’insù contro di loro; io mi gettai a terra dietro un mucchio di terric­cio, raggiunsi carponi la guidovia, le gallerie e passai così dall’altra parte del monte. Più tardi col favor delle tenebre risalii al Santuario. Il fatto non impedì che facessi la funzione del 29 e che mi recassi a piedi via monti, portandomi nella valigia tutto l’occorrente, a Pede­monte per amministrarvi la Cresima. Avevo fatto spargere la voce che ci sarebbe andato Mons. Canessa. Finito, passando dietro la Chiesa sparii e per la stessa lunga faticosa via me ne tornai alla Guardia. In Settembre — dato lo svolgimento degli avvenimenti bellici — presi mag­gior coraggio e pregai il Cardinale Boetto di mettermi in alcuni giorni della settimana il ritorno al mio ufficio in Genova. Resistette per un po’, poi cedette. Dopo la metà del mese (non ricordo il giorno esatto) il Cardinale si sentì poco bene, si ritirò a Carrosio, convinto di non tornare più e lasciò per me due grandi buste sul suo tavolo. In una c’era la mia nomina a Vicario Generale con tutte le facoltà per sosti­tuirlo in tutto; nell’altra c’erano le istruzioni: facessi la Professione di Fede prescritta per la carica davanti a chi volevo, usassi per ricevere la sua stessa stanza con qualche altra indicazione di dettaglio. Era un sant’uomo di governo, incredibilmente preciso. Arrivò per primo Mons. Fulle; lo pregai di ricevere la mia Professione di Fede, presi posto nella sedia del Cardinale e cominciai a governare tranquillamente, come se nulla fosse successo. È a questo punto che comincia il mio diretto lavoro nelle vicende non solo ecclesiastiche, ma civili di Genova. Stavo in Seminario, venivo a ricevere nella residenza dei Gesuiti dove abitava il Cardinale, andavo per le mie funzioni e per prima cosa mi occupai di far ritornare i due Seminari al Chiappeto, dove c’era meno pericolo, una profonda galleria rifugio e miglior possibilità di rifornimenti per dar da mangiare ai ragazzi. Il primo atto fu di comperare a Reggio quattro lattonzoli per iniziale l’allevamento maiali, cosa che non ero

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riuscito prima a far entrare nella testa di nessuno. Dopo qualche mese quei poveri ragazzi videro arrivare i primi frutti di quell’allevamento: fu come una visione.

Gli approcci

Già prima della mia promozione all’episcopato avevo avuto occa­sione di occuparmi in qualche modo dei Partigiani. Erano pochi, sfug­givano ad una persecuzione, erano degni di rispetto e di aiuto. Tra loro avevo un certo numero di miei alunni. Fatto Vescovo non mutai senti­menti e lasciai che qualche sacerdote stesse con loro, per curarli spiri­tualmente. Tra loro qualcuno dimostrò coraggio e lealtà non comuni. Le cose si modificarono quando la sfortunata e stupida legge Graziani obbligò giovani e uomini ancora indenni da quella pazza guerra al servizio militare nella certa prospettiva di finire in chissà quale parte d’Europa e soprattutto in Russia, ove si conduceva la più dissennata delle campagne militari. Molti, moltissimi di questi scelsero la monta­gna come l’alternativa più prudente. Il volto dei Partigiani, ingrossato da questo numero cambiò. Logicamente: non tutti si nasce eroi e la resistenza dopo la legge Graziani non fu quella di prima. Il giudizio storico deve tener conto di questo in mezzo alla straripante retorica. Io tenni i miei giudizi per me e cercai di giovare a tutti: non toccava a me giudicare, per fortuna! Ma nel corso di questa vicenda dovrò par­lare ancora dell’argomento.

Man mano che ci si avvicinava alla fine del 1944 si delineava sem­pre più chiara la prossima disfatta della Germania. Lo capirono anche i più illuminati tra i Tedeschi occupanti. Tanto il Cardinale Boetto che io comprendemmo che bisognava fare qualcosa, organizzando, perché quando fosse venuta l’ora desiderata non si avesse un inutile bagno di sangue. Pienamente d’accordo e munito io di ogni facoltà, per ovvie ragioni di segretezza cominciammo a filare la nostra tela in modo indi­pendente. Egli, il Cardinale, aveva contatti con un generale dell’esercito italiano, che da tempo conosceva e con lui cercava il modo di rendere meno tragico il passaggio da uno stato di occupazione ad uno stato, sia pur breve di una certa anarchia. Ebbe anche qualche contatto (non ne conosco il modo) col Generale Meinhold, il quale aveva il suo quar­tiere a Savignone.

Io, prima di passare a piani concreti per un avvenimento che dove­va accadere dopo circa quattro mesi, mi occupai piuttosto di assicurare, attraverso l’Auxihum, il necessario cibo alla Città. Genova è in una posizione tale che con due dozzine di mitragliatrici può essere (parlo di allora) isolata perfettamente e costretta a morire di fame. Nel Gen­naio del 1945 mi accinsi all’impresa, insieme al mio caro e generoso, coraggiosissimo amico il Comm. Malcovati. Partimmo insieme per la Lombardia per cercare di fare incetta di riso e di burro – formaggi. Viag­giammo tra neve e ghiacci con avventure persino comiche a non finire, ma dovevamo pure arrivare a San Pellegrino in alta Val Brembana,

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Dove risiedeva il Ministero dell’Agricoltura, al quale competeva rilascia­re i «buoni» per ottenere le derrate. Si dovette aggiustare la macchi­na più volte, ci rubarono persino la chiave inglese usata da un mecca­nico: si arrivò verso sera di una giornata polare. Al Ministero caddero dalle nuvole quando seppero chi ero e non nascosero la loro meravi­glia che proprio io andassi a chiedere pane per Genova. Però la mera­viglia fruttò: telefonarono immediatamente al Ministro, che era a Vene­zia (così mi dissero) e questi udito il mio nome disse semplicemente « Dategli tutto quello che chiede ». In fin dei conti io non lavoravo per me, ma per i miei concittadini! Facemmo man bassa di buoni e Malco­vati aduso agli affari la fece più di me e con più arte di me. Partimmo felici, mangiucchiammo qualcosa in macchina e a notte incominciata cominciammo la ritirata giù per la valle Brembana. Ci ritrovammo a notte fonda nella pianura a sud ovest di Bergamo. Nessuna stella, nessu­na luce, nessuna strada perché tutto era scomparso sotto il manto spesso della neve. Riuscii a orizzontarmi qualche poco e conclusi che dovevamo essere a non molta distanza da Trezzo d’Adda. Ma era poi così? A mala pena scoprimmo un casolare; Malcovati che aveva una faccia degna del suo coraggio andò a fare tale baccano alla porta di quella buona gente, che si svegliò tutta forse temendo si trattasse di una solita razzia. Se non ci coprirono di contumelie deve essere stato nel capire che non eravamo né guardie nere, né tedeschi: effettivamente stavamo vicini a Trezzo d’Adda. Come Dio volle arrivammo a Milano in casa di Malco­vati. Al mattino occorsero molti secchi d’acqua bollente per togliere il ghiaccio e permettere alla macchina di riprendere. La nostra scorri­banda fu da Melzo a Sannazzaro dei Burgondi. Dovevamo ogni tanto abbandonare la macchina e metterci bocconi nelle cunette laterali per sfuggire ai bassi mitragliamenti nemici, ma riuscimmo a tutto. Venne il momento di ripassare il Po. Caricammo la macchina su una zattera che traghettava il fiume. Ci piombò addosso una formazione aerea, mentre eravamo in mezzo al fiume. Malcovati mi spinse svelto nell’abitacolo rudimentale della zattera; lui restò fiero sulla tolda colle braccia fiera­mente conserte a guardare la formazione, come se la passasse in rivi­sta. Non dimenticherò mai la figura massiccia di quell’uomo straordi­nario, dritta verso il cielo. Non mitragliarono e non ne capisco il perché dato che avevano raggiunta una bassa quota giustificata solo dalla deci­sione di un mitragliamento. Prima dell’una riuscii finalmente a comin­ciare la Santa Messa, accanto alla tomba di don Orione a Tortona. Il minimo di approvvigionamento per i sinistrati genovesi era assicurato. Sebbene a questo punto, seguendo la cronologia, dovrei riprendere il filo interrotto, credo opportuno finire qui il discorso sull’approvvigio­namento, perché oltre ad essere importante in sé e per la storia, ha un elemento che a me parve sempre profondamente comico. Avevamo le assegnazioni, avevamo le scorte in Lombardia. La questione grave stava nei trasporti. Ed eccola. I partigiani avevano deciso di non lasciare transitare per la valle Scrivia e per valli parallele alcun approvvigiona­mento diretto a Genova, ritenendolo destinato ad alimentare Tedeschi e Fascisti. Forse riusciva loro difficile ricordarsi che c’era dell’altra gente e molta, che aveva onestamente fame. Qui cominciò la tessitura             

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di una diplomazia strana, arte nella quale io non mi ero mai esercitato. Riuscii a metter d’accordo i Partigiani (che serbavano di me buon ricor­do e sapevano quanti dei loro amici avevamo strappati alla morte), i Fascisti e i Tedeschi. Combinai una specie di conferenza alla quale io avrei rappresentato tutti coi capi partigiani in Rocchetta Ligure. Questa era in zona saldamente partigiana, perché la lunga gola del Borbera tra Persi e Pertuso, nella quale nessuno poteva transitare essendo sal­tati i ponti, proteggeva il covo partigiano e nessuno dei tedeschi si sarebbe sognato di andare a farsi ammazzare in quel buco tanto gra­tuitamente.
Naturalmente mi accompagnò quel fegataccio di Malcovati e Don Nicola degli Orionini.

A Vignole scesi per ringraziare il comandante tedesco, che si era mostrato singolarmente comprensivo nel favorire l’incontro, procedem­mo finché si potè e lasciammo la macchina sul ciglio del burrone, prima dell’ultimo ponte distrutto. Dall’altra parte ci attendevano con una jeep i partigiani. Proseguimmo fino a Rocchetta Ligure dove ebbe luogo l’incontro. Della riuscita di questo debbo dare atto anche al comandante locale « Scrivia ». La seduta durò a lungo ed io perorai come potevo la causa della popolazione votata alla fame; chiedevo solo non si impedisse l’afflusso dei viveri dal Piemonte e dalla Lombardia. La discussione fu estenuante tra i sì e i no. Finalmente uno dei pre­senti, di cui credo bene tacere il nome e che sedeva dall’altra parte di fronte a me, uscì a dire che « in fin dei conti la popolazione avrebbe dovuto seguire l’esempio dei partigiani e rifugiarsi nei monti ». A questo punto persi la pazienza; dimostrai che la popolazione erano le loro donne, i loro figli e parenti, che era stupido pensare a portare sui monti non eccessivamente vasti ed appena sufficienti a quelli che vi si trova­vano centinaia e centinaia di migliaia di persone in parte d’età avan­zata. Nella mia perorazione mi scaldai, davanti a tanta asineria, fino a perdere del tutto il lume della ragione (l’unica volta in vita mia). Vomitai tutte le parolacce che avevo sentito da bambino nei vicoli di Genova e che mai avevo usato, parlai col linguaggio dei facchini e (non si offendano!) dei portuali, ebbi sulle labbra tutti gli improperi e gli insulti e tutto feci di un solo fiato per più di mezzora, senza accorgermi affatto che stavo parlando un linguaggio poco adatto alla mia condi­zione di Vescovo. Non ne ebbi mai rimorso, perché non mi sapevo quel che dicevo, però vinsi. Si accettò la mia proposta e si passò ai dettagli. Audite insulae! Vollero che i trasporti fossero solamente per camions, pretesero che fossero targati « Città del Vaticano », che i con­ducenti avessero un tesserino col sigillo del Cardinale Boetto e la mia firma. Niente di simile si sarebbe potuto immaginare, ma credo che nei momenti gravi le scelte indichino una verità. Accettai tutto (poi mi sarei arrangiato), ci stringemmo la mano e ci lasciammo sorridenti. Visitai i loro feriti, benedissi la salma di un loro morto, ci ritirammo in canonica, dove quel buon Arciprete ci ospitò per la cena e per la notte. Al mattino di buon’ora fummo sulla via del ritorno, concertando il da farsi lungo il cammino. A Vignole accadde l’imprevisto. Ero sceso per

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salutare il comandante tedesco che mi attendeva e al quale brevemente dissi che tutto si era sistemato in modo passabile per la Città, quando lo vidi impallidire e tendere l’orecchio. Compresi subito: c’era un attac­co partigiano. Ci congedammo in fretta e imboccammo il borgo. Sen­tendo le sparatorie, abbandonammo la macchina e riparammo in un portone, chiudendolo. Fu Provvidenza perché quel portone venne ripe­tutamente colpito da proiettili di piccolo calibro, ma che, se ci aves­sero raggiunto, ci avrebbero fatto fuori.

Quando cessò pensammo di ripartire: oltre tutto io avrei dovuto celebrare sul tardi di quella mattina il matrimonio di Maurizio Boccardo. Però prima di rimetterci in marcia presi i miei provvedimenti: i peri­coli erano gravi, se l’attacco riprendeva, come era più che probabile, ed io avevo un timore solo, nel caso fossi stato ucciso: nel cassetto della mia scrivania stava una forte somma, datami da Malcovati per aiutare i sinistrati ed io dovevo evitare che quei denari cambiassero destina­zione. Scrissi un biglietto per avvertire; me lo misi in tasca: nel caso lo avrebbero trovato, letto. Fatto questo ci mettemmo in moto sten­dendo un drappo abbastanza bianco sul tetto della macchina. Io seguivo a piedi cercando di ostentare quanto potevo i miei filetti violacei e i fiocchi verdi del cappello: pensavo che mentre carmminavo nel fondo valle allo scoperto, forse vedendomi avrebbero desistito dallo sparare. Facemmo uno o due chilometri a quel modo e fu un supplizio. Non mi presero e ne ringraziai Dio. Finalmente, dopo Vignole, entrammo nella trincea in fondo alla quale correva il collegamento colla camionale e ci sentimmo salvi. Volammo e in quaranta minuti fummo a Genova, troppo tardi ormai per fare il matrimonio di Maurizio Boccardo!

Malcovati ed io ci demmo da fare per preparare l’occorrente ad eseguire i patti di Rocchetta. Niente dicemmo a nessuno; abbiamo fab­bricate delle targhe SCV da applicare ai camions dell’Auxilium, colla gomma intagliata e colla mollica di pane mettemmo insieme una specie di timbro col segno della Santa Sede. La cosa fu meno faticosa per i tesserini e per le bandiere, della Santa Sede, delle quali dovevano esse­re muniti tutti i camions. Da allora il Prefetto di Genova dovette rivol­gersi a me per gli approvvigionamenti: la cosa poteva sembrare pic­cante, ma per me non lo fu: non avevo tempo di pensare a quelle cose. I magazzini furono riempiti e nei giorni dopo la cessazione della occu­pazione tedesca tutti videro a che cosa servirono.

La fine dalla guerra

Sulla fine di Marzo e nei primi di Aprile 45 cominciai gli approcci diretti, per concretare. Presi contatto con due personaggi, che credo ancora vivi, al momento in cui vergo queste memorie ed ai quali si volge tuttavia il mio pensiero grato.
Il primo fu il Comandante Arillo, che soprintendeva per la parte italiana al porto di Genova. Ricordo che il nostro primo colloquio per organizzare col minimo di vittime il trapasso dall’una all’altra situazione

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avvenne nella mia stanza del Seminario Vecchio, sotto un bombarda­mento. Lui non si mosse, io neppure. Continuammo tranquillamente il nostro discorso e alla fine eravamo vivi.
Il secondo fu il ministro plenipotenziario tedesco Hasso von Etzdorf. Era un gran signore, diplomatico perfetto, di alta intelligenza. Lo ricordo con affettuosa stima. Il modo dei nostri colloqui era molto singolare. Egli non disse una parola che potesse suonare, umiliazione, condanna, sconfitta per il suo Paese, il suo comportamento non poteva essere nei riguardi della Germania più nobile e più coerente. Io inter­pretavo quello che lui pensava senza dirlo e rispondevo in conseguenza. Lui accoglieva ed accettava quello che io dicevo e proponevo, col suo silenzio: chi avesse ascoltato il nostro singolare e diplomatico collo­quio, probabilmente non ne avrebbe capito il filo. Il piano che ne uscì fu il seguente: i tedeschi si sarebbero ritirati per la Polcevera e la Scrivia, i Partigiani sarebbero scesi per il Bisagno. In tal modo non si sarebbero incontrati, almeno nei pressi di Genova, si sarebbero evi­tati scontri inutili e sanguinosi, non si sarebbero recati danni ai civili, ossia ai genovesi. In realtà i tedeschi si sarebbero sostanzialmente atte­nuti a questo piano. Quanto ai Partigiani non scesero in massa a Geno­va se non, come dirò meglio, il 27 Aprile insieme all’arrivo degli Ameri­cani e comunque raggiunsero la città dal Levante e dal Bisagno. Capivo e sapevo già prima che non avrebbero fatto altrimenti; quanto ai tede­schi non potevano avere per la ritirata che l’itinerario previsto. L’inco­gnita restava — e lo si vide — per quello che si sarebbe levato dalla città stessa, dove tutta la gioventù era praticamente inquadrata nella TODT, ma che si sapeva percorsa da sentimenti ben poco benevoli nei confronti dei Tedeschi, che pure servivano nella loro organizzazione.

A questo punto debbo iniziare il discorso più importante di queste memorie. Dei giorni che vanno dal 21 Aprile al 27 dello stesso il mio compianto segretario don Mino Pesce, tenne un diario preciso, minuto, completo. In parte, dopo la fine della guerra venne stampato sulla pagina di mezzo del « Nuovo Cittadino » ed è là reperibile. Il manoscrit­to andò perduto. Sono pertanto obbligato a servirmi della memoria. Dò però garanzia al lettore di non dire se non quello di cui ho ricordo chia­ro e con certezza.
La questione più grave in realtà, dopo la difficoltà di approvvigio­namento, non era quella di organizzare un incruento deflusso ed afflusso delle parti opposte, ma quello di salvare la città. Ed è a questo propo­sito che è volta la prima finalità di questa memoria.
Il porto era minato: erano state poste 366 (o 367) mine di alto potenziale. In caso di urto bellico la città stava sotto il tiro dei 381 postati sul monte Moro (sopra Quinto) ed Arenzano. Gli obici pote­vano seminare la distruzione dalla valle Scrivia. Tutto senza tener con­to dell’armamento leggero delle formazioni tedesche. Era giusto temere che l’annuncio di un armistizio in danno dei tedeschi provocasse mani­festazioni incontrollate ed incontrollabili, colle terribili reazioni delle quali i tedeschi si erano dimostrati capaci. Non era più questione di timore soltanto: seppimo che la distruzione del porto di Genova avrebbe

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provocato danni mortali alla città, perché si sarebbe, oltre le distru­zioni e logiche vittime, determinato il colpo nefasto a servizi ed uten­ze necessari.
Non ero solo a preoccuparmi di tutto questo come della vera que­stione finale nella grande tragedia. Nella prima decade di Aprile, venne a trovarmi l’Ing. Rocco Piaggio. Era tra i grandi industriali d’Italia ed aveva in porto, sia nei bacini, sia nei cantieri, sia nell’armamento inte­ressi preminenti. Per questo era la persona che più di tutte si interes­sava al porto. Ma non solo per questo. Raramente ho conosciuto un uomo che sotto un carattere talvolta duro, reattivo e collerico, avesse un cuore tanto buono ed amava veramente la sua città. Egli era il capo e, credo il finanziatore di quanto riguardava la salvezza del porto di Genova. Venne dunque e mi tenne questo discorso.

«I tedeschi sanno di perdere ed hanno deciso di far saltare il porto al momento della partenza. Abbiamo ormai tentate tutte le vie ed impiegati tutti i mezzi. Ho presentato all’alto comando un progetto di inutilizzazione del porto, tale che non potrebbe certamente essere usato per un tempo abbastanza lungo (mi pare dicesse due anni) dagli Alleati. L’hanno respinto. Abbiamo tentato di rendere inoffensive le cariche di dinamite: a tutt’oggi abbiamo sminate solo sette cariche. Che cosa son mai queste dinnanzi alle restanti 360? Sono venuto qui perché forse voi (accennava al Cardinale Boetto e a me) potete tentare di interve­nire: siete l’ultima carta ». Non saprei dire perché, ma compresi subito che eravamo l’ultima carta e che forse potevamo riuscire.

Pensai a lungo quella notte. Ma prima parlai di tutto col Cardinale proponendogli questo piano: scrivere una meditata lettera all’Ammira­glio Doenitz, dal quale dipendeva il settore, ed io stesso avrei portata e commentata la lettera stessa al Colonnello Berninghaus. Non discutemmo a lungo: il Cardinale capì subito e disse che avrebbe composta la let­tera Lui stesso quella notte. Avevo fatto il nome di Berninghaus, perché sapevamo che qui rappresentava Hitler, dal quale era molto ben voluto e che, pur inferiore di grado, aveva una importanza di gran lunga supe­riore. Qualcuno mi disse — non ricordo chi — che Berninghaus aveva un telefono con filo diretto per la comunicazione personale ad Hitler.

Il mattino dopo la lettera era pronta ed io chiesi telefonicamente udienza al Berninghaus, che aveva il suo ufficio a Nervi nella dependence dell’allora albergo Eden. L’ebbi, cercai subito i miei compagni di missione: Mons. Pesce, mio segretario, che parlava alla perfezione il tedesco, il maggiore tedesco Marckull (non giurerei di ricordare bene il nome. Egli comunque era un buon cattolico austriaco che sovraintendeva ad uffici annonari situati in via Venti Settembre), Mons. Cicali, l’Ingegner Rosini ed il Dott. Repetto esperto di tedesco. Trovammo una interprete e cominciò il dialogo, in qualche punto corretto dal mio segretario perché evidentemente la interprete temeva di tradurre certi termini da me usati durante la discussione, sempre più accesa.
Il Colonnello era un vero militare, per sé compito, educatamente freddo, distaccato, duro. Dava segni di non credere molto alla riuscita

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del nostro passo. Cercai di convincerlo con delle ragioni di umanità: la strage della popolazione, la inutilizzazione dello strumento per il qua­le Genova viveva economicamente. Niente. Allora feci questo discorso press’a poco: avete salvato il porto di Marsiglia, mentre sapete che anche dopo una pace non cresceranno per voi molto le simpatie in Francia. Perché volete distruggere Genova, mentre sapete altrettanto bene che gli italiani ad una settimana dalla guerra saranno ancora vostri amici. Dio mi guardi dal chiedere danni in Francia; chiedo solo che non si tratti peggio l’Italia. L’argomento fece un certo effetto, perché il Colonnello si distese pur continuando a scrollare la testa. La conver­sazione si prolungava inutilmente. Ad un certo punto perdetti la pazien­za, mi alzai e dando un pugno sul tavolo quasi urlai: « vi garantisco che se toccherete il porto di Genova, nessun tedesco uscirà da essa vivo, perché Lei sa meglio di me che prestissimo scapperete tutti! ». Solo dopo mi resi conto che avevo profferito una grave minaccia, non degna di un cristiano. Ma la cosa sortì l’effetto. Il Colonnello mi guardò stupito e disse semplicemente che avrebbe trasmessa all’Alto Coman­do la lettera del Cardinale Arcivescovo. Ci salutò cortesemente ed uscim­mo. I testimoni Mons. Cicali e Dott. Rosini sono ancora vivi ed hanno approvato quanto ho scritto. Aggiungo che prima di morire (venti gior­ni prima) l’Ing. Rocco Piaggio stese un suo rapporto su questa vicenda del porto, nauseato come era delle contraffazioni che udiva, lo firmò e me lo mandò. Il documento si trova tuttavia nel mio archivio perso­nale: è mia intenzione riporlo nell’archivio storico della Curia di Genova.

Si attendeva. La sera del 20 Aprile — venerdì — mi recai nella villa del mio caro amico il Dott. Bruzzone sulle alture che stanno tra Pegli e Prà. Là non bombardavano e si stava quieti: ero stanco ed avevo bisogno di riposo. Contavo restarvi due giorni. La sera del sabato 21 alla radio appresi che il primo sbarco degli alleati sulla riva destra del Reno era effettuato. Dissi immediatamente a Don Mino e agli altri: «È la fine: domani mattina si torna immediatamente in città, perché ora la situazione precipita e bisogna essere ai propri posti. Non mi sbagliavo. La mattina di Domenica 22 ero a Genova, dove l’opinione pubblica non si rendeva affatto conto di quello che era ormai imminente. Avevo sempre sostenuto che la sconfitta e la vittoria erano sedute sulle rive del Reno in Germania e non su quelle del magro fiume dallo stesso nome, che attraverso l’Emilia. La guerra finiva e, qui, sarebbe finita di riflesso. Infatti.
La mattina di Lunedì 23 Aprile fui chiamato al telefono: il Colon­nello Berninghaus mi attendeva a Nervi. Capii. Presi con me Mons. Pesce, Don Cicali, il Dr. Rosini. Non ricordo se venne anche il Dr Repet­to; direi di no. Mi vestii in pompa magna (come facevo sempre quando dovevo trattare coi Tedeschi, perché erano sensibili alle esteriorità), misi persino i guanti violacei e partimmo.
Mi impressionò subito il Colonnello Berninghaus: aveva perduta la sua superiorità, era un aitante abbattuto, quando parlava la mascella sinistra aveva una insolita contrazione, come di chi volesse evitare il pianto. Sentii pietà! In fin dei conti quello era un uomo, che aveva

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creduto in un mito e rappresentava al vivo la tragedia di una nobile nazione, troppo credula in un capo pazzo. Era già successo, succedeva, succede oggi. A molti piacciono troppo i miti!

Disse: «L’Alto Comando tedesco ha accolta la domanda che gli avete rivolta. Perciò il porto e gli impianti non subiranno danno. Si coleranno solo due piccole navi a picco nella imboccatura del Porto per impedire agli Alleati di servirsene per alcuni giorni ». Poi rivolto a me continuò: « Voglia Lei disporre tutto: che la popolazione non si impressioni per l’affondamento dei due piroscafi e che non disturbi il ritiro delle truppe germaniche cominciato stamane. In caso disturbassero potrebbe agire il dispositivo per far saltare il porto ». Risposi che avrei fatto il possi­bile anche perché sapevo che la minaccia non era affatto retorica. Ci salutammo, uscimmo. Nel pomeriggio alle tre fui convocato d’urgenza al Columbia in piazza Acquaverde. Mi feci accompagnare da Don Mino, da Don Cicali, dall’Ing. Rosini. Nel salone dell’albergo il ministro pleni­potenziario Hasso von Etzdorf mi porse il telegramma dell’ambascia­tore von Ramm che diceva testualmente: « consegnate Genova al Vesco­vo Siri ». Io feci mentalmente un processo logico, non potevo dire « con­segnate la città al Cardinale, non a me ». Chissà infatti che cosa sarebbe successo. Accettai e subito von Etzdorf, mettendosi sull’attenti e facendo il saluto militare, si dichiarò nostro prigioniero. Così cominciò per me il momento più difficile e più grave. Non avevo neppure una bicicletta e dovevo continuamente girare Genova a piedi, trovando qua e là un morto! L’ira sorda di coloro che trovano il coraggio solo quando l’avver­sario volge loro le spalle aveva infatti cominciato a esplodere, senza fare troppe discriminazioni, pur mantenendosi ben lontana dagli ecces­si avvenuti in altre grandi città.

La mia prima preoccupazione fu di continuare l’esercizio di tutti gli uffici civili. Sapevo della Legge Badoglio, ma non sapevo quando avrei potuto darle corso. Disposi che in ogni ufficio, a cominciare dalla Prefettura, esercitasse provvisoriamente con tutte le mansioni la fun­zione del Titolare il dipendente del medesimo più alto in grado e, a pari­tà di grado, il più anziano di servizio. Mi fu fatto osservare che biso­gnava mettere gente del Comitato di Liberazione. Risposi semplicemente che questo comitato contavo di vederlo, che non l’avevo mai veduto, che in sua presenza avrei fatte tutte le consegne previste dalla legge Badoglio, ma che intanto si facesse così. Ritenevo certo che tutte le autorità, operanti sotto il passato Regime, fossero fuggite. Non avevo torto, ma mi ricredetti in un caso: il podestà comandante Segoni, uomo onesto e probo, se ne tornò tranquillamente nel suo ufficio in comune. Come lo seppi ordinai rimanesse. Da quel giorno fui, fino alla sua fine, amico di questo uomo leale e coraggioso.
A chi protestò risposi duramente che lui il coraggio del coman­dante Segoni non l’avrebbe avuto mai.
Naturalmente, lo stesso pomeriggio mi misi in cerca dei personaggi coi quali fare il trapasso dei poteri. Trovai subito il Maggiore Aloni. Era un ufficiale addetto allo Stato Maggiore, originario della riviera di ponente. Era assiduo alla mensa che nel sotterraneo continuava a gestir-

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si in Seminario. Prestava non so quale servizio presso la Ditta Costa ed era il comandante dei Partigiani, abitanti in città, tutti — si badi bene — impiegati o addetti nella impresa germanica Todt, dalla quale prendevano regolare stipendio. Dissi all’Aloni quanto sapevo e impartii i seguenti ordini, durevoli fino al trapasso dei poteri che io avevo acqui­sito colla consegna della città, fattami dal Comando tedesco: tenesse le sue formazioni a notevole distanza dietro l’ultimo tedesco, non si ingaggiasse alcuna battaglia o azione di disturbo, che si sarebbe risolta in una carneficina soprattutto dei nostri, né preparati, né bene armati; non si facessero atti di nessun genere, perché potevano provocare la immediata distruzione del porto e di parte della città (la minaccia di Berninghaus l’avevo ben presente!); si tenesse conto che uno mai è libero di fare quello che vuole in guerra quando l’avversario aveva tutte le posizioni alte, dalla batteria di San Simone fino a Monte Moro, per non parlare dei nidi di mitraglieri. Infatti l’esercito tedesco, a suo modo giustamente, avrebbe sguarnito per ultime le posizioni alte. Quello che accadde il giorno dopo diede pienamente ragione a queste disposizioni. Cercai il Comitato di Liberazione, perché il potere mi bruciava nelle mani. Trovai solo il Prof. Paolo Emilio Taviani. Egli mi disse che non poteva fare personalmente alcun atto, che non fosse deciso dal Comitato. Lo pregai di comunicare tutto ai colleghi.

Verso sera di questa memoranda giornata decisi di recarmi a Villa Migone in San Fruttuoso, dove aveva posto la sua abitazione il vecchio Cardinale, che per vari motivi, non poteva continuare a stare in via Petrarca nella casa dei Gesuiti. Ero in Seminario di via Porta d’Archi. Si trovava lì un mio ex alunno studente di medicina, il quale fece quanto potè per impedire che io facessi il pericolosissimo percorso. Quando vide che era inutile insistere, volle accompagnarsi a me: era Del Bufalo, oggi medico condotto a San Lorenzo della Costa. Quando fummo tra gli alberelli — allora erano così — che si doveva attraversare davanti a Piazza Verdi, cominciò la battaglia tra tedeschi in ritirata su camions bene attrezzati che tenevano la linea Via Invrea, piazza Verdi, via De Amicis e partigiani asserragliati nel palazzo dell’INPS, oltre la mediana di via Cadorna. Noi eravamo nel mezzo e procedemmo tranquillamente. I colpi dei proiettili scheggiavano i bordi di granito del marciapiede: nessuno ci colpì.
Fu vera grazia di Dio! Verso la fine della traversata di sotto un alberello sbucò una donnetta, che ci chiese dove si passava per arrivare a San Fruttuoso. Aveva l’accento del Bisagno. Gli dissi: « donna, veni­teci dietro, se saremo ancora vivi. Pur noi tentiamo di arrivare a San Fruttuoso ».
Oltre il sottopassaggio ferroviario di Via Archimede si è fuori peri­colo. Raggiungo villa Migone dove informo di tutto il Cardinale. Egli approva ed incoraggia. Proseguo per il Chiappeto, intendendo restarvi la notte dato che dall’alto vigilavo meglio la città. Organizzo con un gruppo di seminaristi grandi un centralino telefonico. Infatti il tele­fono era l’unico mezzo che avessi in mano. Ne avevo prima stabilito un altro in casa di mia sorella, in salita Carbonara 24/7, dove si era

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installato provvisoriamente il mio Segretario don Mino. Un altro cen­tralino telefonico lavorava in collegamento con noi da via Edilio Raggio, ove abitava provvisoriamente la famiglia del compianto Marchese Nan­do Cattaneo e la Suocera di lui, la Marchesa Tea Spinola, eroica colla­boratrice dell’Auxilium. Questa rete avrebbe avuto la sua provviden­ziale funzione il giorno appresso, 24 Aprile, che fu il giorno più ansioso della mia vita.

Qualcosa stava lievitando che poteva mettere in serio pericolo la salvezza del porto e della città. Si erano costituite bande di giovani, che dominavano alcuni punti strategici: la piazza Acquaverde, il fronte del porto. Erano costituiti per lo più da elementi che avevano fino a due giorni prima servita la Todt e che erano stati da qualcuno riforniti di fazzoletti rossi annodati al collo, di fucili anche mitragliatori, di proiet­tili. Non credo si possa giudicare male la loro esaltante generosità. Questa però o male indirizzata da elementi politici o semplicemente presa dalla esuberante eccitazione di fare qualcosa, non sempre aveva chiara la situazione generale ed i pericoli che incombevano e che met­tevano a repentaglio la esistenza della città. Tutto questo introduce a fare la storia vera del 24 Aprile 1945.

Quella mattina scesi presto in città, dopo essermi assicurato bene del funzionamento dei centralini telefonici. Mi trovai, nei miei sposta­menti, unico spettatore estraneo alla cosiddetta « battaglia di piazza De Ferrari ». Vidi tutto. Non si trattò affatto di una battaglia. La piazza, dato che sulla linea via XX Settembre, piazza De Ferrari, via Carlo Feli­ce e piazza Corvetto stava ritirandosi una forte e lunga colonna di autocarri tedeschi, con numerosissima truppa, era completamente deser­ta. Un numero che non mi parve forte di persone appostate alle fine­stre della attuale Banca dell’Agricoltura e forse dal Palazzo della borsa, ami il fuoco sulla colonna germanica. La risposta fu rabbiosa e terribile, direi all’impazzata. Io mi salvai dietro un pilone della Borsa, altri­menti sarei stato finito. Qui accadde un episodio dei più tristi. Compar­ve, armato di un fucile, un giovane aitante quasi imberbe dalla parte di via Dante. Io gli urlai dal mio posto di non avanzare che lo avrebbero ammazzato senza scopo. Lui non badò a quello che dicevo e venne avanti: dopo pochi passi una raffica lo prese, gli squarciò il ventre in modo orrendo; lui stramazzò esanime. Io lasciai il mio rifugio per vede­re se era ancora vivo e per dargli la assoluzione. Capii che non sarei riuscito a caricarmelo e portarlo alla astanteria organizzata sotto il palazzo Gaslini, sia perché era di notevole caratura, sia perché era grave il pericolo di spandergli per terra le viscere. Corsi allora a Piazza Dante alla astanteria, venni con una lettiga e due coraggiosi barellieri e caricammo il giovane. Durante il tragitto il poveretto spirò. Gli chiusi gli occhi e ritornai a vedere cosa succedeva; era già finito tutto.

Nel primo pomeriggio dal Seminario di Via Porta d’Archi, me ne venni nuovamente a Villa Mirane per informare il Cardinale, prendere eventuali ordini. Ben presto la situazione si fece realmente tragica.

Giunsero le intimazioni di rappresaglia, dato che non era rispettato

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 l’accordo di permettere il transito ai tedeschi in ritirata, siccome io avevo comunicato al maggiore Aloni.

In porto erano asserragliati 1500 uomini — così mi si disse — la più parte tedeschi. Chiedevano di poter uscire cogli onori delle armi; i gruppi scaglionati sul fronte del porto non ne volevano sapere. Quelli mi dissero chiaro per telefono che avrebbero fatto azionare il dispo­sitivo per far saltare il porto. Sapevo che lo avrebbero fatto.

Da Savignone, ove stava Meinhold, arrivò la minaccia che, se si ostrui­va il passaggio, avrebbero cominciato il bombardamento della città con gli obici. Qualcuno mi disse che era giunta anche la minaccia di convergere i 381 di Monte Moro ed Arenzano sulla città. Sarebbe stato il massacro.

Compresi subito che bisognava convincere i partigiani della città a rinunciare alle azioni di disturbo, pagate a sì caro prezzo e che biso­gnava fare una nuova azione col Comando tedesco di Savignone.

Da villa Migone cominciai per telefono l’impresa più difficile della mia vita: convincere tutti a non attaccare i tedeschi in città, perché questo avrebbe portato alla rovina. E già stavano attaccando; ogni ora che passava aggravava in me una sorta di agonia. Passai molte ore accanto al telefono di villa Migone, inginocchiato accanto ad una seg­giola per poter scrivere appoggiato a quella. Ora trattavo attraverso i miei centralini, già nominati, ora parlavo direttamente a personaggi. Se non riuscivo a persuadere, prima di notte era la rovina.

Mi preoccupava il fronte del porto che non voleva riconoscere alle truppe, là asserragliate, il diritto di uscire cogli onori delle armi. Final­mente venni a sapere che comandava quella parte «Stella», ossia Pippo Macchiavelli (oggi sottosegretario al Ministero), già mio amico e caro alunno, come i suoi fratelli. Lo pescai; non feci un discorso molti gen­tile ma piuttosto intimidatorio; parlai forte, urlai. Egli capì la respon­sabilità ed agì da galantuomo: il pericolo proveniente dal fronte del porto venne eliminato per opera sua. Organizzai immediatamente per telefono una missione per trattare con i tedeschi del porto. Fu così che partirono Don Livraghi e Don Viola tenendo un lenzuolo bianco teso tra due bastoni. La singolare missione si avviò dal Columbia all’Acquaverde e si diresse giù per via Andrea Doria verso la Stazione Marit­tima. Alcuni ritennero di accompagnare i due facendosi schermo dei medesimi, che allora di schermo non ne offrivano molto. Testimoni oculari mi riferirono la scena, che toccò — a parere dei testimoni — il ridicolo.

In Porto parlamentarono: chiesero 40-45 minuti per mettersi in ordine, farsi la barba, spazzolare abiti e gambali. Finalmente uscirono sfilando per via Gramsci e nessuno — che io sappia — li disturbò. Rag­giunsero così la strada della Polcevera ed io non mi occupai più di loro. Il pericolo maggiore, quello del brillamento di tutte le mine del Porto era sventato.

Cominciai a pensare al resto. Sempre inginocchiato accanto alla sedia del telefono scrissi la minuta di una lettera al Generale Meinhold. La mandai di là, al Cardinale, pregandolo di correggerla, farla scrivere

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e firmarla. Il Cardinale accettò. Allora col solito sistema mi misi alla ricerca di chi poteva recapitare d’urgenza la lettera a Meinhold. Riuscii a pescare don Gino Bernardi, che a quel tempo talvolta mi aiutava in segreteria ed egli organizzò. Non ho alcuna idea di come sia riuscito, ma quando venne a Villa Migone a notte già inoltrata e col segno con­venuto si fece riconoscere, potei parlamentare dal muro con lui. Mi disse che aveva trovato chi avrebbe portato la lettera e che questi l’at­tendeva proprio allora a piazza Giusti (non molto lontano). La persona era il Dr. Romanzi oggi Rettore Magnifico dell’Università. Come poi lui abbia fatto ad arrivare a Savignone e a mettersi subito in contatto con Meinhold, proprio non so. Penso che questo potrà raccontarlo lui. Certo dimostrò coraggio e si espose ad un rischio impressionante. La lettera arrivò e, a quanto pare, fece buon effetto, come si vedrà in seguiti: gli obici minacciati non spararono.

Al mattino (io avevo passato la notte a Villa Migone) ci telefona­rono dalla Galleria della Lanterna. Era il Generale Meinhold. Ricevette la telefonata fratel Weidinger, segretario del Cardinale, ma io assistevo. Il generale chiedeva di fare la resa della città in mano del Cardinale. Fui sul punto di sbottare e far rispondere che la resa era già fatta da due giorni, come ho sopra narrato. Ma improvvisamente afferrai che sarebbe stato utile prendere per buono l’operato del Generale, insce­nare una resa con tutta la risonanza possibile, per dare alla popolazione un segno visibile della guerra ormai al lucignolo e per evitare che con­tinuasse a scorrere sangue. Mi limitai a far chiedere al Generale perché voleva far la resa nelle mani del Cardinale. Risposta esatta: « Perché è l’unica cosa seria che ci sia a Genova ». Pregai il Generale di attendere che avrei mandato a prenderlo io sotto scorta per sua difesa dopo aver raccolti quelli coi quali poteva essere fatta la resa. Possibile che Meinhold non sapesse della resa già avvenuta? Se tengo conto che circolò la voce che i suoi ufficiali, ritenendolo traditore per i contatti coll’avversario, l’avevano condannato a morte; se penso che nella notte corse a rifugiarsi alla Lanterna; che avvenuta la resa il suo ufficiale (forse aiutante di campo) si uccise in un angolo della villa Migone, dove riteneva fosse consumata un’onta, debbo ritenere probabile la opinione che allora mi feci e mai mutai: Meinhold, volle consegnarsi al Cardinale per salvare se stesso.

Mi detti subito un gran da fare per preparare l’evento, anche se non aveva più un vero contenuto giuridico. Impiegai almeno due o tre ore per reperire tutte le persone occorrenti ad ottenere un salvacon­dotto e portare il Generale a Villa Migone. Faticai a trovare quelli del Comitato di Liberazione, perché erano quelli nelle mani dei quali per la Legge Badoglio, dovevano passare i poteri provvisori. Vennero e li pre­parai all’incontro. Uscii in via San Fruttuoso e misi insieme un gruppo di ragazzotti, che ostentavano fazzoletto rosso e moschetto; spiegai le cose, li misi in riga come picchetto d’onore per i plenipotenziari. Cercai tra loro la faccia che mi parve la più facinorosa e gli dissi: « ti faccio tenente, tu comanda e tienili a posto ». Le cose andarono a me­raviglia. I membri del Comitato di Liberazione arrivarono prima di

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Meinhold e furono assai meravigliati di vedersi presentare le armi. Peccato che ho dimenticato la faccia dell’unico tenente da me creato in vita mia: agì benissimo e probabilmente gli altri sapevano che doveva­no ubbidire.

Approfittai del ritardo del Generale per prendere gli ultimi accordi col Cardinale. Gli raccomandai di ammansire l’uomo, il quale all’ultimo momento poteva avere la tentazione di mettersi a fare l’eroe fuori pro­posito. Raccomandai al Cardinale di uscire al momento delle trattative, perché fosse evidente che questo era affare non di nostra competenza. Feci le ultime raccomandazioni a vari membri del Comitato sul come comportarsi in trattative « internazionali » e li infilai tutti nella sala dalla quale era allora uscito il Cardinale e dove attendeva Meinhold. Chiusi accuratamente la porta.

Il Generale Meinhold aveva dichiarato di volersi costituire prigio­niero del Cardinale. Mentre eravamo fuori il buon vecchio Cardinale si preoccupava di che cosa avremmo potuto dare da mangiare all’illu­stre prigioniero. Io lo consolai subito: sì, erano abituati al burro e all’affettato in quantità e noi non ne avevamo, ma era tale la paura che anche l’appetito non doveva farsi molto sentire.

Uscirono a resa fatta. La notizia si sparse come in un baleno ed io aveva raggiunto lo scopo: fare una manifestazione esterna accentua­ta che significasse per tutti la fine delle ostilità e del sangue inutil­mente versato.

Non fu così in modo perfetto: scomparve per sempre il povero Canevaro ex Podestà di Genova. Era mio coetaneo e della mia parroc­chia, uomo giusto e retto; si vociferò avesse fatta una fine orribile. Altri episodi dolorosi si ebbero. I peggio, che mi furono segnalati, accaddero a Sestri e nei dintorni. Il clima di vendetta fu assai inferiore a quello di altre grandi città, ma durò ancora per un mese o due. Vi perse la vita anche il parroco di Cesino, Don Fasce, la cui fine restò per me sempre un mistero, almeno nella sua causale.

Gli Americani arrivarono a Genova il 27 Aprile e contemporanea­mente scesero anche i partigiani della montagna. Ci fu qualche piccola sparatoria, probabilmente ad opera di qualche cecchino. Io stesso me ne salvai per un pelo in via Roccatagliata Ceccardi, mentre andavo a predicare al Gesù.

Concludo la mia testimonianza esprimendo il parere che Genova sia stata veramente salvata dalla distruzione del porto dall’intervento dell’Autorità Ecclesiastica, l’unica che in questi anni non si sia fatta avanti a chiedere riconoscimenti e ricompense. Genova è stata salvata soprattutto contro la reazione, che le generose imprudenze ed impa­zienze giovanili stavano per scatenare nel pomeriggio del 24 Aprile.

Fu fatta un’inchiesta per stabilire i fatti e questa venne affidata al Giudice Mannetti essendo Segretario il dr. Bolis. Credo che il Mannetti fosse un uomo onesto. Ma fu accerchiato da coloro che volevano assolutamente togliere alla Chiesa ogni merito.

Per questo motivo io diedi ordine al mio compianto segretario

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Mons. Pesce, che aveva vissuto con me tutta la vicenda, di abbandonare protestando il comitato di inchiesta. Cosa che anche altri fecero. In quell’inchiesta comparvero personaggi ed eroi che io, solo, mentre tutti fuggivano, non ho mai incontrato sulle strade e sui destini di Genova. Non pretendo di sapere tutto, ma quello che ho scritto è la pura verità.

A queste memorie manca la descrizione dell’apporto di sacerdoti e parroci che furono strumenti di pace in parecchie zone.

Ma l’affannosa vita della ricostruzione di tutto, alla quale io mi dovetti dedicare, mi impedì di fare una raccolta di questi episodi. Vorrei che altri scrivessero quello che è stato di loro immediata esperienza nel far cessare piccoli centri di inutile resistenza germanica.

Debbo però rettificare qualcosa che mi riguarda. Fu detto, ripe­tuto e scritto che io ho fatto tacere le temibili batterie dei 381 collocati sia a Monte Moro sopra Quinto che ad Arenzano .Non ho questo merito specifico; sapevo del pericolo ma io non arrivai fin là. A far tacere la batteria di Monte Moro fu l’Arciprete di Quinto Don Mario Righetti, oggi venerando Abate del Rimedio. Egli, insigne studioso, aveva una cer­ta famigliarità colla lingua tedesca. Se ne servì e fu lui a persuadere i tedeschi di Monte Moro a non procedere ad atti tanto crudeli quanto inutili. 

Giuseppe Card. Siri
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2. Omelia di Commiato del Cardinale Siri (Cattedrale di S. Lorenzo in Genova).

In Genova, nel giorno solenne del suo Commiato ai genovesi tenuto nella Cattedrale di S. Lorenzo stracolma di fedeli, nel tardo pomeriggio del giorno 16 ottobre 1987, il Cardinale, piuttosto commosso, almeno così riportano le cronache del tempo, tornò perentoriamente sull’argomento ribadendo con estrema forza e calore la veridicità delle affermazioni contenute nelle sue memorie, facendo molti riferimenti e ringraziando ancora una volta chi lo aveva aiutato a salvare Genova e il suo porto. Ed ecco le sue schiette parole: 

“Eccellenze, onorevoli Autorità, cari confratelli, fedeli, questo non è un addio, è un commiato.
Ringrazio tutti coloro che hanno voluto essere presenti: questo è segno della loro gentilezza. In modo speciale presento il mio grazie a tutte le Autorità.
Ora debbo dire quello che la circostanza richiede. Non sono io che vi abbandono. Io compio un dovere; obbedisco. E, detta la parola “obbedisco”, non ho altro commento da fare. Si obbedisce a Dio e a chi comanda in nome di Dio. Non posso travolgere l’ordine creato e dare il potere di comandare a chi non l’ha. Debbo accogliere chi il potere l’ha e l’ho accolto. Pertanto non vogliate stimare la mia una fuga, non lo è. Non vogliate chiedere neppure se ho un cuore di pietra. No. Nessuno può immaginare che cosa un padre prova, sopporta, quando deve lasciare la sua famiglia. Quello che certamente non morirà mai in me è che vi ho voluto bene.
Ma probabilmente vorreste saperne di più e sono qui per accontentarvi. Quali sono i principi che mi hanno guidato? Naturalmente quelli della nostra santa fede. Questo lo sanno tutti.
E quelli che hanno segnato la strada pratica? Eccoli. Ho sempre stimato gli uomini perché mi sono sforzato di ricordarmi che, creati da Dio, portano con loro naturalmente il bene e quando in loro si vede anzitutto il bene che hanno tutti, si trattano in modo degno e diverso. Credo sia meglio vedere il bene negli uomini che non il male. Questo è contro il concetto della creazione ed è contro ogni buona armonia fra di loro, tanto che – e non lo dico certo per vendetta – se vogliono godersi il male sappiano che il male è incapace di essere goduto. Non ho visto gli uomini secondo quelle apparenze che, generalmente, quando non sono buone, sono poco sincere, ma ho cercato di vedere il bene. E oggi, pressoché al limitare della mia vita, ne sono contento ed auguro altrettanto a quanti ora mi ascoltano.
Ho obbedito sempre. Con la dignità degli anni, posso dire che la migliore strategia della vita è obbedire a chi si deve per riuscire a non obbedire a chi non si deve obbedienza. Si pecca, ma si paga. Ecco gli umili principi che mi hanno guidato.
Quando sono entrato in questa Cattedrale or più di 41 anni, ho detto: “Non sono qui da me, non sono qui per me”. Ho cercato di camminare sempre secondo questa promessa che ho fatto a tutto il popolo e ne sono contento. Lascio la “Casa” che ho abitato per 41 anni come vi sono entrato. Ringrazio Dio che mi abbia aiutato a fare così.
Ma a questo punto, detta, forse, la cosa più importante, debbo ricordami della storia. E voglio anzitutto ricordare il mio venerato e santo antecessore il Cardinale Pietro Boetto, perché ho imparato da lui, ho ricevuto da lui. Debbo dire chiaramente una cosa, per ristabilire equilibrio e giustizia: se nel 1945 il Porto di Genova si è salvato e Genova si è salvata (perché non poteva saltare in aria il porto con 360 mine, senza che saltasse in aria anche tutta la città vecchia) questo lo si deve all’umiltà di questo venerando Arcivescovo. Sarebbe bastata superbia, poca anche, quella che è tanto comune, di temere che un proprio sottoposto faccia più bella figura, perché Genova non esistesse più, ma l’umiltà di quell’uomo veramente di Dio ha salvato tutto. E a quello che bisogna rivolgere quel tanto di riconoscenza che in una simile non certo piccola faccenda, si può rivolgere in questo mondo. La vera riconoscenza di tutto, mia e vostra, sale a Dio e là si ferma per sempre.
La storia: abbiamo vissuto insieme un cambiamento profondo di vita, di esperienza, di ricerca e di pretese del genere umano. Ho dubbio che questo immenso cambiamento sia stato inteso da tutti. Ci siamo divertiti – non io certamente – a distribuire appellativi inutili e poco intelligenti, ma non abbiamo capito che cosa andava succedendo. Comunque abbiamo assistito e, se oggi siamo vivi, abbiamo la speranza e dobbiamo e possiamo averla, è grazia di Dio. Almeno qualche volta ricordiamocene.
Abbiamo vissuto un periodo in cui anche la Chiesa ha sofferto. Si capisce benissimo che quando c’è una sofferenza, qualche cosa succede che non è desiderabile. Ma vorrei richiamare coloro che, perduta – perduta, dico – la capacità di capire le cose anche semplici, hanno dedotto, da questo periodo di transizione dell’intero genere umano, conseguenze irrazionali, illogiche, dannose, forse fatali. Bisogna che impariamo a vivere senza diventare i poveri servi delle tenebre e delle nubi che vanno camminando nel cielo e restano nubi. È meglio essere servi di Dio che paurosi delle nubi. Questo periodo l’abbiamo vissuto insieme. Domando: chi ha capito? E se non avesse capito faccia presto.
Mi rivolgo in modo speciale ai miei confratelli che, dovendo dare agli altri la verità, non possono accettare le tenebre. E questo è l’ultimo invito. Guardatevene bene! Non ingannate voi e i fedeli che hanno il dovere di apprendere da noi la verità di Cristo.
Abbiamo vissuto momenti gravi, ma sempre avvertiti nella loro distinzione temporale. La nostra città ha sentito palpitare il cuore di dolore e di timori. È meglio rivolgersi a Dio che perdersi nei timori. Di là tutto può essere salvato. E se qui c’è qualcheduno che in proposito deve accettare qualcosa, lo faccia e accolga l’ultima preghiera che gli viene da un altare da dove da tanti secoli Genova attende la preghiera e la grazia di Dio.
Ringrazio tutti quelli che hanno lavorato per il bene in qualunque direzione, perché il bene è bene: o lo è o non lo è. Ringrazio tutti. Posso dire che ho ammirato molti uomini. Naturalmente i nomi si tacciano, perché non finirei mai. Ho ammirato la loro coerenza, la loro costanza, la loro collaborazione. L’ho ammirata seriamente e debbo dirlo prima di cominciare a tacere.
Abbiamo visto nuovi mali apparire: non se ne andranno tanto facilmente, perché la chiave della storia sta in mano a Dio, e Dio guarda al bene e al male. Tutte le cose entrano in queste due categorie, e badiamo che non esistono categorie neutre. Non esistono. Attenti a non cadere in questa idea.
Siamo qui: io per finire, voi per continuare. Ogni circostanza deve insegnare qualcosa e siccome l’ufficio di un Vescovo è anzitutto quello di insegnare la verità e stare sempre dalla parte della verità, chiedo al Signore che sia largo di grazia con me, con il mio degno Successore, con voi suoi collaboratori, perché abbiate sempre a camminare per vie giuste e rette nelle quali soltanto si troverà il bene e la gioia di Genova.
Che possiate avere tutti la saggezza. Che possiate tutti avere il dono della fede. Che possiate avere tutti la dignità della coerenza e della costanza, quella che è stupenda davanti a Dio.”

Giuseppe Card. Siri

3. Siri dice addio a Genova: come apparve la notizia sui giornali?

Cosa ne dissero i giornali di allora? L’avvenimento del commiato del Cardinale Siri ebbe grande risonanza, non solo sulla stampa locale ma anche su testate a diffusione nazionale. Tipo La Repubblica del 16/10/1987, dal quale Archivio traggo questo pezzo firmato da Piero Valentino:

“SIRI DICE ADDIO A GENOVA” di Piero  Valentino

GENOVA. Questo non è un addio, è un commiato. Non sono io che vi abbandono, io compio un dovere: obbedisco. È detto la parola obbedisco, non ho altro commento da fare. Sono appena suonate le sei del pomeriggio, fuori piove che Dio la manda, ma stipati nella grande cattedrale di San Lorenzo tremila fedeli accolgono con il primo di una serie di applausi l’esordio del cardinale Giuseppe Siri, alla sua ultima omelia come arcivescovo di Genova. L’ ultima, dopo quarantun anni: tra otto giorni lo sostituirà monsignor Giovanni Canestri, ex arcivescovo di Cagliari. Siri è attorniato da duecento concelebranti, affiancato da dodici autorità laiche e militari, assediato da una folla che forse lo ha rispettato e temuto più che amato, ma che adesso un po’ di commozione ce l’ha dentro, a sentire e a vedere quella figura ritta e autorevole che affida all’ultima omelia parole di ringraziamento, di conforto e di rassegnazione appena dissimulata: Si obbedisce a Dio ha detto al microfono presso l’altare maggiore e a chi comanda in nome di Dio. Non posso stravolgere l’ ordine creato e dare il potere di comandare a chi non l’ha. Debbo accogliere chi il potere l’ha. Siri non è più in salute come un tempo, ma in sé è deluso di dover abbandonare la sua gente, che lo applaude ancora quando promette sarò sempre con voi. Lui non vuole manifestarla, ma l’emozione di quest’ora ce l’ ha dentro tutta, quando si rivolge a fedeli come un padre che sta per lasciare la famiglia per dirle che resterà a disposizione di tutti coloro che vorranno chiedere il suo aiuto: Non vogliate aggiunge stimare la mia una fuga. Non lo è. Non vogliate chiedere neppure se ho cuore di pietra. No. Quello che non morirà mai in me è che vi ho voluto bene. Il vecchio cardinale si ritirerà nella villa nobiliare dei Campo Stano, sulla collina di Albaro. Un luogo da splendido isolamento, ma chissà quante volte il suo successore monsignor Canestri ci andrà per chiedergli consigli. Siri lo sa, e non a caso lo mette in testa alla lista di chi avrà bisogno di aiuto. La sacralità della liturgia non toglie nulla al pathos di questa cerimonia: la musica, il coro, gli odori e le suggestioni della grande Chiesa, scandagliati dalle telecamere (simbolo della eccezionalità dell’ avvenimento) danno l’impressione di stemperarsi negli sguardi dei fedeli puntati su di lui, che papa non è mai stato ma che, per i genovesi e forse non solo per essi, è stato e resta qualcosa di più di un sommo pontefice: Ho insegnato solo vie che, magari indirettamente, portano alla vita eterna. Tutto finirà là ha scritto nella sua ultima lettera pastorale e ha ripetuto ieri. Al quotidiano genovese Il Lavoro, che lo ha intervistato, Siri ha confidato: Per due volte avrei potuto essere eletto al soglio pontificio. Quando morì Pio XII ero l’unico candidato alla sua successione. Ad indicarmi era stato proprio lui, papa Pacelli. Anche quando fu eletto Paolo VI il candidato principale era lui: Fui io a tagliare corto. Dissi: non mi votate perché non accetterei. Non mi sentivo all’altezza del compito. Oggi, più che pentito di quella scelta, sono rammaricato. Se potessi tornare indietro accetterei. Avrei avuto modo di fare qualcosa di più per l’ umanità. Dell’ elezione di Giovanni Paolo II non dice nulla, ma spiega: È inimmaginabile quel che può succedere in un conclave. Quasi sempre le previsioni e i giochi della vigilia vengono stravolti. Comunque non posso giudicare il papa attuale, non ne sono all’altezza e non me lo consente il senso dell’ onore. Un atteggiamento da uomo d’altri tempi, anche se papa Wojtyla è stato quello che l’ha in pratica costretto ad abbandonare il suo posto, ad andare finalmente in pensione, come secondo le regole canoniche avrebbe già dovuto fare sei anni fa. Lui ha accettato, ma a malincuore: Sono un padre dice che per dovere lascia tutta la sua famiglia. L’idea di Marx è fallita Al Lavoro Siri ha fatto altre confidenze sulla sua filosofia politica e sociale. Ha detto che i comunisti sono troppo legati all’Urss e l’idea di Marx è fallita, che la Russia sta affrontando un momento molto difficile per i suoi cittadini, poco preparati, con pochi soldi. Quello dei soldi è un riferimento che Siri, grande patron dell’ industria pubblica a Genova, il vescovo della minestra che organizzava le mense per gli sfollati sempre attento ai problemi di chi non aveva nulla, non ha mai trascurato: Homo sine pecunia himago mortis, disse una volta, e qualcuno temette che essere senza soldi fosse un peccato mortale. Si lamenta un po’ perché D’Alessandro (n.evb, allora presidente del porto di Genova che salvò dal tracollo economico.) da aprile non lo ha più consultato, dice che la crisi del porto è causata dalla Compagnia dei portuali e dal Partito comunista che la manovra. Insomma, consegna pubblicamente l’ immagine del vecchio genovese conservatore, rigido, immodificabile nei suoi giudizi perentori e taglienti. Anche a questo pensa la gente che affolla l’antica cattedrale guardando Siri che le dice addio. A lato della cattedrale c’è la bomba che colpì la chiesa durante i bombardamenti e non esplose, ricordo di una guerra in cui Siri aiutò la città a liberarsi dai tedeschi. Da lì cominciò il governo del cardinale, l’ uomo che riuscì a vendere il vecchio seminario il giorno prima che nascesse la prima giunta di sinistra ma che ha mediato con i camalli più duri per la salvezza del porto, l’uomo che ha sospeso a divinis Baget Bozzo ma, quando si sono incontrati in privato, lo ha abbracciato. Ho una stretta al cuore, certo dice infine ma sono soddisfatto per avere affrontato momenti difficili con animo coraggioso.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     

4. Breve nota biografica del Cardinale Giuseppe Siri

Genova, Basilica di S. Maria Immacolata di Via Assarotti

Il Cardinale Giuseppe Siri nacque a Genova il 20 maggio 1906, in Distacco Piazza Marsala (che trovasi alle spalle di P.zza Crovetto tra via N. Bacigalupo e via Martin Piaggio). Nicolò, suo padre, ligure, di mestiere lavorava nell’edilizia effettuando prevalentemente il riordino di case e appartamenti signorili; sua madre, Giulia Bellavista, emiliana, faceva la portinaia nello stesso stabile in cui la famiglia Siri abitava. Giuseppe fu battezzato nella Basilica di S. Maria Immacolata (sita lungo la vicina Via Assarotti) a cui egli rimase profondamente legato per tutta la vita.

Dando segni d’intelligenza precoce, all’età di quattro anni venne iscritto alla prima classe nella non lontana scuola elementare Descalzi; all’età di otto ricevette insieme Prima Comunione e Cresima. Come chierichetto frequentò regolarmente la Basilica di S. Maria Immacolata; a nove anni manifestò la volontà di farsi prete ed entrò nel Seminario Minore di Genova in località Chiappeto, sopra Boccadasse. A undici anni passò al Seminario Maggiore nel centro città. Nel corso degli anni le sue pagelle scolastiche definiscono Siri come uno studente “attivo, disciplinato, studioso, volenteroso, ma superbietto”.

Nel 1926, l’allora Cardinale di Genova Carlo Minoretti, visti anche gli ottimi risultati scolastici, dopo l’ultimo esame in seminario gli comunicò la volontà di mandarlo a studiare a Roma, presso la Pontificia Università Gregoriana. Il 22 settembre 1928, nella cattedrale di San Lorenzo in Genova, Giuseppe Siri riceve, dalle mani del cardinale Minoretti, l’ordinazione sacerdotale. Il giorno dopo celebra la sua prima messa nella basilica di S. Maria Immacolata e fa subito ritorno a Roma per completare gli studi. Infatti il 22 giugno 1929, alla Pontificia Università Gregoriana, si laureerà summa cum laude in Sacra Teologia. Dal 1931 al 1946 il Seminario Maggiore di Genova lo nominerà professore di teologia dogmatica ed eloquenza sacra.

Poi, nel 1929, fondò l’Opera delle minestre, successivamente ribattezzata Auxilium, per assistere i senzatetto e distribuire pasti caldi. Due anni dopo, dietro segnalazione del cardinale Minoretti, la fondatrice dell’Opera Villa Maria, un’associazione che teneva corsi per universitari e per professionisti, lo cercò per partecipare come conferenziere a dei seminari di cultura religiosa in varie città italiane. Fu in quel periodo che Siri diede alle stampe due fra le sue opere prime, La ricostruzione della vita sociale e Corso di teologia per laici.

Nonostante i numerosi impegni, nel 1936 il cardinale Minoretti lo nominò esaminatore prosinodale presso la Curia arcivescovile; rettore del Collegio Teologico San Tommaso d’Aquino e cappellano presso il santuario di Nostra Signora delle Grazie al Molo, la chiesa di Nostra Signora Assunta, la chiesa di Santa Zita e l’Opera Giosuè Signori. Nello stesso periodo collaborò come conferenziere per l’Opera San Giovanni Battista. Fu anche vice assistente della FUCI genovese, docente per l’Azione Cattolica e relatore ai seminari di studio delle Settimane di Camaldoli. Nel 1937 venne pure nominato insegnante di religione presso i licei genovesi D’Oria e Mazzini dove ebbe modo di conoscere molti dei rampolli delle famiglie più in vista di Genova. 

Il 13 marzo 1938 morì il cardinale Minoretti, e, il successivo 17 marzo, papa Pio XII nominò Pietro Boetto nuovo arcivescovo di Genova; che fece il suo ingresso in diocesi il 9 maggio 1938. In quel periodo Siri diede inizio al Focolare, un progetto per seguire i ragazzi anche al di fuori della scuola. Al pari dei cardinali Minoretti e Boetto, anche Siri espresse posizioni molto critiche nei confronti del fascismo e, durante le sue lezioni in seminario, rigettava apertamente le filosofie totalitarie e razziste proprie del regime.

Nell’aprile 1941 Siri tenne una conferenza a Roma (presso Palazzo Colonna) alla quale assistettero anche i nipoti di papa Pio XII. Pochi giorni dopo Siri ricevette una telefonata da monsignor Giovanni Battista Montini, all’epoca sostituto della Segreteria di Stato della Santa Sede, informandolo che il pontefice lo voleva conoscere. Dopo l’incontro papa Pacelli restò in costante contatto con Siri. Il quale nel 1943, a Genova, fondò l’Opera dei Cappellani del Lavoro per portare assistenza pastorale all’interno delle fabbriche. A differenza dei preti operai francesi, però, Siri volle che i suoi sacerdoti facessero solo i sacerdoti, pur condividendo con i lavoratori i momenti sociali più difficili e salienti delle aziende.

Durante la Seconda guerra mondiale il clero genovese intraprese, attraverso la Delegazione Assistenza Emigranti Ebrei, un’intensa attività di soccorso in favore dei perseguitati. L’organizzazione, nata per soccorrere gli ebrei tedeschi rifugiati in Italia, si occupava ora di dare protezione agli ebrei italiani ricercati dai fascisti e dai nazisti. Boetto e Siri, insieme ad altri collaboratori, fra le varie cose, provvidero personalmente a fornire ai ricercati falsi documenti d’identità. L’11 marzo 1944, dietro segnalazione del cardinale Boetto, Pio XII elesse Siri vescovo titolare di Liviade, nominandolo al contempo vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Genova. Come stemma episcopale Siri mantenne quello della propria famiglia mentre per il motto scelse le parole Non nobis Domine, incipit del salmo 115 Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam (“Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome da’ gloria”). L’annuncio della sua promozione fu accolto con gradimento unanime; le uniche riserve vennero espresse dai rappresentanti del governo fascista di Salò, secondo i quali “Siri non poteva essere gradito per le sue idee”.

Dopo di che, essendo materia tutta particolare e personale, mi sento in obbligo di lasciare la parola al diretto protagonista: S. E. Giuseppe Cardinale Siri con le sue storiche Memorie riguardanti l’ultimo anno di guerra, per riprendere poi il discorso e aggiungere soltanto che il 31 gennaio 1946, quindi a meno di un anno dalla fine della guerra, il cardinale Pietro Boetto si spense.

Con ciò non è neanche da pensare che il Cardinale Siri abbia cessato di lavorare, tutt’altro!

Detto ciò, il sottoscritto ritiene di poter concludere in questo semplice modo: S. E. Giuseppe Card. Siri (Genova 1906/1989): pervicace oppositore delle ideologie totalitarie, che riteneva inconciliabili con la fede cattolica, a 38 anni divenne vescovo ausiliare, due anni dopo arcivescovo e a 47 cardinale: reggente l’arcidiocesi di Genova per 41 lunghi anni (dal 1946 al 1987) e partecipando a ben 4 Conclavi. Fra le tante cariche ecclesiastiche rivestite (1959/’65), annovera anche quella importantissima di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Il suo carattere poco incline ai compromessi e la tenace difesa delle proprie convinzioni divisero spesso l’opinione pubblica, non solo genovese ma nazionale, tra forti consensi e proverbiali opposizioni. Senza riserve, amò profondamente la sua città, Genova, dove fondò e continuò, anche da Cardinale, a far progredire numerose organizzazioni pastorali, assistenziali e culturali. Vasta e varia è pure la sua produzione di scrittore con decine di libri a sua firma, discorsi, omelie, lettere pastorali, e centinaia di articoli e relazioni di vario genere. E la sua città natale lo ha voluto onorare dedicandogli la Galleria Cardinale Giuseppe Siri, cioè l’ingresso principale del tanto amato dai genovesi Teatro Carlo Felice, che durante la guerra subì due fatali bombardamenti che lo resero inagibile per diversi anni a seguire.

Si ritiene pure non dover indicare nessuna bibliografia in quanto i testi e i siti web, e le diverse enciclopedie online possano soddisfare qualsiasi studio o curiosità su questo grande Personaggio che ha condiviso con noi tutte le tragedie e le bellezze del nostro travagliato e complesso Millenovecento. Le sue spoglie sono conservate nella tomba a lui dedicata nella Cattedrale di San Lorenzo, in Genova.

Genova, tomba del Cardinale Siri nella Cattedrale di S. Lorenzo.

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A questo punto mi viene spontaneo rivolgere pure a me stesso quest’unica domanda: “ ma perché, al Cardinal Siri, nel 1975 venne l’uzzo di pubblicare le sue memorie sui fatti di Genova 1944/45? dopo essere rimasto in silenzio per trenta lunghi anni?”. Per me che ho avuto modo di lavorare a Genova per trentacinque lunghi anni (dal 1961 al 1996) facendo il pendolare tra Sestri Levante (dove sono nato e vivo) e Genova, mi sembra di aver capito semplicemente questo: erano gli anni feroci delle Brigate Rosse e Genova ne pullulava. La città era un inferno: improvvisi blocchi stradali costringeva, specialmente noi pendolari una volta arrivati a Genova,  a non essere in grado di sapere se quel giorno potevamo avere la possibilità di arrivare, ad un certo punto, sul nostro posto di lavoro oppure no. I bus che improvvisamente si arrestavano o erano deviati su altri itinerari. Studenti e gente a sciami compatti che se la facevano a piedi tra Brignole e Principe, o tra altre mete diverse della città, che  chiedendo più volte ad altri pedoni, mal presi come loro, che incrociavano sulla via in che punto della città stessero sfilando i cortei della protesta urlante… e se fosse giunto da lontano qualche coro… a sgattaiolare subito dentro qualche traversa meno in esposta… o a infilarsi rapidamente in qualche androne più al riparo… Un caos totale, e anche un certo timore che ci nasceva dentro. Specialmente per noi macchinisti delle ferrovie che spesso non sapevano da che stazione di Genova sarebbe partito il treno che dovevamo effettuare quel giorno. E poi le varie correnti politiche che si rinfacciavano la responsabilità di aver generato questa marmaglia ingovernabile. Le sinistre soprattutto (anche il mio partito, quindi) che si sentivano affrancate perché secondo loro erano gli unici “puri” in quanto avevano dato tanto alla democrazia, anzi che si dichiaravano gli unici ad averla perseguita avendo fatto la Resistenza e ad aver obbligato alla resa gli invasori tedeschi. Insomma, tutti che si dichiaravano essere stati in prima linea su ogni fronte e tutti che cercavano di attribuirsi il merito di ogni cosa e che volevano porre la loro bandierina su tutto, senza magari essere usciti fuori dall’uscio di casa, e vomitando titoli d’ogni sorta contro i loro avversari politici, per intimorirli.

Insomma, davanti a una mistificazione così grossolana, che come sappiamo durò più d’un decennio, come si poteva pretendere che uno che aveva il carattere “fumino” del Cardinale se ne stesse zitto? No! Ed ecco allora che Lui ti riversa una grandine di Memorie nel piatto, per rimettere un po’ le cose al loro posto. Ed un ragguardevole effetto l’hanno prodotto per davvero. Io al tempo le avevo lette direttamente sul Secolo XIX e avevo anche riposto i giornali su cui erano state pubblicate le tre puntate. E alcune volte le avevo anche cercate per rileggerle o citarle in qualche appunto, ma non m’era stato più possibile trovarle.

Senonché l’altr’anno durante un periodo di quarantena per sospetto contagio Covid-19, dovendo rimanere quindi segregato in casa per più di quindici giorni, m’è venuta voglia di rimettere un po’ d’ordine nel mio archivio, e i vecchi giornali hanno avuto modo di risaltar fuori. Ma me ne mancava uno che non ho più trovato. Allora mi sono messo alla ricerca della Rivista Diocesana di Genova dove sapevo che erano state pubblicate durante lo stesso anno. Avutone gentile accesso mi sono procurato quindi regolari fotocopie. Che rileggendole svariate volte, e forse anche filtrate dalla canonica mascherina anti Covid-19 che eravamo obbligati ad utilizzare pure in casa per gran parte della giornata, mi sono parse quanto mai d’attualità e perciò le ho voluto inserire qui nel Sito della Storia della Divisione Coduri. Dove in traslato si vanno ad riallacciare ai festeggiamenti dei cento anni della nascita di Aldo Gastaldi “Bisagno”, altro mirabile Comandante della variegata Resistenza Italiana e della VI Zona Liguria nella quale era incardinata pure la Coduri.

Comunque, pur lavorando a Genova per più di trent’anni non ho mai avuto modo d’incontrare il Cardinale Siri in udienza privata o considerabile tale. Ma svariate volte l’ho visto in macchina sfilare sulle strade di Genova durante i suoi innumerevoli spostamenti cittadini. L’ho visto anche, una o due volte, durante le sue visite a uno dei tanti grossi impianti ferroviari genovesi.

Ma i miei ricordi mi portano di più alle due volte che ho effettuato il treno che lo portava a Roma, dove spesso si recava, oppure a qualche altra volta che l’ho visto prendere posto su treni per Roma, ma dove io, quelle volte, non vi prestavo servizio. Aveva un’abitudine. Cioè, quella di affacciarsi prima in ogni ufficio a salutare il personale al lavoro, accolto logicamente da tutti con cordiale reverenza e nei dovuti modi. Ma da noi, personale di macchina e viaggiante, veniva direttamente sotto il locomotore, perché sapeva che non potevamo abbandonare la locomotiva, e di solito ci chiedeva di dov’eravamo, il nostro nome, insomma, tutte notizie per lo riguardante la famiglia, e poi benediva il viaggio, noi stessi e i nostri famigliari a casa, comprese le decine di persone che nel frattempo s’erano avvedute di lui e s’erano avvicinate. Cose semplici ma belle nei ricordi.   

(evb 2021)

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5. Oggi 12/08/2021, alle ore 15,35, mi sono seduto al computer per tracciare un breve profilo storico del Cardinale Pietro Boetto, e m’è venuto istintivo di pigiare sull’App di Google il suo nome, e m’è saltato subito fuori l’articolo di Matteo Lo Presti apparso su Repubblica del 26 aprile 2018, intitolato “Il Cardinal Boetto e il ricordo di Bagnasco”. L’ho voluto leggere, m’ha entusiasmato e mi permetto di riportarlo qui. Innanzi tutto perché contiene ciò che più o meno volevo dire anch’io, ma considerato che non lo avrei potuto fare in maniera così acconcia e perfetta, né con la stessa autorevolezza, preferisco sia detto dal Cardinale Bagnasco che mi auguro mi perdoni se ho osato tanto. Come tanto ringrazio l’autore dell’articolo.

“Il Cardinale Boetto e il ricordo di Bagnasco” di Matteo Lo Presti.  

Tra le 11,30 e le 12 del 26 aprile 1945 per ordine del cardinale Pietro Boetto arcivescovo di Genova tutte le campane della città suonarono a festa per elevare un ringraziamento alla fine della guerra e forse anche per dare un benvenuto agli alleati, che entravano tra le mura di una città devastata dai bombardamenti, ma liberata da nazisti e fascisti.

Con devozione e profonda tensione culturale bene ha fatto il cardinale Angelo Bagnasco a rendere omaggio al suo illustre predecessore con un convegno e con la pubblicazione di un breve volume “Pietro Boetto, arcivescovo di Genova, giusto tra le nazioni” ed. Il Cittadino, nel quale con rapida sintesi viene fotografata la biografia di un uomo di chiesa coraggioso e magnanimo, che con sacerdoti, illustri collaboratori, riuscì a salvare tanti concittadini ebrei e offrire testimonianze di carità rigorosa. Piemontese di Vigone, nato nel 1871 da famiglia contadina, Boetto entrò giovanissimo nel seminario di Giaveno per poi passare alla Compagnia di Gesù.

Fece una rapida carriera tanto che proprio a Genova nel 1903 divenne rettore dell’istituto Arecco, inviato in Spagna come consultore della sacra compagnia per i religiosi,  fu creato  cardinale da Pio XI nel 1935. Nel 1938  arrivò a sostituire Carlo Dalmazio Minoretti.

Il trasferimento a Genova fu festoso viaggio. Scese alla stazione Brignole, imbandierata per l’imminente visita del duce Mussolini, accolto dai notabili della città che, al seguito di una carrozza scoperta tirata da quattro cavalli neri, lo accompagnarono in curia.

Il 10 maggio 1938 dalla chiesa del Gesù sotto un prezioso baldacchino  le cui aste erano sostenute da Pietro Romanengo, Alessio Dufour, Giacomo Fabre Repetto, Salvatore Chiarella, Antonio Raggi e altri, entra in san Lorenzo. Nell’omelia disse “Non voglio dominare, ma voglio invece governare con giustizia  e costanza, con la carità, con longanimità in modo che possa condurre i vostri cuori a Dio”. Nello stemma scelse il logo “Immoletur coram Domino” (sarà immolato di fronte a Dio).

Mussolini invece sarebbe sbarcato dalla nave ammiraglia Cavour scortato da un centinaio di navi il 14 maggio. I due si incontrarono a palazzo Spinola. Le loro idee erano in dura opposizione. E poi l’indomani  al Gaslini a inaugurare l’ospedale pediatrico. Iniziò una instancabile attività pastorale. Le scuole, le attività parrocchiali, il seminario, la politica, tutto veniva seguito con zelo e cura. Con grande abilità si era circondato di una squadra di collaboratori onesti e devoti: Giuseppe Siri, Francesco Repetto, Giovanni Cicali, Emanuele Levrero, Giacomo Lercaro.

Con le leggi razziali del 1938 il cardinale Boetto crea una fitta rete di protezione verso tutte le famiglie di religione ebraica perseguitate: riceve soldi dal vescovo Montini di Milano, distribuisce aiuto alle chiese di Firenze, si batte per salvare la vita al rabbino Riccardo Pacifici arrestato dal crudele prefetto fascista Basile.

Fa ospitare dove può i perseguitati. Scoppiata la guerra autorizzerà don Berto Ferrari a fare il cappellano della brigata partigiana Mingo. Infine il capitolo delle resa dei nazisti a villa Migone di san Fruttuoso firmata nelle mani di Remo Scappini massimo dirigente del CLN. La vicenda è nota. Boetto scrisse al comando tedesco lettere accorate. Gunther Meinhold il generale comandante la piazza accettò la resa, il suo interprete si suicidò. I partigiani avevano occupato i nodi strategici della città. Dal convento di san Nicola Paolo Emilio Taviani tesseva le fila della resa. Un giovanissimo democristiano Gianni Baget Bozzo andava fucile in mano all’assalto della stazione radio di Granarolo. Boetto con grande umiltà riferì che il merito del salvataggio di Genova era del suo ausiliare Siri. Boetto aveva trascurato la sua salute, morirà nel gennaio del 1946 di emorragia. Il sindaco socialista Vannuccio Faralli, tutti i partiti PCI in testa ammainarono le loro bandire in segno di lutto per un testimone della libertà e del rispetto prima della singola persona e poi dell’umanità tutta. Il 3 maggio alle ore 10 nella chiesa interna all’Albergo dei Poveri si terrà la commemorazione ufficiale.

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6. Un po’ di verbali del C.L.N. dei giorni precedenti l’insurrezione di Genova, e altro…

MINUTA DELLA SEDUTA C.L.N. PER LA LIGURIA
del 23 APRILE 1945 – Ore 20,30

Del comitato sono presenti i rappresentanti del P.L. (Martino) P.A. (Cassiani) P.R. (Gabanizza) D.C. (Taviani e Loi) P.L. (Savoretti).
È pure presente il Comando Regionale ad eccezione del rappre­sentante del P.C. (Manes).
Del C.L.N. sono assenti i rappresentanti del P.C. (Pessi) e del P.S. (Toni) [Toni arrivò alla seduta in ritardo].
Assume la presidenza il rappresentante della D.C. (Taviani). È pure presente Salmeri per la Questura.

Il rappresentante della D.C. (Taviani) comunica:

“Alle ore 17,30 di oggi sono stato chiamato da mons. Siri che mi ha notificato quanto segue: il generale tedesco Meinhold ha fatto sapere al Cardinale Arcivescovo che le truppe tedesche avrebbero ab­bandonato la città e la provincia in quattro giorni; che non l’avreb­bero distrutta, se non in qualche impianto bellico, purché avessero potuto attuare indisturbati i loro movimenti. Nella mattinata di oggi il Comando Marina tedesco ha invitati mons. Siri e il direttore ge­nerale dell’Ansaldo Rosini, ed ha detto loro che i tedeschi non fa­ranno saltare il porto, affonderanno soltanto delle navi per ostruire l’accesso. C’è stata una discussione piuttosto vivace per un pontone dell’Ansaldo. Anche il comandante tedesco sarebbe venuto nella de­cisione di non farlo affondare o al massimo di farlo affondare diritto perché ritorni facilmente a galla. Tutto questo, purché non ci siano atti di forza da parte della popolazione. Nessuno dei due ha dato delle garanzie.
Nel pomeriggio il console è andato da mons. Siri ed ha detto che le truppe tedesche lasceranno Genova. Le autorità in parte sono già andate via (prefetto e vice prefetto), e parte andranno via in giornata. Le bande nere andrebbero via nella notte. Le truppe tedesche impiegherebbero 3 o 4 giorni al massimo a lasciare la città e la marina andrà via per l’ultima.
Il comando della piazza è assunto da oggi dal generale Meinhold.
Il console prenderebbe la tutela dell’amministrazione della città ed ha avuto incarico di prendere contatto con mons. Siri.
Alla fine del colloquio, mons. Siri disse che l’unica cosa da farsi era quella di dare la città in mano al C.L.N. Il console chiese a mons. Siri di indicare alcuni nomi di funzionari antifascisti ai quali potere affidare in questi giorni l’amministrazione della città. I nomi non sono stati indicati.

In via del tutto confidenziale parlando con mons. Siri, si è fatto il nome di Salmeri per la Questura, Bonacini, Campanella e Paolo Badano per il Comune. Però questi nomi sono stati fatti da me e da Mons. Siri, non come C.L.N., ma come suggerimento dell’autorità ec­clesiastica. Per la questura ci sarebbe già Belley.
Resta sospeso il problema dei prigionieri; si stava appunto trat­tando lo scambio di questi, ma ciò è stato sorpassato dagli avveni­menti. Mons. Siri ha mandato la lista dei prigionieri a Engel, dicen­do che assolutamente non facesse partire questi prigionieri. Mons. Si­ri, alla fine della discussione, ha fatto presente che riteneva necessa­rio prendere contatto col C.L.N. perché nessun altro poteva tenere l’ordine della città.
Domani avrò un altro incontro con mons. Siri, credo opportuno comunicare a mons. Siri i nominativi designati per le cariche”.

          Il Comitato delibera:

Mons. Siri può prendere tutti i contatti che vuole e fare i nomi che vuole, senza però nominare il C.L.N.

Martino — chiede al generale, in quale misura il C.R. può di­sporre delle forze a sua disposizione, ossia delle S.A.P. e del com­portamento di queste.
Tommasi — alle ore 17 di oggi il C.R. ha avuto notizia che i tedeschi si ritireranno durante la notte e che il Comando tedesco in Italia avrebbe chiesto l’armistizio che sarebbe già stato firmato. 
Il C.R., nella ipotesi che le truppe presenti in Liguria avessero evacuato la regione, ha formato un comando operativo.
Date le ultime informazioni, si devono fare ora tre ipotesi:

  1° — che sia dichiarato l’armistizio e che si verifichi il collasso gene­rale di tutte le forze tedesche e fasciste.
In questo caso le S.A.P., insieme ad altre formazioni di monta­gna che già sono in collegamento con le S.A.P., dovrebbero occupare i punti più importanti della città, bloccare le vie di accesso, disar­mare i tedeschi e i fascisti, occupare la questura, la prefettura e le carceri; accantonare tutti gli automezzi e assicurare l’ordine pub­blico. Per quanto riguarda l’ordine pubblico, il C.R. ha già dato di­sposizioni in merito ed ha avuto assicurazioni al riguardo.
Il comando delle Sesta zona aveva costituito un corpo di polizia composto di elementi del S.I.P.: se questo corpo di polizia può ga­rantire l’ordine pubblico, il C.R. non può assicurarlo in questo mo­mento.
Le S.A.P. sono disciplinate e guidate da un comandante di piaz­za. I comandanti delle diverse brigate di partito danno assicura­zioni in tal senso.

   2° — si può verificare l’ipotesi di un collasso delle forze tedesche e di una resistenza da parte dei fascisti.
In questo caso ci sarebbe una copertura di fronte nel settore occidentale; in tutti gli altri settori, trovandovi resistenza, non si potrà attuare l’ordine pubblico. Si dovrà combattere in città ed allo­ra, nel settore dove sarà aperta la lotta, non si potrà parlare di ordi­ne pubblico. Nel settore liberato, si potrà invece attuare, e disposizioni in merito sono già state impartite.

  3° — può darsi che il comandante delle forze tedesche in Liguria, non riconosca l’ordine del comandante tedesco in Italia.
Il C.R. ritiene che se si dovrà impegnare combattimento in cit­tà, l’ordine pubblico potrà essere assicurato, con le S.A.P., solo nei settori già liberati. Se non ci sarà resistenza in città, il C.R. darà l’ordine alle S.A.P. di disarmare i nazifascisti e di assicurare l’ordine pubblico.

Taviani — Attualmente lo stato delle cose sembra questo: i fasci­sti se ne vanno e i tedeschi pare non abbiano intenzione di opporre resistenza, vogliono solo andarsene indisturbati.
Di fronte a tale situazione, ossia: fuga dei fascisti, evacuazione tranquilla dei tedeschi, io chiedo al C.L.N. che cosa delibera in merito.
Martino — la notizia dell’armistizio non è stata ancora data; il C.L.N. quindi deve dare l’ordine di iniziare l’insurrezione cittadina e di attaccare tedeschi e fascisti. Tutt’al più si potrà esaminare l’oppor­tunità di attaccare subito, immediatamente, oppure in un secondo tempo: bisogna quindi valutare le forze cittadine a nostra disposi­zione. Per dare l’ordine dell’insurrezione, sarebbe opportuno avere la conferma che i partigiani scendano immediatamente in città. Io penso che bisogna insorgere, senza aspettare la fuga dei tedeschi.
Cassiani — è d’accordo di impostare il problema come l’ha im­postato Martino. Egli è d’accordo di insorgere contro i tedeschi, sempreché ci siano le forze partigiane, nel senso di salvare il porto e tutto il salvabile.
Martino — penso che si debba insorgere senz’altro, anche se si dovesse arrivare alla distruzione del porto. Il popolo ligure deve agire.
Cassiani — la salvezza del porto è legata a questo ordine di in­surrezione? Io ritengo di scartare questa ipotesi che sulla insurrezio­ne debba pesare o meno la distruzione del porto. I tedeschi si preoc­cupano soltanto di salvare sé stessi.
Martino — il telegramma inviato dall’ambasciatore diceva: «a meno che non vengono fatte stupide provocazioni», mentre l’amba­sciatore aveva garantito che il porto non sarebbe saltato. Rocca dell’Ansaldo si è messo in contatto con le autorità tedesche che gli hanno dichiarato di non avere intenzione di disinnescare le mine. Rocca ha avuto l’impressione che le autorità tedesche di Genova non vogliano seguire le disposizioni delle autorità centrali. È molto probabile che le forze che lasceranno Genova per ul­time (la marina) facciano saltare il porto.
Taviani — il C.L.N. della Capitaneria del Porto ha comunicato che si stanno disinnescando le mine del Porto.
Gabanizza — bisogna preoccuparsi non solo della distruzione del porto ma, soprattutto, di non essere sopraffatti dalle forze fasciste.
Taviani -— invita i membri del C.L.N.  ad esaminare l’aspetto pratico della questione.
Martino — non si può sapere se le forze tedesche saranno in grado di sopraffare le forze partigiane. I tedeschi non potranno però dominare sempre la situazione perché penseranno ad andarsene. Sarà una battaglia di piccoli gruppi. Il C.R. stesso non potrà dirci se le nostre forze saranno o no sopraffatte. Il C.R. potrà invece dire se questa lotta potrà durare molto. È possibile sapere se i partigiani scenderanno? Il C.R. potrebbe dare immediatamente quest’ordine. Ci sono però disposizioni degli alleati che i partigiani non devono scendere in città. Come insurrezione cittadina non saremo mai battuti, però la lotta potrebbe prolungarsi troppo.
Cassiani — in una seduta del C.L.N. il generale ha precisato che le formazioni partigiane ricevono ordini dal C.R. Gli alleati ritengono che i partigiani non debbano scendere in città. Chiedo al C.R. se egli ha l’autorità di dare ordini ai partigiani. Il comando della zona se­gue gli ordini del C.R. oppure quelli della Missione alleata? Ritiene il C.R. che un suo ordine verrà eseguito?
Gen. Martinengo — il C.R. non può garantire di avere le for­mazioni partigiane in mano.
Tommasi — la missione alleata ha improvvisamente impartito or­dini direttamente al comando zona; la loro preoccupazione è quella di impedire che le formazioni di montagna scendano in città.
Nell’ultima visita che il C.R. ha fatto in zona, si è venuti a co­noscenza di un attrito sorto fra il comando zona e il colonnello della missione, relativo all’impiego degli uomini ed al loro accantonamento nel momento del collasso. Il C.R. ha risposto alla questione, posta dalla missione stessa, dicendo che i partigiani verranno impiegati per la liberazione di Genova. A Miro, comandante della zona, è stato fatto presente di ritenersi impegnato dal C.R. di dare esecuzione al piano operativo impartito dal C.R., senza dare seguito agli ordini della missione. Miro diede assicurazioni in proposito. Successivamente risulta, che in zona sono avvenuti determinati spostamenti. Questi spostamenti non sono stati autorizzati dal C.R. Manes ci ha assicurati di sviluppare la questione in una lettera privata diretta a Miro, ed ha dato assicurazione che il comando della zona obbedirà agli ordini del C.R.
La missione, per la terza volta, ha rivolto al C.R. l’invito di spostarsi in zona: se ciò dovesse avvenire il C.R. si troverebbe nella situazione di dover ricevere ordini della missione.
Costa — (rappr. della D.C. nel C.R.) sono stato in questi giorni in zona. Ho accennato a Miro l’opportunità che gli ordini del C.R. venissero eseguiti; Miro ha dichiarato che tra la zona e la missione si è addivenuti ad un accordo e che il piano operativo del C.R. sa­rebbe stato eseguito. La missione aveva fatto presente che il C.R. doveva spostarsi in zona perché la missione dovrebbe trattare e con­cordare col C.R. ed essendo questi in città, la missione dovrebbe trattare solamente col comando sesta zona.
Martino — il generale Valenti ha diramato circolare nella quale dice che le formazioni devono spostarsi secondo gli ordini degli al­leati; ciò è stato accettato dal C.V.L. Il C.R. non conosce ancora tale disposizione?
Jack — (rappr. del P.L. nel C.R.): chiarisce che nella seduta di oggi il C.R., dato l’incalzare degli avvenimenti, non ha potuto esami­nare tale circolare.
Tommasi — l’atteggiamento assunto dal C.R. su questa questione specifica è stato ispirato appunto dalla necessità di mostrare l’esisten­za di una organizzazione militare. Se il comando generale dà dispo­sizioni diverse il C.R. obbedirà. Il C.R. ha agito in tale senso in quanto aveva avuto delle disposizioni dal comando generale.
Le forze tedesche a Genova ammontano a circa 5.000 uomini più le forze fasciste. La marina tedesca ammonta a circa 1.200 uomi­ni. Altre truppe tedesche si trovano ad Uscio.
Martino — chiede insistentemente se i partigiani sono stati avvertiti.
Tommasi — assicura che sono partite subito staffette dirette in zona.
Martino— chiede informazioni sulle brigate che sono state spo­state verso la città.
Tommasi — l’armamento di queste brigate è buono, meno buo­no quello delle brigate di vallata; queste brigate però ora sono impegnate, nella difesa di Monte Moro.
Le formazioni che pensavamo di mettere a disposizione delle S.A.P. non sono ora più tutte disponibili, almeno una di queste (la Buranello) perché sono state spostate.
Al momento attuale non abbiamo a disposizione che le forze di città, ossia le S.A.P.; l’armamento di queste è scarso. Abbiamo dato ordine che in caso di armistizio, le S.A.P. si armino con le armi tolte ai nemici. L’ordine di mobilitazione delle S.A.P. è stato dato in quanto venga annunciato l’armistizio; le S.A.P. dovranno consi­derare la notizia dell’armistizio come ordine di azione.
Martino accennava alla necessità di dare l’ordine di azione genera­le delle S.A.P. per giungere all’insurrezione generale senza soluzione di continuità. Questo ordine è già stato dato, ossia di entrare in azione con azioni di guerriglia intensiva che dovranno sfociare nell’insurre­zione. Non è però stato dato l’ordine di apertura di un fronte in cit­tà. Se si apre un fronte in città verremo sopraffatti dai tedeschi, cosa che non succederà se si faranno solo azioni di guerriglia.
Martino — l’insurrezione si farà senz’altro. Si tratterà di dare il via a questa insurrezione.
Rappr. del P.S. nel C.R. — bisogna preoccuparsi dei tedeschi che sono oltre Genova, nella parte di levante, perché al momento dell’attacco delle S.A.P. in città i tedeschi si concentreranno su Genova.
Taviani — l’evacuazione dei tedeschi è in conseguenza dell’armisti­zio firmato.
Martino — la missione alleata non prevede il caso dell’evacua­zione della città; potrebbe darsi che gli alleati, saputo che i tedeschi lasciano Genova, diano l’ordine ai partigiani di scendere in città.
Noi dobbiamo preoccuparci di questo: al momento che giunge­rà la notizia dell’armistizio abbiano noi le forze per disarmare i sol­dati che si arrendono? Occorre prendere disposizioni in merito. Dob­biamo anche preoccuparci di questo: disarmare va bene, ma anche salvare gli edifici più importanti. Al momento stesso dell’armistizio le S.A.P. devono occupare le carceri, le sedi dei giornali, la radio ecc.
Tommasi — occupare le carceri, giornali, palazzo del governo, la questura, stazione radio di Granarolo, la TETI ecc. sono gli ordini da­di questa sera dal C.R. alle S.A.P.
Martino — la questura è una cosa che preoccupa molto. La que­stura deve stare al suo posto in caso di occupazione delle S.A.P.
Salmeri — chiedo venga definita la questione della Questura e della prefettura. Io garantisco per la questura e, forse, potrei garan­tire anche per la prefettura.
Gli elementi fascisti che erano in questura si sono ormai squa­gliati; chi ha la coscienza tranquilla è rimasto al suo posto.
La que­stura come ente è pronta ad ubbidire a chi dà ordini. Essendosi al­lontanate le autorità fasciste che la tenevano occupata, la questura obbedirà agli ordini del C.L.N. Parlare di occupazione della questura e della prefettura è cosa forse fuori luogo perché queste non aspetta­no altro che di mettersi agli ordini del C.L.N. In caso di occupazione potrebbe succedere qualche fatto increscioso. Io garantisco per que­sti due enti.
Taviani — il C.L.N. prende atto con piacere di questa afferma­zione. Il C.L.N. aveva deliberato una pronta e rapida epurazione ne­gli ambienti della questura. Non appena ciò avvenga la questura pas­serà agli ordini del C.R.
Salmeri — la questura è sempre un’autorità civile e non militare e dovrà dipendere dal C.L.N. che assomma i poteri governativi. La questura è alle dirette dipendenze della prefettura.
Cassiani — si è fatta l’ipotesi di un armistizio: se questo fatto non si verifica per qualche giorno il C.L.N. deve prendere le decisio­ni oppure rimandare? Bisogna prendere la situazione così com’è, e prendere provvedimenti relativi alla situazione del momento.
Martino — due sono le ipotesi:

     1)- quella dell’insurrezione: o siamo maturi per farla, o non la faccia­mo. Perché noi non possiamo proclamarci governo davanti alla popo­lazione finché non prendiamo il governo. Oggi si è ancora in una fase militare, si può tutt’al più dare una direttiva sempre in forma clan­destina. Per promuovere l’insurrezione, non possiamo decidere ora, e tale decisione è rimandata a domani.

    2)- ipotesi, ossia l’armistizio. Tutto fa supporre questo armistizio, dato l’esodo di forze da Genova.
Ora ci assicurano che in questura e in prefettura non ci sarà resistenza; è opportuno quindi avvertire i reparti S.A.P. che dovran­no occupare questi due enti, che lì non troveranno nessuna resistenza.
Dal punto di vista militare non possiamo, questa notte, decidere ancora niente. Dal punto di vista politico possiamo però preparare già molte cose.

Cassiani — al di fuori di queste due ipotesi, ce ne sono delle in­termedie, ossia prendere la situazione com’è. Come il C.L.N. ha dato ordini all’autorità costituita fino ad oggi, può darli benissimo anche a queste autorità che hanno assunto il potere in questo momento. Perché non possiamo dire al facente funzioni della questura: la questura è impegnata a salvaguardare determinati obiettivi?
È assurdo non dare ordini in questo momento alle autorità che hanno ancora forze; la questura, i vigili, il municipio, il comando della guardia di finanza ecc. Questa gente attende ordini dal C.L.N.
Dopo una lunga discussione, il Comitato decide di rimandare a dopo una deliberazione relativa all’insurrezione. Prende atto con compiacimento degli ordini già impartiti dal C.R. alle S.A.P. — Prega il C.R. di comunicare alle S.A.P. che questura e prefettura dovranno essere occupate, ma non troveranno alcuna resistenza.
Tommasii metropolitani, salvo quelli che collaboravano con i fascisti, si devono considerare come forze nemiche e debbono essere disarmati? Il C.R. riterrebbe di sì, ossia trattarli alla stregua delle forze repubblichine.
Martino nelle disposizioni venute da Milano, la polizia è com­presa in tale disarmo.
Tommasi la sezione politica della questura c’è ancora?
Salmeri si è allontanata, almeno i dirigenti. Gli agenti di tale Sezione bisogna internarli in campi di concentramento.
Martino finché il C.L.N. non prende in mano il potere, non può dare ordini alla questura, può darli solo in forma minatoria, ma cospirativa, non ordini come al subordinato. Il C.L.N. non può ac­cettare di essere il capo di queste forze, finché non le ha riconosciu­te come forze di polizia.     

           Si sospende la seduta per dieci minuti.

[In questo momento Taviani propose di votare il superamento del criterio dell’unanimità, criterio normale — costituzionale — del C.L.N. Con l’approvazione unanime fu approvato quindi il passaggio al criterio della maggioranza].

Cassiani ritiene che il C.L.N. dovrebbe autorizzare le forze che sono a disposizione dell’autorità che ha la possibilità di esercitare il potere, in particolare la questura e il municipio. Le forze che per disciplina e per funzione devono mantenere l’ordine pubblico so­no queste. Il C.L.N. può dare ordini a queste forze in senso positivo, finora sono stati dati in senso negativo. Possiamo oggi dare ordini in senso positivo, tenendo conto delle dichiarazioni di adesione e della situazione che ha portato alla realtà. Le forze rimaste in città sono quasi tutte fedeli. Si possono utilizzare queste in attesa di utilizzare le forze del C.L.N. Bisogna anche pensare ai particolari, ossia salvare il salvabile. Se chi è al potere oggi esegue gli ordini, va bene, al contrario si assume tutta la responsabilità.
Ritengo di potere dare ordini alla questura e al municipio di agire, particolarmente nella preservazione di obiettivi che più inte­ressano.
Gabanizza si associa a tutto quanto dichiarato da Cassiani.
Martino bisogna vedere in quale modo il C.L.N. dà questi ordini. Cosa possiamo sapere che queste forze domani ci saranno fe­deli? Non possiamo dirlo oggi. Oggi la questura e il municipio si dichiarano pronti ad accettare i nostri ordini; se noi chiediamo la loro collaborazione, significa che riconosciamo queste autorità. L’uni­co ordine che si potrà dare: «siete degli italiani, attaccate in ogni modo i tedeschi».
Non si possono assumere l’impegno dell’ordine pubblico; l’ordi­ne pubblico si otterrà con i partigiani e con le S.A.P. Prima occorre epurare questi enti. Gli agenti della questura, fino a ieri, hanno arrestato nostri amici e collaboratori, hanno trovato materiale ed armi che hanno denunziati. Bisogna precisare bene che da questa gente, noi non accettiamo collaborazione. Oggi bisogna dare gli stessi ordini che si sono dati in questi diciotto mesi di lotta clandestina: siete italiani, dovete combattere tedeschi e fascisti e cercare di sal­vare il salvabile.
Fino ad oggi si sono avuti dei questori, dei commissari, degli agenti che hanno obbedito alle autorità fasciste. Non possiamo ac­cettare di diventare i superiori di questa gente. Non si possono fare distinzioni fra questa gente. La questura non si può tollerare.
Si prenda atto con compiacimento delle dichiarazioni di Salmeri.
Come italiani sapete qual’è il vostro dovere, salvare tutto quan­to possibile. Non bisogna assolutamente riconoscere questo organismo.
Per essere a disposizione del C.L.N. queste forze dovrebbero essere prima epurate. Invitare la questura ad insorgere contro i te­deschi, questo sì. Siamo ancora nella fase della lotta. Occorre disar­mare i metropolitani.
Cassiani si dichiara d’accordo con MARTINO. Egli precisa: non ho detto di dare ordini come autorità costituita, ma di dare ordini di C.L.N., e come si è fatto finora. Per la posizione politica sono perfettamente d’accordo con Martino. Bisogna pensare alla potenza delle forze del C.L.N. Il C.L.N. non potrà dare ordine alla questura di attaccare i tedeschi; bisogna accontentarsi che la questura si adoperi per salvare il salvabile. II C.L.N. deve utilizzare gli elementi che oggi possono essere utilizzati in qualche modo. Il C.L.N. è finora in forma clandestina. La questura e i vigili urbani non hanno come obiettivo di at­taccare i tedeschi.
Taviani bisogna tenere presente che il C.L.N. ha sempre di­chiarato che le forze sane della questura, nel momento della lotta, pos­sono passare a disposizione del comando. Gli ordini del C.L.N. sono sempre stati dati in forma negativa, mai in forma positiva.
Problema politico: non si sa se questi enti sono stati epurati.
Ordine pratico: se l’ordine pubblico fosse tenuto dalla questura, la popolazione attaccherebbe queste forze.
Si potrebbe domandare al C.R. di utilizzare nel modo che crede più opportuno, queste forze.
Rappr. del P.S. nel C.R. bisogna disarmare queste forze, quindi esse non rappresentano certo alcuna utilità.
Cassiani dato che non siamo pronti a fronteggiare la situazione, cer­chiamo di temporeggiare. Non vorrei che il C.L.N., dato che è imprepa­rato, rifiutasse la collaborazione delle forze che possono essere a sua disposizione in via indiretta. Questo è un problema di coscienza.
Loi – (D.C.) il C.L.N. non dia ordini: consigli di fare questo per il bene della città. In tal caso queste forze non potranno arrogare nessun diritto.
Taviani prendiamo delle disposizioni che veramente valgano per la popolazione e per salvare la città, e non per la responsabilità del C.L.N. Facciamo pure qualsiasi figura, purché la soluzione sia del­le migliori.
Tommasi più volte è accaduto al C.L.N. e al C.R. di dovere porre sulla bilancia la questione morale e la questione della utilità per il nostro popolo.
Agli effetti militari tecnici, interesserebbe conoscere quali sono gli obiettivi che il C.L.N. presume di poter difendere usufruendo della Questura e che crede di non poter invece difendere con le forze delle S.A.P. in questo momento. Se l’obiettivo fosse la salvezza di tutta la città, si potrebbe passare sopra anche alla que­stione morale; se l’obiettivo fosse di importanza limitata (per esem­pio 5 tipografie di giornali), ciò non sarebbe bene che avvenisse.
Per salvare il porto si potrebbe anche accettare la collaborazio­ne di elementi soggetti ad epurazione. Quali sono gli obiettivi che il C.L.N. ritiene di potere salvare con l’ausilio delle forze della Que­stura? Il porto, no: non le centrali, nessun altro obiettivo interessan­te. L’intervento della questura non favorirà l’instaurazione dell’ordi­ne pubblico in città.
Martino si sta uscendo da quella che è stata la lotta di diciot­to mesi. Vengano pure distruzioni ma teniamo sempre presente il do­vere di lottare contro i tedeschi e i fascisti. C’è un elemento politico da affermare: l’insurrezione.
Il C.L.N. ha sempre stabilito che all’insurrezione si deve giun­gere con le nostre forze, non con quelle degli altri. Si è sempre ri­nunciato a trattative col nemico; si è rinunciato a trattare col tedesco per salvare il porto.
Nel fronte interno noi non intendiamo collaborare con la que­stura. Oggi il C.L.N. deve dire a tutto il popolo: prendete un’arma per combattere contro il tedesco, non per salvare singoli obiettivi. Alla questura bisogna parlare come si parla a tutti i cittadini; com­battete e salvate quello che potete salvare. Questa gente sa qual’è il suo dovere. Bisogna considerarla alla pari di tutti i cittadini, di tutti i sapisti.
L’ordine pubblico dei questurini il C.L.N. non lo vuole. Il do­vere della questura è quello di tutti gli italiani: combattere i nazifascisti.
Inoltre, non si possono impartire ordini alla gente che si dovrà disarmare. Anche i membri del C.L.N. dovranno prendere un’arma e combattere i tedeschi deponendo poi le armi a liberazione avvenu­ta. La questura non potrebbe nemmeno difenderci, perché, contro i tedeschi non avrà potere. Si corre il rischio che i questurini spari­no sui partigiani.
Tutt’al più si potrà dire alla questura: mettetevi a disposizione del comando piazza. 
Cassiani — data la possibilità di avere queste forze a disposizione, in attesa dei partigiani, bisogna utilizzarle.
Taviani — che resti bene fissato però che tali forze sono agli ordini del C.R.

      Dopo lunga discussione il comitato sarebbe giunto a questa so­luzione:

     «Ordinare alle forze rimaste della questura, vigili urbani, pom­pieri, C.S.S., finanza, di obbedire immediatamente agli ordini dei C.R.».

Gabanizza — è d’accordo su questa formula.
Su proposta di Martino il comitato precisa che il termine «obbedire» non va inteso come necessariamente corrispondente al termine essere «utilizzate».
Jack — propone questa seconda formula. «Di consegnarsi al C.R. e di ottemperarne gli ordini».

     Tale proposta viene accettata dal comitato.

     Il comitato delibera di incaricare il C.R. di impartire gli ordini nel modo su esposto. Resta però inteso che quando arrivassero i par­tigiani, queste forze che si sono messe a disposizione del C.L.N. solo all’ultimo momento,        saranno disarmate e lasceranno il posto ai par­tigiani.

Taviani — queste forze difenderanno gli obiettivi loro assegnati contro tedeschi e fascisti; potranno difenderli anche dalla folla?
Costa – (rappr. D.C. nel C.R.) — un comandante di settore potrà sempre prendere il comando di queste forze, la folla quindi dovrà rispettarle.
Savoretti — è opportuno che queste forze siano in borghese.
Tommasi — occorre armare il più possibile le 5.000 S.A.P. che al momento hanno armamento scarso.

             Il comitato approva.

Tommasi — Manes (rappr. del P.C. nel C.R.) non si trova pre­sente a questa riunione perché ignorava trattarsi di una riunione al completo con il C.L.N., credeva trattarsi solo di una riunione sup­plementare del C.R.
Generale — il C.R., già da questa sera, ha impartito l’ordine al­le S.A.P. di attaccare i tedeschi che si ritirano su Pegli.

            Il comitato delibera di lanciare alla popolazione il seguente ma­nifesto:

POPOLO GENOVESE!

Dopo venti anni di dittatura e due anni di feroce oppressione, finalmente è giunta l’ora della libertà.
In questo momento il nostro pensiero si rivolge a tutte le vitti­me della persecuzione nazifascista, agli uccisi, sbandati, deportati, al­le migliaia di giovani la cui vita si è rovinata o si è spenta lontano dalle loro spose e dalle loro madri, per soddisfare la pazzesca ambi­zione di due criminali e per una ideologia inumana.
L’ora della libertà è anche l’ora della giustizia!

POPOLO GENOVESE INSORGI!

Le autorità di Mussolini, con la vigliaccheria che le caratterizza, si stanno allontanando dalla nostra città; le truppe di Hitler battono in ritirata. Qualsiasi resistenza sia ancora opposta dai nazifascisti, deve essere stroncata con la massima rapidità e con estrema energia.
Dunque, nelle officine, sulle piazze, negli uffici, le forze sane della nazione, le forze dell’antifascismo militante, i nostri gloriosi partigiani che da lunghi mesi anelano a questo momento di riscossa e di vittoria, prendano il potere ed instaurino l’ordine democratico alle dipendenze del C.L.N.

POPOLO GENOVESE!

Il mondo ci guarda. Dobbiamo riscattare l’umiliazione di ven­titré anni. Dobbiamo essere degni della vittoria! Dobbiamo meritar­ci la libertà”.

oooooOooooo

7 ) VERBALE SEDUTA C.L.N. PER LA LIGURIA
del 24 APRILE 1945

Seduta del mattino

Sono presenti tutti i partiti ad eccezione del P.S. È presente an­che il C.R.
Presidente apre la seduta: si dimostra soddisfatto che tutti i membri abbiano risposto al compito del quale sono incaricati, e siano tutti presenti. Ciò dimostra come il movimento di liberazione sia veramente qualche cosa di concreto, e come nel momento decisi­vo della lotta, tutti gli organi sono al loro posto di lavoro e di co­mando. In questo momento il pensiero deve essere rivolto a tutti i Caduti di questi 18 mesi di lotta, ai deportati, ai carcerati ed a quelli che stanno combattendo le ultime resistenze del nazifascismo. Siamo arrivati al punto massimo della lotta dove l’affermazione del movi­mento di liberazione deve essere completa.
È necessario che in questo momento ogni elemento del movi­mento di liberazione senta la propria responsabilità. Nella misura che noi sapremo essere presenti e affermare la volontà del popolo ita­liano, si affermerà il movimento di liberazione in Liguria.
Il C.L.N. deve decidere per la presa dei poteri effettiva.
Il C.L.N. assume oggi, di fatto, tutti i poteri. Il C.L.N. ha già fatto le designazioni per le cariche, che saranno annunciate.
Il C.R. dovrà prendere tutte le disposizioni atte a incrementare la lotta di liberazione e prendere disposizioni perché il movimento si svolga su quest’ordine di disciplina che forma la serietà del C.L.N. e del popolo italiano. Bisogna esaminare la situazione e prendere le decisioni.
Comandante del C.R. si dichiara perfettamente d’accordo.
Rappr. D.C. — il comune e la prefettura attendono ordini dal C.L.N. Nel comune hanno agito le S.A.P. col com. Rossi e parec­chi vigili.
Tommasi — il ten. Rossi ha collaborato al movimento di libera­zione (omissis).
Rappr. D.C. — propone di telefonare in comune e in prefettura gli ordini del C.L.N. dire loro che obbediscano per il momento al funzionario rimasto più alto in grado, per la difesa della sede.
Presidente — è necessario un breve esame della situazione po­litica.
Il giornale « Secolo XIX » di questa mattina ha pubblicato ordi­ni a nome del C.L.N. per la Liguria.
È certo che il C.L.N. per la Liguria assumerà il potere e che ciò deve essere accompagnato dalle forze militari.
Il presidente invita il C.R. a voler comunicare le disposizioni già prese e gli ordini già impartiti.
Manes — Il comando piazza si è trovato in difficoltà perché tale comando si è organizzato solo da pochi giorni. Tuttavia il C.R. ha preso subito delle misure. Il C.R. aveva già dato delle direttive di massima nel caso la situazione dovesse precipitare. Quindi, indipen­dentemente da nuovi ordini, il piano operativo già predisposto, entra in vigore oggi. Di fronte al precipitare degli avvenimenti il C.R. ha dato subito ordini al comando VI zona.

     A questo punto entra in seduta il rappresentante del P.S.

Manes — in base agli sviluppi della notte, è stata inviata una staffetta straordinaria invitando le forze partigiane a scendere in città. Già da ieri sera alcune formazioni S.A.P. erano state dislocate sulla camionale per attaccare le truppe tedesche in ritirata. Tali ordi­ni erano stati dati per la liberazione di Sestri P., cosa che è già avvenuta. Il C.R. crede sia bene trasferirsi a Sestri o altra zona già liberata.
Tommasi — Sestri liberata, Cornigliano in mano tedesca, Sampierdarena liberata. In Genova vi sono 3 o 4 centri di resistenza nel settore orientale e nel centro della città.
Il Comandante della Piazza — una formazione tedesca in Albaro ha chiesto la resa: sono state date disposizioni in merito. Tommasi — è certo che il C.R. deve spostarsi nel settore di Se­stri già liberata.
Manes — le principali forze del C.R. sono nella zona industriale. La resistenza tedesca si farà sentire maggiormente in Genova Centro. Se il C.R. si fermasse in centro, non potrebbe più avere i contatti con la maggioranza delle sue forze.
Presidente — pensa sia bene rimandare la soluzione di tale problema

Il comitato è d’accordo sulle disposizioni inviate al comando della VI zona.

Si legge un testo di assunzione di poteri da parte del C.R. che, dopo discussione e modifiche, viene approvato.

A questo punto entra in seduta il commissario straordinario di guerra del comando Piazza. Egli riferisce sulla situazione militare: in mattinata i tedeschi controllavano le strade principali di Genova, mentre adesso sono stati attaccati e disarmati. Nuclei di resistenza in piazza De Ferrari, stazione Principe e Caricamento. La prefettura è aperta, presidiata da distaccamenti delle S.A.P. Gli è stato detto che il C.R. si era trasferito in prefettura, egli è andato e ha trovato in­sediato il dott. Trinchieri; erano pronti a lanciare i manifesti alla popolazione. Egli ha portato con sé un ufficiale di marina, al quale si daranno ordini.

Tommasi — il C.L.N. non pensa di fare arrestare tali persone?
Manes — bisogna arrestare prefetto, vicequestore e tutta la re­dazione del «Secolo XIX» e immediatamente uscire con decreti e ordini.
Rappr. P.L. — il dr. Trinchieri ha chiesto ordini al C.L.N. Biso­gna che il C.L.N. prenda contatto. Chiede quante persone ci sono in prefettura.
Commissario Straordinario di Guerra — una quarantina circa.
Presidente — è necessario fermare subito questi individui ma il C.L.N. non può ancora insediarsi ufficialmente. La autorità effettiva del C.L.N. sarà quando il C.L.N. potrà insediarsi.
Manes — propone che il C.L.N. si insedi a Sestri.

     Il comitato delibera di sospendere ogni decisione in proposito fino al domani mattina, in attesa degli avvenimenti.

Seduta del pomeriggio.

Presenti tutti i partiti.
Presidente – legge un biglietto pervenuto dal prof. Giampalmo che è a contatto con forze tedesche, le quali vogliono iniziare trattative col comando dei partigiani; in caso contrario faranno bom­bardare la città. Il comitato, in assenza del C.R. che si è trasferito a Sestri, deli­bera di mettersi in comunicazione col predetto dottore, dicendo loro che il C.L.N. non può accettare altro che la resa incondizionata.

  •  i tedeschi hanno la vita garantita e saranno considerati come prigio­nieri di guerra e consegnati alle truppe alleate quando arriveranno, nel caso i tedeschi depongano le armi. Il comandante dia ordine alle sue truppe di arrendersi immediatamente alle forze partigiane.

Presidente e rappresentante del P.L. si mettono a contatto telefonicamente con il predetto professore. Riferiscono sul colloquio avuto, il comandante aveva chiesto di essere messo in contatto col C.R., questo contatto non era stata possibile. Il comandante tedesco si è irrigidito, ma però non è improbabile che questo contatto si possa ancora avere.
Il rappr. del P.L. ha detto che farà presente tale cosa al C.R. essendo di competenza del C.R.; ha fatto presente che 10.000 parti­giani stanno avvicinandosi alla città. Il rappr. del P.L. ha telefonato in prefettura e ha parlato col dr. Sciaccaluga chiedendo chi era il funzionario più alto in grado.

  • Sciaccaluga ha risposto essere il dr. Trinchieri nominato pre­fetto dal C.L.N. di Carignano. Il rappr. P.L. ha smascherato tale C.L.N. e smentisce tale nomina. Il funzionario più in alto di grado è Belley, al quale è stata inviata una lettera con le disposizioni delibe­rate dal comitato nella seduta del 24-4.

Presidente — è bene esaminare la posizione di tali persone che si sono prese tale iniziativa, ossia i componenti il presunto C.L.N. di Carignano che ha nominato il dr. Trinchieri.
Presidente — si sono stabiliti contatti col C.R.; il comandante arriverà a momenti per partecipare alla seduta; mentre i due vice comandanti sono andati a Sestri.
Presidente — legge il testo preparato dal C.L.N.A.I.

     Si apre la discussione sulla opportunità o meno di allargamento del C.L.N.

Presidente — il C.L.N. resta per ora quello che è, nell’esercizio delle sue funzioni potrebbe essere allargato.
Rappr. D.C. — è favorevole a fare una Giunta governativa C.L.N. ma non all’allargamento del comitato.

Arriva la notizia che Sestri è completamente liberata; Sampierdarena in parte liberata, piazza De Ferrari liberata.
I genovesi si battono in modo meraviglioso.
Gloria a Genova!

          Si riprende la discussione. Il comitato si riserva di costituire una giunta governativa a fianco del C.L.N.

Il comitato, dopo la discussione, delibera di accettare il decreto del C.L.N.A.I. come segue: «Per volontà e per azione di popolo».
In virtù del mandato conferito dal governo italiano al C.L.N.A.I. e riconosciuto dalle autorità alleate;
il C.L.N. per la Liguria, espressione unitaria di tutte le forze nazionali che hanno collaborato alla lotta di liberazione delle nostre terre, e rappresentante di questa regione del C.L.N.A.I.assume tutti i poteri di amministrazione e di governo nel ter­ritorio della regione ligure in esso nome e sotto l’autorità C.L.N.A.I.

Decreta

Art. 1° – Tutti i poteri di amministrazione e di governo nel territorio e nella regione ligure vengono esercitati dal C.L.N. attraverso gli or­gani e le persone da esso designate, in attesa della possibilità di una libera consultazione popolare e delle ulteriori disposizioni di leg­ge del governo democratico italiano.

Art. 2° – L’organo supremo di governo nel territorio della regione ligu­re è il C.L.N. per la Liguria. Esso è composto di due rappresentanti dei seguenti partiti: Partito d’azione; Partito comunista; Partito democristiano; Partito liberale; Partito repubblicano; Partito socialista; ed è presieduto da SCAPPINI REMO del partito comunista.

Art. 3° – Il prefetto, che risponde della sua azione al C.L.N. Liguria è designato dal C.L.N. provinciale nella persona del sig. MARTINO avv. Errico del partito liberale italiano. Egli è assistito dal vice prefetto, designato nella persona del sig. Pertusio avv. Vittorio, democristiano.

Art. 4° – L’amministrazione della Provincia è affidata alla deputazione pro­vinciale, i cui componenti sono designati nelle persone dei sigg. Rai­mondo avv. Enrico, presidente (partito democristiano) – Crosa arch. Giuseppe, vice presidente (partito liberale italiano).

Art. 5° – Il capo della polizia è designato dal C.L.N. provinciale nella persona del sig. Bianchi avv. G.B. (partito repubblicano italiano). Egli è assistito da un vice capo della polizia designato nella persona del sig. Bugliani (partito comunista).

Art. 6° – Il sindaco del Comune di Genova è designato nella persona del sig. Faralli Vannuccio (partito socialista). Egli è assistito da due prò sindaci designati nelle persone del sig. Mecca Ferruccio (partito repubblicano italiano) e del sig. Pieragostini (PCI.) e dalla giunta comunale in via di costituzione.

Art. 7° – Tutte le forze armate del regime nazifascista sono sciolte. Gli appartenenti alle disciolte forze armate del passato regime sono te­nuti, sotto pena di morte, a presentarsi per la consegna delle armi e dell’equipaggiamento al comando Volontari della Libertà.

Art. 8° – Tutte le forze armate nazionali della regione, passano agli ordini del C.L.N. e per esso al comando unitario dei V.d.L.; ai fini della continuazione della guerra di liberazione a fianco degli alleati.

In accordo col comando unificato e con le forze armate che questo porrà a loro disposizione, formandosi sul senso di civismo e sulla collaborazione di tutto il popolo, il prefetto ed il capo della polizia cureranno il più rigoroso mantenimento della sicurezza e dell’ordine pubblico.

Art. 9° – Commissioni di giustizia e di epurazione sono istituite presso questo C.L.N. regionale per assicurare la rapida purificazione della vita locale dei residuati del passato regime di corruzione e di tradi­mento per la punizione esemplare di criminali di guerra e di quanti si sono resi complici delle barbarie e della oppressione nemica».

Genova, 24 aprile 1945.

In nome del popolo

                                                                                   IL C.L.N. PER LA LIGURIA

Partito d’azione                                           CASSANI INGONI Mario – ZINO Remo
Partito comunista                                       PESSI Secondo – SCAPPINI Remo
Partito democristiano                                LOI Antonio – TAVIANI Paolo Emilio
Partito liberale                                             MARTINO Errico – SAVORETTI Giovanni
Partito repubblicano                                   ACQUARONE Vittorio – GABANIZZA Pietro
Partito socialista                                          BIANCHI Costante – TONI Azzo

 

Il comitato delibera che una parte del C.R. si fermerà a Sestri e una parte verrà in centro.
Per le banche è già stato preso provvedimento.
Giunge in seduta il comandante del C.R.; reca la notizia prove­niente dal dr. Giampalmo che ha fatto sapere che il gen. Meinhold è disposto a consegnare la città a truppe che diano un certo affi­damento.
Egli desidera però incontrarsi con un parlamentare. Egli teme che le forze partigiane non siano forse sufficienti per il mantenimento dell’ordine pubblico.
Il comitato interpella il comando piazza: quando un generale chiede la resa deve venire in persona a prendere contatto. Il comando delibera di mandare a dire al generale che le forze partigiane stanno avvicinandosi alla città; le forze sono sufficienti a mantenere l’ordine pubblico. Il C.L.N. è disposto a trattare; le condizioni sono queste: resa, garanzia della vita salva per tutti i tedeschi che si arrendono; saranno considerati come prigionieri di guerra e consegnati agli eser­citi alleati. Se vuole trattare la questione invii due persone.
Si incarica il dr. Giampalmo perché faccia pervenire tale rispo­sta al generale.

Ore 19,45

Arriva un parlamentare inviato dal comandante di un presidio tedesco di via Francesco Pozzo. Arriva accompagnato dal dr. Zaninetta.

Il dr. Zaninetta ha un abboccamento col presidente del C.L.N. e col comandante del C.R. Il dottore non è ufficialmente incaricato di trattare, è solo una sua iniziativa personale, dato che egli è in contatto col generale Meinhold. Il generale avrebbe chiesto che le truppe tedesche potessero passare indisturbate, in caso contrario fa­rà bombardare la città.
Il presidente del C.L.N. ha fatto noto la posizione assunta dal C.L.N.: è quella di disarmare i tedeschi e considerarli come prigio­nieri. Se il generale Meinhold facesse bombardare la città, o compisse qualsiasi atto contro la popolazione sarà denunciato come un crimi­nale di guerra.
Dopo di che il presidente e il generale ritornano in seduta per interpellare il parlamentare.
Ufficiale Tedesco — questa mattina, quando sono cominciate le ostilità verso i tedeschi, due giovanotti si sono presentati a par­lare ai tedeschi, dicendo loro di fare intendere ai propri superiori di arrendersi senza combattere. Egli ha parlato prima col suo coman­dante di Nervi, il quale lo ha inviato al gen. Oberstei. Detto gene­rale chiede di potere arrivare con le truppe almeno ai Giovi. Il par­lamentare rappresenta circa 600 uomini che sono piazzati in via P. Poz­zo. Egli dovrebbe essere garantito di potere arrivare con le armi al­meno fino ai Giovi. Egli potrebbe tornare domani, dopo aver rife­rito al suo comandante. Egli non può dare nessuna garanzia per quan­to riguarda il bombardamento minacciato da comandi tedeschi per questa sera. Egli ha detto che se riceve dai superiori l’ordine di arrendersi si arrende.
Presidente — molti nuclei isolati nella città, si sono già arresi ed erano nuclei forti e sono stati considerati prigionieri di guerra. Sarà difficile che questo parlamentare possa prendere contatto con il suo comando perché la città è ormai praticamente divisa in zone e le forze tedesche sono già spezzate. Il C.L.N. ha avuto una propo­sta di trattative del generale anche da altre parti e il C.L.N. ha già inviato una lettera a tale proposito al gen. Meinhold (dà lettura della lettera).
L’orientamento del C.L.N., del C.R. e del comando piazza è quello della resa e considerazione di prigionieri di guerra. Si garan­tisce nel modo più formale che i tedeschi saranno trattati come pri­gionieri di guerra.
L’orientamento del C.L.N. e del C.R. non può mutare. La con­dizione che è stata stabilita dal comando generale di tutta l’Italia come dal comando alleato è la resa senza condizioni e prigionieri. Se i tedeschi usciranno da Genova saranno attaccati più in là dalle formazioni partigiane, che in numero di 12.000 stanno già per scen­dere in città: molti sono già scesi.
Ufficiale Tedesco — I tedeschi avrebbero potuto far saltare ancora tanti impianti industriali ecc. e sono ancora in tempo a farlo. Egli personalmente accetterebbe subito la resa, però non può fare nulla se non riceve ordini superiori.
Presidente — se i tedeschi commetteranno qualche atto contro la città, sia chi dà l’ordine che chi eseguisce, verranno considerati come criminali di guerra e saranno dati ordini per l’annientamento com­pleto dei tedeschi. Le forze partigiane della montagna sono 12.000; in città ne scenderanno alcune migliaia; inoltre, gli alleati non tarde­ranno ad arrivare.
Ufficiale Tedesco — si lamenta della popolazione che ha com­battuto contro di loro.
Presidente — se i tedeschi si arrendono verranno messi in campi di concentramento come si è già fatto anche poche ore fa con un gruppo di 300 tedeschi che si sono arresi. Dalla parte dei Giovi ci sono i partigiani che scendono: non è quindi più possibile per i te­deschi lasciare Genova.
Ufficiale Tedesco — chiede se tali partigiani sono comunisti o badogliani.
Presidente — sono solamente soldati della libertà, sono sen­za partito.
Ufficiale Tedesco — chiede cosa faranno i partigiani quando verranno gli alleati in Genova.
Presidente — il comando partigiano è in collegamento continuo con il comando alleato, riceve disposizioni dal comando alleato; le armi dei partiti sono state fornite in gran parte dal comando alleato.
Ufficiale Tedesco — chiede se i partigiani col fazzoletto ros­so sono del partito comunista o del partito socialista.
Presidente — è il distintivo delle brigate garibaldine. Tutti i partigiani hanno l’ordine di rispettare quanto il C.L.N. ha stabilito e il comando alleato ha disposto. I partigiani della montagna hanno già fatto, nei mesi scorsi, mol­ti prigionieri e non li hanno uccisi, ma tenuti come prigionieri di guerra. I prigionieri che si faranno oggi in città saranno dei prigio­nieri di guerra.
Ufficiale Tedesco — cercherà di mettersi in contatto telefo­nico con il suo comandante e frattanto parlerà ai suoi uomini, nel senso in cui il C.L.N. si è espresso e facendo presente il pericolo che incombe loro. È necessario che lui possa parlare per telefono al suo comandante.
Presidente non si può garantire nulla date le operazioni in corso. Annunciano in questo momento la resa del comando marina del porto ossia della X Mas.
Ufficiale Tedesco parlerà subito con i suoi uomini, ma vorrebbe parlare con il suo comandante superiore.
Presidente non si può garantire che nella notte i partigiani non attacchino lui e i suoi uomini.
Ufficiale Tedesco se lui fosse un comandante potrebbe de­cidere.
Presidente non ci sono più alti comandanti: Berlino è stata occupata.
Ufficiale Tedesco sa che la guerra è perduta e che per i tedeschi è finita: solo i superiori vogliono continuare.
Presidente:  non c’è più possibilità di conferire col comandan­te; tutti si arrendono.

Ore 24,10

Il Presidente a nome del comitato, esprime il suo compiaci­mento per l’atteggiamento delle S.A.P. e del popolo tutto. Anche il C.L.N. ha funzionato bene e così i singoli partiti, sia per l’organiz­zazione dei singoli partiti, che per la pronta occupazione delle sedi dei giornali e la pubblicazione dei giornali stessi.

Il comitato delibera il lancio di un manifesto alla popolazione e ai patrioti.
Il comitato delibera la costituzione, per questo periodo di emer­genza, di un ufficio stampa, costituito dai rappr. della D.C. e del P.A. Il C.L.N. per la Liguria, su proposta della commissione economica

Decreta

chi, approfittando dello stato di emergenza, specula con l’aumento dei prezzi, sarà deferito all’autorità e il suo esercizio sarà chiuso.
Il C.L.N. per la Liguria su proposta della commissione economi­ca emana altri due decreti che vengono passati alla stampa.
Il C.L.N. ferroviario per il compartimento di Genova ha ema­nato un decreto di assunzione di poteri.
Il comitato ritiene che, per quanto il comitato ferroviario si sia arrogato di poteri che non gli competono, non sia il momento di prendere deliberazioni in merito.

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TRATTATIVE PER LA RESA DEL PRESIDIO DI GENOVA

Comitato Liberazione Nazionale per la Liguria
Comando Regionale Militare Unificato
Al Generale Meinhold – Savignone
In merito alla richiesta da voi formulata e nei riguardi della situazione nella città di Genova, si precisa:

      • Il Comando Piazza di Genova è in grado di controllare perfetta­mente l’ordine pubblico: le forze a disposizione sono state note­volmente rinforzate dall’affluire dei patrioti di montagna.
      • Le trattative per la resa non potranno che contenere le seguenti condizioni:
      1. a) cessione delle armi;
      2. b) i militari germanici saranno trattenuti quali prigionieri di guerra e tenuti a disposizione del Comando Militare Alleato.

       — Potrete inviare i parlamentari a Genova presso questo Comando Regionale.

 Genova, 24 aprile 1945.

 Il Comandante Regionale f.to Durante

I PARTIGIANI ALL’ATTACCO

Il Comando Militare Regionale Ligure del Corpo Volontari del­la Libertà,

comunica

dalle ore 24 del giorno 23 tutte le forze dipendenti da queste Comando sono passate in massa all’attacco contro il nemico in riti­rata. Le truppe partigiane della 6a zona ligure attaccarono decisamen­te il nemico lungo le rotabili che si dirigono verso il Po, causando perdite in uomini e materiali non ancora accertate.

Le forze delle Squadre d’Azione Patriottiche, sotto la direzione del Comando di Piazza, hanno liberato i centri industriali di Sestri, Pontedecimo, Cornigliano e Sampierdarena. Focolai di resistenza ne­mici nel centro della città di Genova sono in corso di liquidazione. Affluiscono numerosi ai Comandi Patrioti i prigionieri.

Il Comando Militare Regionale Ligure

Genova, 24 aprile 1945

È GIUNTA L’ORA DELLA LIBERTÀ

 

POPOLO GENOVESE!

Dopo venti anni di dittatura e due anni di feroce oppressione finalmente è giunta l’ora della libertà.
In questo momento il nostro pensiero si rivolge a tutte le vitti­me della persecuzione nazi-fascista, agli uccisi, ai seviziati, ai tortu­rati, ai deportati, alle migliaia di giovani la cui vita si è rovinata o s’è spenta lontano dalle loro spose e dalle loro madri, per soddisfare la pazzesca ambizione di due criminali e per una ideologia inumana.
L‘ora della libertà è anche l’ora della giustizia.

POPOLO GENOVESE, INSORGI!

Le autorità di Mussolini si stanno allontanando dalla nostra cit­tà; le truppe di Hitler battono in ritirata. Qualsiasi resistenza sia ancora opposta dai nazi-fascisti deve essere stroncata con la massima rapidità e con estrema energia. Dovunque, nelle officine, sulle piazze, negli uffici, le forze sane della Nazione, le forze dell’antifascismo mi­litante, le S.A.P., i nostri gloriosi partigiani che da lunghi mesi anelano a questo momento di riscossa e di vittoria, prendono il potere e instaurano l’ordine democratico alle dipendenze del Comitato di Liberazione Nazionale.

 

POPOLO GENOVESE!

Il mondo ci guarda. Dobbiamo riscattare l’umiliazione di venti­tré anni.
Dobbiamo essere degni della vittoria. Dobbiamo meritarci la libertà.
Il C.L.N. per la Liguria

Genova, 24 aprile 1945

L’INSURREZIONE POPOLARE È IN ATTO

 

GENOVESI!

L’insurrezione popolare è in atto. Le Squadre e i Gruppi di Azione Patriottica e il popolo tutto si comportano in modo meravi­glioso e stanno compiendo tutto il loro dovere.
Genova popolare sta dimostrandosi veramente all’altezza della situazione e degna della libertà che sta conquistandosi con le armi in pugno.

 

GENOVESI!

Nelle strade cittadine dei patrioti sono caduti nella lotta per la liberazione della Patria. Il loro sangue darà un’Italia veramente libera e democratica.
L’insurrezione che da ventiquattr’ore si sta svolgendo vittoriosa, deve essere continuata fino a tanto che tutti i nemici nazifascisti si arrendano o siano annientati.

 

GENOVESI!

I partigiani si avvicinano rapidamente alla città per la definitiva liquidazione di ogni resistenza.
La vittoria è del popolo genovese.

VIVA L’ITALIA LIBERA E DEMOCRATICA!

Il C.L.N. per la Liguria

Genova, 24 aprile 1945, ore 23.

oooooOooooo

 
8 – VERBALE SEDUTA C.L.N. PER LA LIGURIA
del 25 APRILE 1945

Ore 8,30 

Il comitato passa ad esaminare la situazione generale: abbastan­za soddisfacente.
Dal punto di vista politico la situazione è buona; il comitato sta veramente entrando in carica.
Il comitato si preoccupa che la popolazione non rimanga senza pane: invita pertanto il comando piazza ad inviare uomini delle S.A.P. presso i fornai perché ingiungano loro di fare il pane.
Il comitato delibera di invitare alla prossima seduta il rappresen­tante della sezione alimentare della CE.
Il comitato, constatato che i tedeschi e i fascisti hanno lasciato, con la loro fuga, completamente vuoti tutti i magazzini e depositi di viveri della città

ordina

tutti i forni siano tenuti aperti;

  1. i fornai dovranno provvedere alla panificazione utilizzando qualsiasi riserva giacente presso di loro;
  2.  i fornai sono direttamente responsabili per la esecuzione di quanto sopra.

Il comitato delibera di lanciare il seguente manifesto alla po­polazione:

GENOVESI!
I tedeschi ed i fascisti hanno lasciato i magazzini vuoti. Vi han­no portato via anche quel poco di farina indispensabile per la già scarsa panificazione giornaliera.
Lo stato di guerra combattuta impedisce un normale afflusso di rifornimenti.
II C.L.N. per la Liguria fa appello alla comprensione e allo spirito di solidarietà di tutti i cittadini per superare questo grave momento.
Gli organi competenti sono già in attività per abbreviare tale periodo.

Ore 11,30

È presente Remo Scappini presidente del C.L.N. per la Li­guria. È pure presente il signor Pareto della Commissione eco­nomica.
Il comitato saluta il presidente che da oggi assume la sua cari­ca. Indi Pareto fa un’ampia relazione sulla scorta di farina e di gra­none della città.

In città vi sono scorte per un massimo di 5 giorni. Si teme la mancanza di energia elettrica che permetta di macinare il grano. La Sepral sta però organizzando la dislocazione di queste scorte presso i mulini ad acqua. Il presidente rende noto che si potrà assi­curare forse domani il transito ai camion che portano il grano ai mulini, dato che in piazza Dinegro un gruppo di tedeschi resiste ancora.

Il rappresentante del P.S. comunica che il co.pro-ma. ha gia­centi 25 q.li di carne destinata agli ospedali.

Il comitato delibera di ordinare la distribuzione di carne agli ospedali, col controllo del C.L.N. interno, ed incarica la commissione economica di prendere eventuali opportuni provvedimenti a carico del direttore del co.pro.ma. Il comitato approva il parere della commissione economica di mandare il grano ai mulini ad acqua.

Entra in seduta il comandante della piazza. Egli riferisce che le S.A.P. hanno a disposizione farina e viveri trovati in magazzini; egli ha dato ordine che la farina venga consegnata immediatamente ai forni affinché la popolazione non manchi un solo giorno di pane. Il Presidente — è opportuno che queste giacenze di viveri e fa­rina passino sotto il controllo della commissione economica.

Il Rappr. del P.C. osserva che la responsabilità della alimenta­zione è della commissione economica: essa deve studiare e prendere quei provvedimenti di carattere tecnico che sono necessari per il buon funzionamento. Invita pertanto la commissione economica a proporre i provvedimenti che poi il comitato sanzionerà.
Pareto — chiede i mezzi di trasporto e una scorta armata a ta­li mezzi.
Il Presidente ricorda che in molte aziende erano stati concentrati parecchi quintali di farina per gli operai. Il comitato po­trebbe eventualmente dare disposizione in merito, perché il comi­tato non deve pensare solo agli operai ma a tutta la popolazione.
Il comitato riesaminerà ancora il problema che è molto delicato. La commissione economica dovrà prendere contatto col comando piazza (dato che il C.R. è lontano) perché autorizzi a fornire una scorta agli automezzi.
La sezione trasporti della CE. ha già provveduto ad incaricare ingegneri e personale affinché siano con urgenza fatte le dovute ripa­razioni alle strade.
Giunge notizia che il ten. Pisano ha rilasciato lasciapassare e distribuito armi ad ex fascisti. Il comandante della piazza ha già im­partito ordini perché si proceda all’arresto de! suddetto Pisano.
Il C.L.N. delibera di prorogare il termine di scadenza delle cambiali.

Pareto lascia la seduta.

Comandante della Piazza — è urgente pensare all’istituzione di un ente che prenda in mano la questione dell’ordine pubblico.
Un ufficiale dei carabinieri (. . . . .) ha proposto il richiamo in servizio di tutti i carabinieri. Questo carabiniere era però in con­tatto col prefetto Bigoni.
Rappr. del P.A. — pensa sia bene ricostituire subito il corpo dei carabinieri.
Rappr. del P.L. — non bisogna precipitare gli avvenimenti e scegliere quindi il cap. . . .  . se egli non è persona politicamente degna. È necessario tenere conto che nelle formazioni partigiane vi so­no molti carabinieri, quindi il nuovo corpo dei carabinieri dovrebbe essere ricostituito con gli elementi che hanno appartenuto alle for­mazioni partigiane.
Rappr. P.R. — il comitato non deve preoccuparsi oggi di ricosti­tuire il corpo dei carabinieri. Per l’ordine pubblico ci sono forze sufficienti con le S.A.P. e i partigiani. È necessario pensare prima alla sistemazione dei partigiani e delle S.A.P.; se gli alleati dovessero prende dei provvedimenti contrari, il C.L.N. non deve deflettere.
Presidente — in primo luogo è necessario pensare alle S.A.P. e ai partigiani. In un secondo tempo si terrà senz’altro conto di quei contingenti di carabinieri che hanno servito la causa. Il Comitato — delibera di costituire urgentemente un corpo che comprenda elementi delle S.A.P., possibilmente elementi dei va­ri partiti, demandando ad esso funzioni, in un certo senso, di poli­zia; esattamente deve essere un corpo di controllo. Esso sarà alle di­pendenze del questore non appena si sarà insediato; per ora dovrà essere alle dipendenze del comando piazza.
Il comitato passa a discutere il problema del trasferimento e in­sediamento ufficiale del C.L.N.
Su proposta del rappresentante del P.L., si designa quale sede l’albergo Bristol.
Sarà necessaria una scorta armata per l’albergo Bristol e per la prefettura. Si esamina quindi il problema dell’insediamento ufficiale del Sindaco, Prefetto, Preside della provincia, Questore. Si discute sulle probabili sedi assegnate a ciascun partito.

Ore 17,30

Con immensa gioia e commozione, i membri del comitato abbrac­ciano il compagno Faralli. Faralli racconta:

Arrestato il 27 dicembre 1944. Liberato la notte del 23 apri­le 1945. Ho subito molti interrogativi, sempre di notte. Ho subito la tortura delle scosse elettriche (mi legavano ai polsi il filo elettrico).
Durante il primo interrogatorio sono stato torturato con le scosse elettriche con la corrente a scatti, che è la cosa più spaven­tosa che esista; ogni tanto si fermavano per interrogarmi. Io rispon­devo sempre negativamente. La tortura e durata per 2 ore e mezza.
Mi hanno messo poi in una celletta fredda, dove non c’era altro che un piccolo seggiolino.
Dopo tre giorni mi hanno interrogato nuovamente:
«Voi siete del C.L.N.». Io ho negato recisamente. Allora il tedesco ha cominciato a darmi pugni e calci. Volevano sapere i nomi dei membri del C.L.N. Hanno aggiunto che erano certi che io ero a con­tatto con il comitato del quale facevano parte Cirenei, Ugolini e Solari. Io ho sempre negato.
Mi hanno torturato con le scosse elettriche per oltre due ore e mezza.
Io cercavo di resistere a tali torture facendomi forza e cercando di reagire. Il patimento mi faceva sudare tanto che tutto il tavolino, dove i carnefici stavano appoggiati diventò ben presto bagnato. Quan­do mi tolsero i fili dai polsi, ed io caddi a terra esausto, hanno pre­teso che con il fazzoletto asciugassi il tavolo. Mi hanno caricato di pugni e calci.
Anche molti che non volevano parlare non hanno saputo resi­stere alla tortura delle scosse: io ho sempre resistito. I prigionieri della IV sezione hanno passato delle pene spaventosissime.
Dopo altri tre giorni nuovo interrogatorio. Questa volta mi han­no proprio massacrato. Questa volta mi hanno interrogato di giorno. Mi hanno subito detto: Voi siete membro del C.L.N. Volevano sa­pere il nome degli altri industriali con i quali io avevo trattato e il nome di tutte le persone che conoscevo. Io ho negato recisamente. Hanno cominciato con le scosse elettriche. Sentivo nel cervello delle vibrazioni violente. Pretendevano avere in mano loro i documenti comprovanti tale mia rappresentanza al C.L.N. Ho chiesto allora di farmi vedere tali documenti. Cug è diventato furente: con un nervo di bue mi ha massacrato di botte. Io avevo le mani e le gambe gonfie per le passate torture. Mi hanno buttato per terra e preso a calci. Ero diventato tutto livido e gonfio. Hanno ripreso le scosse. Malgrado ciò io ho ancora insistito per vedere tali documenti. Cug prese tutti i documenti di Remo e me li buttò sul viso. Si sono poi affrettati a raccogliere i documenti, che hanno esaminato mentre continuavano a darmi le scosse elettriche. Si sono poi messi a sten­dere a macchina una relazione. Mi hanno tolto i fili dai polsi. Hanno iniziato tra loro una discussione politica. Cug si allontanò. Il sergente interprete ha cominciato a parlare della sua famiglia e del suo paese. Io, tutto gonfio dalle botte ricevute, ho dovuto sforzarmi a parlare con lui. Mi hanno poi rimandato in cella. Il pomeriggio hanno ri­preso l’interrogatorio. Visto che io continuavo a negare mi hanno legato il collo con una cinghia e mi hanno colpito con calcagnate, ginocchiate in modo bestiale, violento, per un quarto d’ora. Cug ha preso la cinghia e con le due mani mi ha colpito con forza sulla testa. Cug si è poi rimesso alla macchina da scrivere ed ha redatto un verbale che mi impose poi di firmare. Io volevo prima di firmare leggerlo, ma non mi hanno permesso.
L’ultimo violento colpo alla testa è quello che mi ha fatto per­dere la vista dall’occhio destro.
Mi ha riportato via che ero mezzo morto. Ho dovuto stare a letto per cento giorni. Ho trovato negli altri carcerati, specialmente in Badano, un infermiere ed un amico prezioso.
Una cosa spaventosa erano le notti. Si sapeva di essere inter­rogati sempre di notte e si viveva con l’ansia. Soli, in quelle piccole celle, dopo le dieci di sera anche il rumore del tram tace. Il minimo scricchiolio sembra il passo di quello che viene a prenderti. E le terribili notti, quando portavano tanti carcerati alla fucilazione. Sen­tivamo prima gridare i loro nomi e poi il passo lento dei condannati.
Chi è passato per la IV Sezione, ha passato l’inferno fisico.
Tra le varie torture c’era anche quella di fare rigurgitare due litri d’acqua nel naso; ciò hanno fatto ad Amoroso. Il gen. Rossi non è stato invece torturato.
Io non sono stato portato via, poche ore prima dell’insurrezione, perché ero stato dichiarato intrasportabile.
Un detenuto medico mi ha curato in tutti i modi.
In prigione, avevamo organizzato tutto per il momento dell’in­surrezione. Io stesso ho firmato il lasciapassare per i detenuti. I pri­gionieri hanno impugnato, con l’aiuto delle forze esterne, le armi contro i secondini.
In prigione avevamo armato 120 uomini con moschetti. I pri­gionieri hanno bloccato subito il telefono di Marassi.

Ore 21,30

Scappini e Martino riferiscono sui colloqui avuti, presso il Cardinale, con il generale Meinhold, il quale aveva sollecitato que­sti colloqui, avanzando inoltre proposte di resa.
Scappini dice che lui e Martino hanno agito pur non avendo una delega del comitato. Sarà bene però preparare subito una dele­ga in modo che vi sia una legalizzazione completa del documento della resa.
Scappini Siamo andati dal Cardinale che ci ha ricevuti molto bene. Li vi era il generale Meinhold, una piccola scorta, gli interpre­ti. Il generale ha esposto la situazione apertamente, con franchezza; la guerra è perduta, gli ulteriori combattimenti sarebbero inutili sa­crifici e inutile spargimento di sangue. Il generale ha detto di avere fatto la guerra come tedesco e non come nazista e quindi la decisio­ne che ha preso è stata presa di sua spontanea volontà. Il generale ha fatto rilevare che se il comando tedesco in Italia venisse a cono­scenza del suo proposito egli verrebbe immediatamente destituito e sostituito da un altro ufficiale. Una parte dei suoi uomini sono di­sposti a’ie resa; particolarmente gli ufficiali. Il generale ha reso una palese dimostrazione dello stato caotico in cui si trovano le truppe tedesche, e qual sia il loro morale. Una grande parte delle truppe non è più sotto il controllo del generale. Meinhold ha annunciato con tutta franchezza le sue intenzioni. Egli ha sottolineato che per lui, l’importante è che cessi la guerra e si limiti al minimo lo spargi­mento di sangue. Ha espresso preoccupazione per la sorte dei tede­schi. Si tratta di parecchie forze dai 6 agli 8.000 uomini, con molti mezzi (batterie di Monte Moro e Belvedere), forti contingenti di ma­rina. Al porto parecchie centinaia di marinai. Era anche preoccupato delle possibilità del C.L.N. a mantenere l’ordine perché le truppe tedesche non siano maltrattate, ha fatto specialmente cenno, in que­sto senso, ai comunisti. Egli era animato da buone intenzioni.
Ho risposto io, quale presidente del C.L.N. Ho cominciato ad esprimergli la soddisfazione del C.L.N. e del popolo genovese per questa resa volontaria; ho poi confutato le osservazioni fatte a dis­sipare le preoccupazioni. Ho dichiarato, come presidente del C.L.N. e come comunista, che nel C.L.N. non si fa questione di ideologie, nel C.L.N. c’è l’idea della unità delle forze più sane. Si è giunti successivamente alla conclusione dopo una discussione alla quale han­no preso parte anche Martino e il comandante della piazza.
La conclusione alla quale si è giunti è questa:

«In Genova, il giorno 25 aprile alle ore 19,30

«tra il sig. Gen. Meinhold quale comandante delle forze armate ger­maniche del settore Meinhold assistito dal cap. Asmus, Capo di stato maggiore da una parte;
«Il presidente del C.L.N. per la Liguria, sig. Remo Scappini, assistito dall’avv. Errico Martino e dott. Giovanni Savoretti, membri del C.L.N. per la Liguria e dal magg. Mauro Aloni, comandante del­la piazza di Genova, dall’altra:

è stato convenuto

  • tutte le forze armate germaniche, di terra e di mare alle di­pendenze del sig. gen. Meinhold si arrendono alle forze armate del corpo volontari della libertà alle dipendenze del Comando Militare della Liguria.
  • La resa avviene mediante presentazione ai reparti partigiani più vicini con le consuete modalità e in primo luogo con la conse­gna delle armi.
  • Il C.L.N. per la Liguria si impegna ad usare ai prigionieri il trattamento secondo le leggi internazionali, con particolare riguardo alla loro proprietà personale e alle condizioni di internamento.
  • Il C.L.N. per la Liguria si riserva di consegnare i prigionieri al comando anglo americano operante in Italia.
  • La resa avrà decorrenza dalle ore 9 del giorno 26 aprile 1945. « Fatto in 4 esemplari di cui due in italiano e due in tedesco ».

F.to Scappini Remo                           Meinhold
Magg. Mauro Aloni                           Dr. Giovanni Savoretti
Avv. Errico Martino                          Asmus

Il presidente spiega il perché la resa avrà decorrenza da doma­ni e non da oggi. Il generale non ha ormai più tutti i collegamenti con ì suoi uomini; egli può avvertire i capi settori i quali, con i mez­zi a loro disposizione, avvertiranno tutti gli altri.

Presidente — ho detto al generale che molti partigiani sono scesi ed operano in città e che nelle squadre cittadine vi sono parec­chie migliaia di uomini bene armati; non ho detto che le truppe te­desche si arrenderanno a poche S.A.P. con scarso armamento.
A nome del C.L.N. ho dato assicurazione che gli impegni saran­no mantenuti. Genova si affermerà nel mondo per questo fatto com­piuto: una vittoria di popolo e soprattutto una vittoria del C.L.N. Questa vittoria gioverà molto al C.L.N., agli interessi del popolo ge­novese e a quello di tutta Italia, perché mentre aumenterà il pre­stigio del C.L.N. Liguria, aumenterà anche quello di tutti i C.L.N. d’Italia.
Potremo presentare al C.L.N.A.I. e al governo alleato un bilan­cio attivissimo.
Il Presidente dice che non esiste nessuna relazione tra i colloqui svoltisi oggi e il parlamentare venuto ieri sera perché il generale igno­rava tale fatto.
Il generale chiedeva per i suoi uomini un trattamento «beni­gno» che non venissero messi in campi all’aperto, che fosse assicu­rato loro il lavoro retribuito e che fosse permesso loro di rientrare al più presto in Germania, senza dover andare in campi di concen­tramento.
Il Comitato ha risposto essere queste cose di competenza degli Alleati e non già del C.L.N.
Il generale ha chiesto che i membri dello S.M. possano venire a Genova in macchina (con una scorta di partigiani); la macchina verrà poi requisita dal C.L.N.
Presidente — nella eventualità che tutte le forze tedesche non si arrendessero il generale ha consegnato al comandante della piazza la dislocazione delle forze che erano nel suo settore.
Il generale diramerà immediatamente ordine a tutti quei reparti che sono sotto il suo controllo di cessare il fuoco, senza comunicare ancora che la resa è stata firmata. Egli assicura che tali reparti po­tranno comunicare subito con gli altri reparti che non sono ormai più collegati con lui. Se qualche reparto non potesse venire avverti­to, ufficiali tedeschi, accompagnati da patrioti, si recheranno con ban­diera bianca a parlamentare con i comandanti e ad intimare loro la resa a nome del generale.
Il generale ha detto che non può garantire che qualche gruppo di fanatici cessi il fuoco: egli, per altro, farà tutto il possibile perché tale resa venga rispettata.
A questi colloqui erano pure presenti il console e il vice conso­le germanico.
Assisteva pure il dr. Romanzi, il quale, sprezzando il pericolo si era recato a Savignone a portare al generale la comunicazione del C.L.N. ed ha condotto in macchina il generale a Genova.
Rappresentante della D.C. (Taviani) — esprime, a no­me del Comitato, l’entusiasmo e la gioia per questo successo, e la gratitudine, per quest’ultima parte delle trattative agli amici Scap­pino e Martino che hanno condotto, in modo egregio, le trattative.
Presidente — il C.L.N. si è impegnato con il generale a non rendere pubblica la cosa prima delle ore 9 del giorno 26. Se arrivas­sero gli alleati, farà pubblicare immediatamente sui giornali la noti­zia per renderla immediatamente pubblica; a tale scopo si comuni­cherà anche alla radio.
Presidente — Il C.L.N. aveva ordinato al C.R. di trasferirsi vi­cino al Comitato. Il C.R. ha fatto delle obiezioni.
Il C.L.N. ha dato disposizioni alle S.A.P. ed ai sapisti partigiani di cessare immediatamente il fuoco: dovranno difendersi in caso di attacchi da parte tedesca.
In conseguenza di tale disposizione, il C.R. ha fatto notare che il comitato ha esautorato il comando regionale. Io ho risposto, a no­me del Comitato, che il nostro ordine era di trasferirsi immediata­mente vicino a noi, dato che la cosa assume importanza politica.

Ore 24,30

Presenti i membri del Comitato ad eccezione del presidente. Sono presenti:

  • il maggiore Basil Davidson della missione alleata in VI zona,
  • Attilio e Ugo della VI zona
    È pure presente il partigiano Stella della «Matteotti».

Martino legge il testo della resa firmata col gen. Meinhold.

Il maggiore Davidson si dichiara «molto soddisfatto» e si com­plimenta con il comitato. «Siete stati meravigliosi» egli dice.
Davidson si informa se il porto risulta danneggerò. Si informa della situazione alimentare e dichiara che l’ammiragliato inglese conta di fare largo uso del porto per fare affluire i rifornimenti. Se il porto è salvo, non c’è ragione di preoccuparsi.
Martino illustra la firma della resa e le disposizioni che hanno portato a tale accordo. In poche parole dà notizia sul come si è svolta l’insurrezione popolare e legge l’ultimo bollettino delle ope­razioni.
Attilio e Ugo dichiarano di essere venuti in città di loro spon­taneo proposito, giacché non hanno ricevuto ordini da alcuno. Mar­tino dice che il C.R. e il C.L.N. si erano preoccupati, fin dalla sera del 23, di mandare immediatamente staffette in zona.
Davidson chiede se si è a conoscenza di tutti i campi minati.
Davidson si compiace per le operazioni militari e per l’ordine pubblico che il C.L.N. ha saputo mantenere.
Taviani fa presente che tutto ciò è dovuto al fatto che il C.L.N. era già presente alla popolazione, che era perfettamente a conoscen­za della efficienza del C.L.N. e dei singoli partiti.

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9) RELAZIONE SETTORE OCCIDENTALE

Da Arenzano fino a Sampierdarena, tutta la zona è libera.
Le batterie di Arenzano sono saltate: i tedeschi si sono arresi di fronte a un assalto delle Sap locali. A Voltri sono cadute due batterie: i tedeschi in parte uccisi e in parte arresi. È morto il Vice Comandante delle Sap locali.
Tre batterie e postazioni conquistate a Pegli e Prà.
Gravi combattimenti a Borzoli. Diversi caduti da parte patriot­tica. Alla fine il reparto tedesco ha ripiegato in disordine verso Nord.
Domani con ogni probabilità funzionerà i tram nella zona oc­cidentale.
Sulla strada di Prato la Giustizia e Libertà comandata da Um­berto è passata questa notte verso Genova.

10) LA GIORNATA DEL 25 DAL COMANDO PIAZZA
Il Comando Piazza del Comando Militare Regionale Ligure

del Corpo Volontari della Libertà

COMUNICA

 

Ore 9 del 25 — Ogni resistenza è cessata al Castello Raggio. I resti delle truppe tedesche che difendevano la più munita fortifi­cazione della città, si sono ritirati sul Colle di Coronata, riuscendo a portare, dei molti cannoni, un solo cannoncino da campagna.
Ore 14 — Sono riattivate le comunicazioni tra Sestri e Sampier­darena. Nuclei tedeschi continuano la resistenza nella Villa Chiesa in Multedo e in Coronata.
In Genova Centro si sono svolti in mattinata violenti combatti­menti contro la resistenza tedesca nella zona Principe. I tedeschi han­no tentato di spingere le nostre forze nei vicoli della zona sotto­stante, ma non vi sono riusciti.
In Corso Torino sussiste ancora uno sparuto nucleo che tenta la resistenza. Per il resto la zona centrale della città è controllata dalle forze patriottiche.
In Albaro, un forte nucleo tedesco continua la resistenza con­tro le S.A.P. locali, le quali si comportano con coraggio ammirevole.
I contingenti di truppe tedesche, circondati dai partigiani a Ner­vi, riescono a continuare la resistenza grazie alla superiorità del loro armamento.
Ore 22 — Il presidio di Nervi ha mandato un parlamentare al Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria per trattare la resa.
Nella galleria di S. Benigno millecinquecento uomini armati ed equipaggiati ottimamente sono tenuti in iscacco dalle S.A.P. di Sampierdarena e da quelle della zona Di Negro.
La X Mas è ridotta, da duemila uomini che era prima dell’insur­rezione, a una quarantina che, al comando di Arillo, si ostinano in una inutile resistenza.
Il centro della città è in mano dei patrioti, delle S.A.P. e delle Brigate Severino e G.L. Matteotti, le quali hanno fatto prigionieri, do­po un’accanita battaglia, quattrocento tedeschi che sbarravano loro la strada di accesso della Val Bisagno.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             Comando Piazza

Genova, 25 aprile 1945.

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L’ATTO DI RESA GERMANICO

In Genova, il giorno 25 aprile 1945 alle ore 19,30;

tra il sig. Generale Meinhold, quale Comandante delle Forze Ar­mate Germaniche del Settore Meinhold, assistito dal Cap. Asmus, Capo di Stato Maggiore, da una parte;
il Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale per la Li­guria, sig. Remo Scappini, assistito dall’avv. Errico Martino e dott. Giovanni Savoretti, membri del C.L.N. per la Liguria e dal magg. Mauro Aloni, Comandante della Piazza di Genova, dall’altra;

è stato convenuto:

1) Tutte le Forze Armate Germaniche di terra e di mare alle dipen­denze del sig. Generale Meinhold si arrendono alle Forze Armate del Corpo Volontari della Libertà alle dipendenze del Comando Militare per la Liguria;
2) La resa avviene mediante presentazione ai reparti partigiani più vicini con le consuete modalità e in primo luogo con la consegna delle armi;
3) Il C.L.N. per la Liguria si impegna ad usare ai prigionieri il trattamento secondo le leggi internazionali, con particolare ri­guardo alla loro proprietà personale e alle condizioni di inter­namento;
4) Il C.L.N. per la Liguria si riserva di consegnare i prigionieri al Comando Alleato Anglo-Americano operante in Italia.
5) La resa avrà decorrenza dalle ore 9 del giorno 26 aprile 1945.

Fatto in quattro esemplari di cui due in italiano e due in te­desco.
Firmato:

Scappini Remo                      Meinhold
Avv. Errico Martino               Giovanni Savoretti
Magg. Mauro Aloni                Asmus

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LE COMUNICAZIONI FERROVIARIE

Il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria

comunica

A causa della mancanza di corrente, dovuta ad interruzione delle linee aeree e nella impossibilità di inviare squadre sul posto per le necessarie riparazioni, il servizio ferroviario da e per Genova resta provvisoriamente sospeso. Si prevede però che la sospensione sarà di breve durata: al massimo durerà quanto il periodo di emergenza.

Il C.L.N. per la Liguria

Genova, 25 aprile 1945.

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RADIOMESSAGGIO

Scritto e letto da P.E. Taviani la mattina del 26 aprile 1945 dalla stazione di Radio Genova da poco liberata da una dozzina di sapisti, tra i quali figurava anche Enzo Martino commissario della stessa Stazione Radio e collaboratore di Taviani, dall’ing. Pelloux e da don Gianni Baget-Bozzo, durante una fulminea azione.

Taviani –  Per incarico del Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria leggo al popolo genovese e della Liguria il seguente documento sti­lato in Genova il giorno 25 aprile:

“POPOLO GENOVESE, ESULTA!
L’insurrezione, la tua insurrezione ha avuto un esito trionfale. Per la prima volta nella storia di questa guerra, le truppe tedesche si sono arrese dinanzi un popolo. Genova insorta ha dato al mondo la prova della sua fierezza. Viva il popolo genovese! Viva l’Italia! Viva la Democrazia!”

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11) VERBALE SEDUTA C.L.N. PER LA LIGURIA
del 26 APRILE 1945 – Ore 12,30

 

Di ritorno dalla cerimonia dell’insediamento del Prefetto, il co­mitato si è recato al Hotel Bristol dove è ufficialmente insediato.

Presenti il presidente e i membri del C.L.N. È pure presente il C.R. e i comandanti della VI zona: Miro, Canevari, Ugo.

Si esamina la situazione militare. La resa è stata annunciata que­sta mattina. Qualche gruppo di tedeschi resiste ancora.

Il presidente (Scappini) dichiara a nome del C.L.N., che il C.R. deve tornare a risiedere al centro per essere in costante contat­to con il C.L.N. e con il Comando Piazza.

Il comandante del C.R. fa noto che nel ponente c’è una situa­zione molto tesa, che rende necessaria la presenza del C.R., in tale località.

Il presidente ribatte che la situazione grave è nel centro, perché gli uomini asserragliati nel porto non si sono ancora arresi e si igno­ra se la batteria di Monte Moro abbia capitolato. A Nervi, centinaia di tedeschi hanno posto un ultimatum che scade a mezzogiorno.

Il Presidente Scappini lamenta che la VI zona non abbia rice­vuto alcuna staffetta e prega i comandanti della VI zona di fare un rapido esposto della situazione.

Ugo — un ufficiale di collegamento dice che una brigata ha attac­cato la colonna tedesca che marciava verso Genova ed è riuscita a sbandarla.

A Ruta, un gruppo di alpini non si è arreso.

Entra in seduta il comandante di brigata Gino. Egli riferisce brevemente sulla situazione attuale. Egli lamenta che il servizio in­formazioni non abbia funzionato e che i partigiani non siano stati avvertiti in tempo.

Dice inoltre essere necessario disarmare tutte le persone, perché si sono verificati dei fatti di sparatorie contro i partigiani.

Miro — la colonna di Ruta è composta di circa mille uomini. Dopo uno scontro con i partigiani, gli alpini sono fuggiti lasciando le armi.

Ad Uscio c’è resistenza tedesca: sono state inviate subito due brigate.

Vice Comandante del C.R. — appena il C.R. ha avuto notizia che i tedeschi non si arrendevano, si è preoccupato perché nella zona oc­cidentale la cosa sembrava piuttosto grave. Per tre giorni si è combat­tuto solo con le S.A.P. nelle quali si erano infiltrati parecchi fascisti. Il C.R. si è messo subito in contatto col C.L.N. Il C.R. aveva in mente di porre in atto il piano « A », approvato dagli Alleati.

  • tedeschi hanno fatto saltare le munizioni che si trovavano nel porto a Sampierdarena, facendo così presumere di volere passare all’attacco. Prevedendo una sortita dei tedeschi nella parte occiden­tale, il C.R. si è preoccupato di spostarsi appunto in quella zona. D’altra parte, si sapeva che molte brigate partigiane marciavano alla volta di Genova, e a Genova c’erano già tre brigate di patrioti.
  • famoso piano di attacco « A », è stato sospeso dalla notizia della firma dell’armistizio.

Il Rappresentante del P.S. (Toni) — non disapprovo nessu­na disposizione presa dal C.R., solo dico che il C.R. doveva risie­dere vicino al Comitato; possono presentarsi situazioni da diverse parti e il comando deve essere subito avvertito per provvedere im­mediatamente in merito. Il C.R. deve risiedere per una necessità po­litica operativa là dove risiede il comando politico.

Oggi, il C.R. deve risiedere in centro; C.R. e comando zona, s’intende. Essi dovranno prendere delle disposizioni che dovranno essere sottoposte al comitato: è quindi bene che siano a portata di mano.

Vice Comandante del C.R. — il C.R. ha deciso, per motivi tecnici di risiedere insieme al C.L.N.

Comandante Ugo — Le S.A.P. hanno combattuto da sole, ma anche i partigiani le hanno aiutate molto. Appena abbiamo ricevuto dal C.R. la richiesta di inviare quattro brigate, queste brigate sono scese subito. E’ però strano che le prime staffette inviate non siano arrivate a destinazione. Avuto notizia che una colonna tedesca mar­ciava verso Genova, abbiamo subito dato ordine, alla brigata che avevamo fatto sostare sulle alture della città, di marciare verso Ge­nova. Noi ci siamo preoccupati soprattutto di garantire le S.A.P.

in caso di attacco tedesco alle loro spalle. Credo che nessuno potrà fare appunti al comando della VI zona.

Vice Comandante del C.R. — specifico che io ho detto solo che i partigiani sono arrivati un po’ in ritardo su quanto previsto dal C.R.

Comandante Gino — Abbiamo avuto ordine dagli Alleati di attaccare a Tortona, ordine giunto con precedenza su quello del C.R. Canevari — per quanto riguarda la situazione attuale, questa si esaminerà fra i comandi designati. Per conto mio si può stare tran­quilli perché quelle poche forze nazifasciste che ancora resistono, saranno efficacemente battute da sapisti e partigiani. Un problema urgente è piuttosto quello di una pronta epurazione. Ho visto tra le S.A.P., ed anche ora in prefettura, molte persone estranee al movi­mento e sospette. Sono queste persone che lanciano allarmi ine­sistenti.

Vice Comandante del C.R. — si teme che gli uomini di Pisano cerchi­no di infiltrarsi fra i partigiani. Il C.R. emanerà disposizioni in me­rito, perché queste forze fasciste possono creare disordine anche all’arrivo degli alleati.

Presidente Scappini si era invitato a questa seduta anche il Co­mando Piazza. L’opera svolta dal comandante è stata buona, però tale comando era troppo gravato da una mole di lavoro che non era prevista. Questa questione sarà esaminata in tempo opportuno. In questo momento si presenta l’urgente necessità di far fronte alla situazione.

A nome del C.L.N. prego i rappresentanti del C.R. di riunirsi col comando zona e col comando piazza; a tal uopo li prego di por­tarsi subito alla sede del comando piazza.

Successivamente in serata il comando manderà un suo rappre­sentante al C.L.N. per comunicare la situazione e le misure che ha predisposte.

 

IL PREFETTO ALLA CITTADINANZA

GENOVESI,

In nome del Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria, assumo le mie funzioni nell’ora più solenne che Genova abbia mai vissuto.

È forse la prima volta nella storia che un esercito si arrenda ad un popolo che insorge.

È per la fede in voi e per il diritto che avevate a risorgere dopo tanti sacrifici e tanti dolori, che il Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria ha diretto la lotta in cui Genova ha dato la prova a tutto il mondo del suo indomabile spirito di indipendenza e della sua maturità politica.

La nuova democrazia è ora in cammino.

La concordia che, vi ha uniti nel combattimento e nella vittoria, è la migliore garanzia per compiere le opere di ricostruzione dopo tanto male materiale e morale.

Il coraggio e il sacrificio delle forze partigiane e patriottiche, esigono che le opere di pace siano degne della generosa lotta lunga e vittoriosa.

Riprendiamo il lavoro, guardando all’avvenire.

Il PREFETTO
Errico Martino 

Genova, 26 aprile 1945

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NUOVE CARICHE

          Il sindaco, per suggerimento del C.L.N., ha proceduto alle se­guenti nomine, in data 26 aprile 1945:

Commissario Amm.ne Ospedali: Tito Albites; Commissario Cassa di Risparmio: Comm. Pietro Gotelli – Vice-comm. Avv. Guido TriulziPresidente Opere Pie: Ing. Angelo Invernizzi; Commissario Amm.ne Gas & Acquedotti: Ing. Andrea Vicari; Commissario Amm.ne Case Popolari: Avv. Narsete Machiavelli; Commissario Amm.ne Tram: Avv. Umberto Lasagna.

Sono stati inoltre nominati, sempre in data 26 aprile 1945:

Commissario Coop.va Garibaldi: Avv. Dante Bruzzone; Commissario Ente Cooperazione: Presidente: Arecco Luigi – Vice Pres. Ceroni Angelo.

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12) Da WEB:

Paolo Emilio TAVIANI, culturaprofessionale.interno.gov.it/…/1260/instrumenta_24_11_taviani… · PDF file (sito visitato nell’agosto 2021)

            A questo punto non avendo a disposizione altri verbali del C.L.N. di Genova sono costretto a rivolgermi ad altre fonti. Per esempio, a quelle autorevoli di P.E. Taviani e alla sua “Breve storia dell’insurrezione di Genova” (quinta edizione, Roma 1960, pp. 1113/1118) attraverso cui si può apprendere che tutto non aveva avuto fine alle ore 20 del 25 aprile 1945, ma che nella notte tra il 24/25 aprile avvenne che:

             [… il generale Meinhold, dalla casa del Cardinale, mediante parziali sbloccamenti dei telefoni, che erano fin dal primo momento in mano dei patrioti, poteva comunicare la notizia della resa ai vari presidi tedeschi della città. La mattina, alle ore 9, io avevo la gioia di dare per radio la grande notizia, a nome del Comitato di Liberazione. Uscivano, contemporaneamente, i giornali dei sei partiti con il prezioso documento della resa.

         La città s’imbandierava; tutto pareva finito. Malauguratamente, invece, non tutti i presidi obbedirono al generale. Cessarono di combattere i presidi di Principe e di Negro, e fu questo un grande vantaggio per i collegamenti fra il centro della città e Sampierdarena. Ma non posarono le armi la marina del porto, né le truppe di Nervi, di Via Giordano Bruno, di San Benigno. Il Comando della marina, anzi, mandò in prefettura, proprio mentre si stava svolgendo la cerimonia d’insediamento del nuovo prefetto, due ufficiali, che dichiararono di aver condannato a morte Meinhold, secondo gli ordini di Hitler, e d’essere pronti a bombardare la città con le batterie pesanti di Monte Moro, se gli insorti avessero persistito nei loro attacchi. D’altra parte, si presentava la minaccia della colonna tedesca che, proveniente dalla Spezia, aveva raggiunto, sia pure assottigliata, i pressi di Rapallo. In complesso, mentre il settore occidentale appariva ormai tranquillo, nel settore orientale si avvertivano sintomi di maggiore resistenza e di un pericoloso coordinamento dell’azione nemica.

            Alle ore 14 del 26, due cacciatorpediniere inglesi, giunti dinanzi alla città, aprivano il fuoco contro le batterie di Monte Moro, le quali rispondevano; alcuni colpi sbagliati danneggiarono delle case cittadine. Risuonarono ancora le sirene. Sulla città in festa si stendeva un velo di tristezza; tutti credevano che i tedeschi avessero messo in atto il loro insano proposito.

            Ma, ormai cominciavano a sfilare per le strade cittadine i reparti dei partigiani. Armati, equipaggiati, magnifici, sfilavano, cantando, i giovani, che, per lunghi mesi, sulle pendici dell’ Antola, nei paesi dell’alta Trebbia e dell’alta Scrivia, avevano sognato questo momento. Rinforzate dai partigiani, le squadre del centro cittadino portavano l’ultimo attacco decisivo contro le truppe tedesche del porto, e queste finalmente si arrendevano, sia pure con l’onore delle armi.

            Una lunga fila di 1200 tedeschi percorreva, così, le vie della città, inquadrati da pochi borghesi male armati. Questo fatto dava a tutta la cittadinanza la sensazione immediata di quello che al mattino io avevo avuto l’onore di dire alla radio, annunciando la resa di Meinhold: «per la prima volta nella storia di questa guerra, un corpo d’esercitosi è arreso a un popolo».

            Gli avvenimenti precipitavano. Anche il presidio di via Giordano Bruno si arrendeva. La colonna tedesca, proveniente dalla Spezia, era battuta e fatta prigioniera dai partigiani calati da Uscio sulla litoranea. Le poche colonne tedesche, che erano riuscite, nella notte fra il 23 e il 24, a sortire dalla città, erano attanagliate e disperse sugli Appennini, prima di giungere nella Valle Padana. Con la via libera dinanzi a loro, senza alcun intralcio di distruzioni, le truppe americane, compivano, in due giorni, i 120 chilometri fra Spezia e Genova, che i piani avevano previsto percorribili soltanto in 10-15 giorni.

            La sera del 26, avanguardie americane giungevano a Nervi. Un ufficiale di accompagnamento italiano [N.evb.: che sappiamo essere il Capo di S.M. della “Coduri” Bruno Pellizzetti, aggregatosi a Chiavari quale guida alle truppe americane dirette a Genova, via Fontanabuona Ge-Sturla], che era con loro, mi disse poi “…che tutti avevano gli occhi stralunati ed erano rimasti come inebetiti dinanzi alla visione del primo tram in moto e delle case illuminate; per la prima volta una città liberata si presentava a loro nelle sue condizioni normali di vita” (Vedi, Fasc.20-Doc.02:I contributi della divisione Coduri…).

            La mattina del 27, il grosso delle truppe americane entrava in città. Il Generale Almond si recava a far visita al Comitato di Liberazione Nazionale, e dava testimonianza che Genova aveva compiuto cose prodigiose, che gli Alleati non avrebbero potuto non tenere nel debito conto nel loro giudizio sull’Italia. Intanto, dinanzi alle squadre cittadine ancora in armi, cadeva l’ultimo presidio di San Benigno; mentre la batteria di Monte Moro – unico reparto superstite del grosso corpo d’esercito tedesco operante nella provincia di Genova si arrendeva alle truppe americane.

            Così terminava l’insurrezione di Genova. Certo la più brillante, anche se fortunata, insurrezione cittadina di quante (da Parigi a Varsavia a Belgrado) si siano avute in questa guerra.

            Il peso di questa insurrezione nel corso generale della guerra in Italia è evidente. Due divisioni tedesche, che avrebbero potuto ritirarsi sul Po, difendere Milano e Torino, e organizzarsi poi sull’Adige, venivano invece distrutte o disperse da un popolo in armi e dai partigiani.

            Milano poteva così insorgere, senza preoccuparsi che sopraggiungessero truppe tedesche dal sud; d’altra parte, le divisioni tedesche del Piemonte rimanevano isolate, e più facilmente potevano essere battute dai forti contingenti partigiani delle Langhe e delle Alpi.

            300 morti e 3000 feriti furono il contributo di sangue che Genova pagò per la sua insurrezione. Ma fra tutte le morti di una guerra per noi inutile e rovinosa, queste sono state certo le più preziose, perché hanno riscattato l’onore d’un popolo, che sembrava smarrito nelle ore infauste dell’8 settembre.

            L’Italia è ancora una nazione vinta. Sarebbe follia pretendere di cancellare, con due giornate eroiche, gli errori di ventidue anni; ma non è follia ritenere che, se il popolo genovese e italiano ha molto perduto, esso non ha perduto, ma soltanto smarrito l’8 settembre, e poi ritrovato nelle radiose giornate di aprile, il suo onore, la coscienza delle proprie possibilità, il proprio posto nell’ambito dei popoli civili».

Chi era Paolo Emilio TAVIANI (dal Sito del Senato della Repubblica Italiana):

Paolo Emilio Taviani [1935 – 2001], nato a Genova il 6 novembre 1912. Nell’università del capoluogo ligure studiò e poi insegnò presso la cattedra di storia delle dottrine economiche (laureato oltre che in economia, in legge, scienze sociali e filosofia).
Dal 1931 al 1934 fu presidente della Fuci, l’organizzazione degli universitari cattolici. Per le sue posizioni antifasciste, nel ’43 fu posto al confino di polizia. Nell’estate di quell’anno, Taviani organizzò a Genova la fusione tra i Cristiano Sociali e i superstiti del Partito Popolare. Fu tra i fondatori del Cnl di Genova, durante l’occupazione tedesca, e rappresentò le formazioni cattoliche nella resistenza. Taviani fu uno dei tre dirigenti dell’insurrezione della città che costrinse alla resa un intero corpo d’armata nazista, prima dell’arrivo degli alleati. Il racconto di quelle giornate dell’aprile del ’45 è contenuto nel suo libro «Breve storia dell’ insurrezione di Genova». Alla fine della guerra Taviani fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana.
Fu eletto alla Costituente e da allora è sempre rimasto in Parlamento. Della Dc Taviani è stato prima vicesegretario (dal ’46 al ’48) e poi segretario nazionale (dal ’48 al ’50). Dal giugno del 1950 rappresentò l’Italia ai lavori per la stipula del Piano Schuman; al governo arrivò nel luglio del 1951, come diretto collaboratore di Alcide De Gasperi (fu nominato suo sottosegretario agli Esteri): per cinque anni, dal ’53 al ’58, ebbe la responsabilità continua del dicastero della Difesa. Fu poi ministro delle Finanze (dal ’59 al ’60), del Tesoro (dal ’60 al ’62), dell’Interno (dal ’62 al ’68), del Mezzogiorno (dal ’68 al ’72), del Bilancio (dal ’72 al ’73) e, infine, di nuovo dell’Interno (dal ’73 al ’74).
Finita l’esperienza ministeriale, Taviani fu mandato dal partito al Senato nel 1976. Vicepresidente dell’ Assemblea, nel ’91 fu nominato da Cossiga senatore a vita. L’ultima apparizione pubblica di Taviani risale al 30 aprile 2001, quando presiedette la prima seduta dell’ Assemblea di Palazzo Madama della nuova legislatura.

Al contenuto desunto dal sito del Senato della Repubblica, per rimanere in qualche modo collegati ai fatti inerenti la Liberazione di Genova, non si può tralasciare di dire che P.E. Taviani è stato senz’altro uno dei maggiori protagonisti di quegli avvenimenti: per essere, in primis, uno dei fondatori del C.N.L. di Genova (ivi costituitosi il 27 luglio 1943) e rimanendovi come membro effettivo, quale rappresentante della D.C. fino alla fine. Ed ebbe pure continui e stretti rapporti con la Curia Arcivescovile di Genova, con le formazioni partigiane cattoliche, nonché con le maestranze e ai ceti produttivi appartenenti a tale area. E fu più antistaliniano che anticomunista tout-court. Inoltre la maggior parte dei verbali delle sedute del C.N.L. riportati sopra sono opera sua o ricavati da suoi appunti scritti durante lo svolgersi delle sedute stesse. 

Interessanti sono anche i suoi appunti riferiti al C.N.L. genovese, da p. 1093 a p. 1096, della sua “Breve storia dell’insurrezione di Genova” di cui si riferisce sopra: 

            Il Comitato di Liberazione Nazionale si è costituito a Genova il 27 luglio 1943.
        Vi partecipavano i appresentanti del Partito d’Azione, del Partito Socialista, della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista, a cui tosto si unirono anche i rappresentanti del Partito Liberale. Nel maggio del 1944 entrò a far parte del C.L.N. anche il Partito Repubblicano. Durante i 45 giorni badogliani, l’attività del C.L.N. di Genova fu volta soprattutto a far giungere al governo di Roma la voce del popolo ligure, che chiedeva una più efficace epurazione del fascismo e una immediata cessazione delle ostilità con le Nazioni Unite.

        Il C.L.N. di Genova prevedeva che la situazione non sarebbe stata facile al momento dell’armistizio, e per questo propugnava, appunto in una seduta del 7 settembre, che il popolo fosse chiamato a difendere la città contro la prevista occupazione tedesca.
         Le truppe naziste, infatti, durante il periodo badogliano, si erano collocate nei punti strategici più importanti, sulle alture che circondano Genova, e avevano? occupato le posizioni migliori del porto.
        Giunse, la sera dell’8 settembre, la notizia dell’armistizio. Il Comitato si poneva a disposizione del prefetto Letta, per qualsiasi evenienza; la mattina del 9, i membri del C.L.N. si recavano personalmente all’albergo Bristol dal prefetto, ma ormai non c’era più nulla da fare. Gli avvenimenti precipitavano. I reparti germanici sfilavano cantando in via XX Settembre, mentre lunghi convogli di autocarri, carichi di prigionieri dell’esercito regio, si avviavano ai campi di concentramento.

          Nella notte fra 1’8 e il 9 settembre, i tedeschi si erano impadroniti della città, del porto e delle alture circostanti. Mentre i tedeschi mettevano in atto i loro piani, da gran tempo predisposti, i nostri soldati, senza alcuna consegna, bighellonavano sino a tarda sera in libera uscita.
Facile riusciva ai germanici disarmarli e catturarli. Il popolo diseducato e impreparato, anziché combattere, si era abbandonato a intempestive manifestazioni di gioia.

         Cominciava un triste periodo della nostra, storia. Triste, ma non disonorante, perché, accanto all’oppressione nazista, ai tradimenti di pochi fanatici e di qualche incosciente, alla vigliaccheria e alla debolezza di alcuni, si deve contare all’attivo di questo periodo la magnifica opera che, all’ombra della cospirazione, hanno compiuto le più belle menti e i più bei cuori di Genova e della Liguria tutta. Il Comitato di Liberazione Nazionale cominciò ad agire cospirativamente. Dalle case sinistrate alle sacrestie, ai conventi, poi negli alloggi privati di persone non sospette, nelle garçonnières, nelle umili case di lontani sobborghi: per venti mesi il Comitato si radunò, due, tre volte la settimana, braccato dalla polizia, dalle S.S., dai fascisti; sorvegliato e protetto da uomini fidi -ex carabinieri, operai, giovani studenti inquadrati nelle squadre di città; servito per l’opera di segreteria e per i collegamenti – da tre sole persone: una signorina abile e coraggiosa fungeva da stenografa; un’altra signorina, dall’aspetto sereno e insospettabile, teneva i collegamenti; e un giovane di 25 anni, sopportava, con abnegazione eroica, quasi tutto il peso e il rischio dell’organizzazione delle adunanze e della segreteria.

         Volta a volta, quasi tutti i membri del C.L.N. furono rintracciati dalla polizia e dalle S.S.
       Uno, l’avv. Lanfranco, fu deportato e ucciso; altri furono deportati, altri arrestati, tutti ricercati. Dei presenti l’8 settembre, soltanto l’autore di queste pagine e l’avvocato Errico Martino, che fu prefetto della provincia di Genova immediatamente dopo la liberazione, ebbero le ventura di poter continuare la loro opera, sia pure attraverso difficoltà inimmaginabili, fino al momento della insurrezione finale.

        Troppo lungo sarebbe tracciare la storia dell’attività svolta nella città di Genova e in Liguria durante il periodo cospirativo. Basti accennare a un riuscito sciopero dei tram nel dicembre ’43; alla propaganda svolta a mezzo della stampa, prima, e poi, dopo la fucilazione dello stampatore Giovanni Bertora, a mezzo di materiale ciclostilato; alla organizzazione delle squadre cittadine e delle divisioni partigiane, prima direttamente dipendenti dai Partiti e dal Comitato, poi coordinate in un Comando Militare Regionale Ligure, di cui fu comandante il generale Cesare Rossi, e, dopo il suo arresto, che doveva concludersi nella tragica morte, il generale Enrico Martinengo.

      Al momento della vittoria finale, dipendevano da questo Comando 15.000 uomini, bene equipaggiati e armati, ripartiti in quattro zone su tutta la cresta appenninica ligure. Il Comando della 6a zona che, pure spostandosi continuamente, aveva sempre gravitato attorno al massiccio dell’Antola, era il più vicino alla città di Genova, e gli competevano perciò il grave compito e l’onore di coordinare la preparazione militare con l’insurrezione cittadina. Comandava la 6a zona il colonnello Miro – adusato alla guerra partigiana – e ne era vice comandante Canevari  – (avv. Lasagna) – riparato sui monti della città, nonostante i suoi non più verdi anni e le sue abitudini signorili.

        La storia della vita partigiana non può essere trattata in queste poche pagine: fu storia di eroismi e di sacrifici, di rastrellamenti feroci, di assalti, di colpi di mano, di azioni intrepide e gagliarde. Fu la storia di sofferenze inaudite, specialmente durante i due freddi inverni, finché -e questo avvenne solo nel gennaio 1945 -non fu paracaduta nella 6a zona una missione angloamericana, che fece pervenire le armi e gli equipaggiamenti. Allora l’esercito partigiano si trasformò nell’aspetto, pur conservando lo spirito di sempre: quello dei Laghi del Gorzente, allorché nella primavera del ’44 più di cento uomini venivano uccisi e una intera brigata, lacera e male armata, fu sopraffatta dalla concentrica azione di migliaia di tedeschi e fascisti, forti di carri armati, lanciabombe e aeroplani; quello del primo sparuto gruppo che attorno a un tenente degli alpini doveva poi diventare il leggendario Bisagno, si era costituito, fin dall’8 settembre, sui monti di Barbagelata e di Fontanigorda. Mentre i partigiani combattevano sui monti, in città si lavorava in mezzo a difficoltà di ogni sorta, per aiutarli, alimentarli. Equipaggiarli e provvederli di denaro. Al tempo stesso, si preparava, moralmente e materialmente, il popolo alla resistenza attiva e all’insurrezione […].

                                                                                                                 Paolo Emilio Taviani

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SEZIONE IN LAVORAZIONE

13. Inserimento del dicembre 2022 da web: Fonte wivw.reteparri.it [RTF]  Documento in due tomi scannerizzato allo scopo da (E.V.B) il mese di dic 2022.

Avvertenza: a questo punto, visto l’interesse del contenuto documentale, la serietà e la competenza dell’Ente che lo ha  reso pubblico, mi pregio inserire il documento in questa mia disamina sperando che anch’esso contribuisca a fare buona luce sugli avvenimenti legati soprattutto alla Liberazione della città di Genova, oltre che a dare particolare risalto a quanto fecero e diedero, per liberare l’Italia dal fascismo, tutti i nostri ragazzi di allora affiancati dal clero, dai civili, donne e uomini di ogni strato sociale, dai militari di ogni arma che pur sapendo di diventare dei pre condannati a morte scelsero di schierarsi dalla parte giusta.

TOMO I

RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DEL N° l SPECIAL FORCE DURANTE IL MESE DI APRILE 1945

PARTE IV – PROGRESSI DELLA CAMPAGNA IL CONTRIBUTO PARTIGIANO ALLA CAMPAGNA DI APRILE IN ITALIA

QUADRO GENERALE

 

3   IL CONTRIBUTO DELLA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

    Il Quartier Generale Alleato (AFHQ) esercitava la sua funzione di controllo sulle operazioni dietro alle linee del nemico in Italia me­diante speciali organi di osservazione e di collegamento, la Special Force inglese e l’O.S.S. (Office Strategie Service) americano. La Spe­cial Force ebbe riorganizzazione e sviluppo dall’autunno 1944, quan­do il Q. G. del 15° Gruppo d’Armate autorizzò l’aggregazione presso la 5a e l’8a Armata di sezioni di essa (Special Force Staff Section, abbr. SFSS) alle dipendenze del HQ n. 1 Special Force. Esse avevano il compito di provvedere le Armate avanzanti di informazioni, di te­nerne i contatti con le forze resistenti, di richiedere e dirigere l’im­piego di queste. E questi compiti espletavano mediante Missioni in­glesi ed anche italiane di collegamento; collegamento che avveniva di regola direttamente con le singole formazioni, all’infuori della pre­disposta rete clandestina del C.V.L. Tale metodo, nonostante il buon lavoro compiuto e la perfetta armonia, generò talvolta ovvi inconve­nienti di disunione organizzativa, tanto più che le formazioni parti­giane, presso cui le missioni alleate avevano preso dimora, usavano tenere gelosamente segreta la presenza degli ospiti per i vantaggi che potevano loro derivare, a scapito dell’unità. 217 furono i militari in­glesi paracadutati o passati attraverso le linee, tra cui 59 BLOs (British Liaison Officers) inviati dopo il 1° aprile 1945. Operazioni di informazione, di sabotaggio e di antisabotaggio costituivano gli scopi principali di queste missioni, assai più della realizzazione di autono­mi e vasti piani di guerriglia, come rivela lo stesso materiale aviolanciato, rappresentato in gran parte da esplosivi da distruzione, a spese del ben più necessario fabbisogno di armi, secondo i fini del C.V.L. Ciò risulta dall’esplicita ammissione alleata e dai dati statistici ripor­tati dal documento in esame (tonn. 290,57 di materiale da demoli­zione, aviolanciato nei mesi dal gennaio all’aprile ’45 e proporzio­nalmente rilevante accanto a tonn. 662,32 di armi e munizionamento per lo stesso periodo).
    È evidente da questo quadro il punto di vista sotto cui il Co­mando Supremo Alleato considerava le forze della Resistenza: assai più come singoli strumenti collegati con il Q. G., destinati a svolgere operazioni di ausilio militare di volta in volta richieste, che come un vasto organismo clandestino — se non proprio come un esercito po­polare — dotato di una sua personalità nazionale e deciso a combattere per gli stessi scopi degli Alleali. Questa riluttanza a riconoscere il significato unitario della Resistenza e ad ammettere la fisionomia or­ganica del C.V.L. è evidentissima dalla prima pagina del testo qui appresso citato, ove si vorrebbe trovar riscontro a questa concezione degli Alleati nella stessa diffusa coscienza dei partigiani, contrari se­condo esso all’ istituzione di un vero esercito unitario clandestino. Viene allora da chiedersi la ragione dei protocolli di Roma sottoscritti/

4  IL CONTRIBUTO DELLA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

/dal Gen. Comandante Supremo Maithland Wilson e dai delegati del C.L.N.A.I. il 7 dic. 1944, nonché il riconoscimento del C.L.N.A.I. « quale agente del governo nell’ Italia occupata dal nemico », che anche disponeva di un « suo Comando dei Volontari della Liberia ». Bisogna concludere che uno era il comportamento ufficiale del Co­mando Supremo di fronte alle rappresentanze ufficiali della Resisten­za ed altra la linea operativa applicata dagli organi esecutivi, intenti a sostituirsi alla gerarchia partigiana precostituita, e a preferire e a favorire la frammentarietà del contributo partigiano che essi meglio potevano manovrare.   
     Il documento che parzialmente riproduciamo è il Report on n.1 Special Force Activilies during April 1945, datato 2 giugno 1945 e firmato Lieut. Col. G. S., R. T. Hewitt del H. Q. n. 1 Special Force, in protocollo segreto e in copie numerate, concernente l’attività di questa organizzazione alleata nell’ultima fase delle operazioni in Italia. L’indice reca 10 parti così suddivise: P. I.:Introduzione; P. II: Linea di condotta e sviluppi dal gennaio al marzo 1945; P. III: Situazione al principio dell’aprile 1945 (a – schieramento di battaglia dei Partigiani, b – schieramento del nemico, c – situazione, delle missioni); P. IV: Progressi della campagna; P. V: Antisabo­taggio; P. VI: Il lavoro delle Special Force Staff Sections; P. VII: Periodo successivo alla liberazione (a – compiti delle missioni, b –successi del CLNAI); P. VIII: Operazioni aeree 1945; P. IX: Risul­tati conseguiti dai partigiani in collaborazione con le missioni britan­niche (a – dal gennaio al marzo 1945, b – aprile 1945); P. X: Conclusione.

 Nell’Introduzione si fa presente che alla data della redazione del documento le missioni non avevano ancora potuto esser tutte interro­gate, per cui i dati raccolti non debbono considerarsi definitivi. Ciò non esclude l’attendibilità di quanto viene riferito ma solo comporta al più un limite nella documentazione del contributo partigiano. Nel­la Parte II si accenna alle ragioni del messaggio Alexander dell’ au­tunno ’44, inteso a limitare l’attività partigiana, in relazione alla dilazione dell’offensiva finale alleata per l’alleggerimento subito dallo schieramento per l’invio di un certo numero di divisioni sul teatro francese. Vi è espresso il divisamento del Comando Supremo di potenziare quasi esclusivamente l’attività di sabotaggio e antisabotag­gio (1) con un nuovo largo invio di BLOs non solo nelle formazioni di campagna ma sin nell’interno delle città (Verona, Venezia, Pia­cenza, Genova, Udine, Torino e Milano). La Parte III, tratteggiando

(1) A documentare l’applicazione che anche in seguito le missioni periferiche daranno alle disposizioni limitatrici degli organi superiori, valga la citazione di un passo della comunicazione (prot. n. 51 in. data 25 marzo ’45) inviata dalla Missione Alleata Militare in Italia – Distaccamento Piemontese, a firma Capitano Ballard, al C.L.N. e C.V.L. in Piemonte:
       – 3) [ … ] Il Comando Alleato stesso non approva l’incremento delle formazioni patriottiche oltre il numero raggiunto a tutto il 1° marzo e comunica che non ha intenzione di mandare rifornimenti per l’incremento stesso. Quindi i comandanti delle varie formazioni partigiane non devono assoluta­mente reclutare altri uomini. Per cui rimane invariato il numero dei patrioti rag­giunto in data soprannominata.
       – 4) Il Comitato di Liberazione Nazionale non può chiamare elementi civili a far parte delle organizzazioni partigiane sia G.A.P. che S.A.P. . Ciò sarebbe cosa illegittima senza la precisa approvazione della Missione Alleata… » (archivio Istituto Storico della Res. in Piemonte).

5  IL CONTRIBUTO DELLA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

la situazione qual era al principio dell’aprile, calcola le forze tedesche in 23 divisioni, più 2 in  formazione (di cui solo 15 in linea) e in 5 divisioni italiane; e valuta le forze partigiane ammontanti a 89.492 uomini, con un massimo di 34.812 in Piemonte, di cui il 35% riconoscibile in forze comuniste, il 27,75% in forze apolitiche e l’11% in forze del Partito d’Azione (sic). In merito è bene ricordare la pre­messa dell’ approssimazione dei dati, che in effetti risulteranno di mol­to superiori dopo il lungo esame selettivo della Commissione per il riconoscimento delle qualifiche partigiane che comprenderà anche, i combattenti delle città, ignoti evidentemente a quella statistica. La relazione pone ancora in rilievo come anche nella fase finale il nemico conservasse, sia pure in parte, il suo passato mordente guerriero: « Il collasso non fu così rapido e completo che il nemico non avesse tempo di pensare ad altro che alla sua personale conservazione ». 
    La Parte V tratta della collaborazione partigiana con le missioni alleale nelle operazioni di sabotaggio, suddivisa per regioni e zone. Particolarmente rilevanti le operazioni per la difesa del porto di Ge­nova «salvato dalla completa demolizione — dice la relazione allea, la — per l’energica azione dei partigiani, accoppiata alla perplessità del Comando Tedesco ». La conclusione reca che « il contributo par­tigiano al salvamento della struttura economica del paese può essere considerato come il più rilevante aspetto del ruolo che essi svolsero in tutta la campagna italiana ».
     La Parte VII, concernente il periodo immediatamente posteriore alla liberazione, accenna all’«eccellente lavoro compiuto dai C.L.N. prima dell’arrivo del Governo Militare Alleato » e riconosce « che ciò che essi (i CLN) hanno fatto, hanno fatto bene e che il prestigio del Movimento Italiano di Resistenza non è mai stato più alto che du­rante le recenti settimane, come risultato dello splendido lavoro deli C.L.N.A.I. e dei suoi Comitati Regionali e Provinciali ». I dati sta­tistici della Parte IX recano la cifra di 54.916 nemici messi fuori combattimento dalle forze partigiane dal gennaio all’aprile 1945, tra morti e feriti e prigionieri, ed elencano i nomi di 125 tra città e centri minori liberati dai partigiani prima dell’arrivo degli alleati.
     Ci limiteremo a riportare integralmente solo la Parte IV, che reca analiticamente il contributo delle forze partigiane alla liberazio­ne del territorio nazionale e alla vittoria alleata. Se all’ intervento degli organismi alleati di controllo nella lotta partigiana la relazione pare attribuire un peso eccessivo, a scapito dell’iniziativa e dell’auto-

6 IL CONTRIBUTO DELLA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

nomia di direzione delle forze resistenti, più di quanto richiedesse, la necessaria coordinazione delle operazioni, non si deve dimenticare che il rapporto è stato redatto per il Comando Supremo da parte del­l’ente preposto appunto a quel controllo e indotto pertanto a sopravalutare il potere di decisione dei suoi organi esecutivi. Ma ciò che conta storicamente nella relazione è la massa dei dati numerici riportati, i quali rimarranno a provare quanto vasto e determinante sia stato l’apporto partigiano, al punto che, senza quell’apporto e quei successi si avrebbe sì avuto ugualmente la vittoria alleata in Italia, ma non «così rapida, così schiacciante, così a poco prezzo», come si leggerà nel testo del documento. Ed ancora, questo riconoscimento, che vien dato dall’organo alleato più accreditato per formularlo, è tale, per il suo stesso carattere di comunicazione interna e di segre­tezza, che non possiamo dubitare della sua obiettività. Per questo lo abbiamo giudicato fondamentale per la valutazione del fenomeno partigiano in Italia e per la storia del periodo.

G.V.

 

RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DEL N° 1  SPECIAL FORCE
DURANTE IL MESE DI APRILE 1945

PARTE IV – PROGRESSI DELLA CAMPAGNA
IL CONTRIBUTO PARTIGIANO ALLA CAMPAGNA DI APRILE IN ITALIA

QUADRO GENERALE

I Partigiani italiani non sono mai stati, nemmeno nei periodi della loro maggior forza — settembre 1943 (sic), giugno 1944, aprile 1945 — un esercito segreto; né mai sono stati, per quanto indisciplina­ti e malamente diretti (1), una semplice forza irregolare di guerriglieri. Il formare un esercito segreto nei territori occupati non fu mai il fine dei comandanti alleati e raramente fu un’aspirazione degli stessi par­tigiani. Fu il potere dei singoli comandanti e lo spirito delle singole bande, specialmente quando era richiesto il massimo sforzo, a dare una certa coesione ed un certo coordinamento agli sforzi, impedendo il caos militare prima della liberazione e l’insurrezione civile dopo.

(1) Troppo bene conosciamo le condizioni ambientali in cui si sono costituite le bande, per presumere che tutte si distinguessero per qualità di reclutamento ed efficienza militare nei comandanti; ma neppure deve essere dimenticato che il rap­porto fu redatto da chi aveva il compito di dirigere le operazioni militari dietro le linee del nemico, e che pertanto doveva apparire, agli occhi del Comando Su­premo, tanto più meritevole, in relazione ai successi ottenuti, quanto meno capaci di azione autonoma risultavano le forze partigiane in sottordine. (N. d. r.).

7 IL CONTRIBUTO DELLA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

Fin dall’inizio della resistenza attiva, nel settembre 1943, era stato continuamente ripetuto ai partigiani, dalla propaganda e trami­te le Missioni Alleate di collegamento, che essi erano considerati pat­te integrante delle Armate Alleate in Italia ed appartenenti alla mac­china da guerra italiana come la 5.a o l’8.a armata o come i loro com­pagni in linea i quali, essendo stati superati nell’avanzata, si erano uniti al Gruppo di Combattenti Italiani a fianco degli Alleati.

Dopo il grande contributo da essi portato nell’estate del 1944 con l’opera di disorganizzazione e demoralizzazione del nemico mentre la Francia veniva liberata e gli Alleati avanzavano oltre Roma, ven­ne deciso che la campagna in Italia dovesse svilupparsi lentamente finché il nemico fosse obbligato a ritirarsi da nord ovest in Austria, correndo il rischio di avere le sue divisioni in ritirata attraverso Tar­visio e il Brennero duramente attaccate sul fianco dalle agguerrite forze partigiane dell’Italia nord-orientale.

Apparve chiaro ben presto, tuttavia, che la fine non era prossi­ma e che i Partigiani avrebbero dovuto passare un altro inverno in banda sulle alture o nei rifugi segreti delle città di pianura. Il loro compito durante tale periodo era chiaramente tracciato: continuare dovunque su scala ridotta la loro attività disturbatrice, senza spingere il nemico ad attacchi su vasta scala, aiutando in tal modo a trattenere in Italia circa 30 divisioni di tedeschi e di fascisti delle quali vi sarebbe stata urgente necessità su altri fronti dove la situazione era disperata.

Quando giunse la primavera i Partigiani cominciarono, di pro­pria iniziativa, a prepararsi per quello che essi speravano fosse final­mente il loro ultimo sforzo per cacciare i nazifascisti dal paese. La propaganda radio e gli ufficiali alleati di collegamento tramite i loro comandi principali impartirono direttive perché i Partigiani si prepa­rassero entro breve tempo per azioni su vasta scala — ma si preparas­sero soltanto — e non sferrassero offensive finché non ne veniva da­to l’ordine.

La campagna in realtà si sviluppò subitamente e con maggior ra­pidità del previsto; ma alla metà d’aprile allorché tutto il Nord era insorto e molte zone erano già liberate, e le armate avanzavano tanto rapidamente che le avanguardie dovevano venir rifornite per via ae­rea, l’efficienza delle Missioni Alleate ed Italiane di Collegamento era tale che poté facilmente effettuarsi uno stretto controllo e la re­sistenza venne diretta in base ai rapidi spostamenti delle armate.

Durante i primi tre mesi dell’anno allorché il fronte era statico ed il passaggio attraverso le linee in entrambe le direzioni era possi­bile, si era ricevuta una gran quantità di informazioni militari, non soltanto per mezzo della radio da agenti sul posto, ma anche da agenti passati attraverso le linee e da corrieri mandati dalle lontane Missioni del Nord quali Belluno, Biella e Udine o attraverso le fron­tiere francesi e iugoslave. Per richiesta del 15° Gruppo d’Armate un «erto numero di Missioni italiane vennero mandate nelle città della/

8 IL CONTRIBUTO DELLA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

Valle Padana e degli Appennini per trasmettere alla base informa­zioni ricevute dal servizio di spionaggio partigiano. Si costruì in tal modo un dettagliato piano di guerra partigiano e nemico e la coope­razione partigiana nei piani dell’armata si basò sulle informazioni ricevute in tal modo./ Le missioni inglesi ed italiane erano state di­stribuite in maniera da assicurare un collegamento con tutti i princi­pali comandi partigiani. Ogni formazione trasmetteva alla base per l’approvazione i suoi piani d’azione per l’eventualità di una resa ne­mica, di un collasso o di una graduale ritirata, e fu stabilita una se­rie speciale di messaggi per indicare i vari piani e per informare lei formazioni dei progressi dell’offensiva alleata.

Al principio di aprile i Partigiani erano ben preparati e le forze nelle zone tattiche (controllate dal N° 5 e dal N° 6/SFSS) immediatamente di fronte alla 5a e all’8a armata erano pronte a fare la loro parte. E la fecero in maniera sorprendente. L’ 8a armata avanzò rapidamente oltre Argenta e verso il Po. La 5a armata dopo una dura resistenza iniziale, sorpassò gli Appennini e le città liberate dai par­tigiani fino a Verona, dove la linea dell’Adige venne aggirata, ed aperta la via verso il Brennero e l’Austria, verso Venezia, Udine e Trieste.

Una volta liberati gli Appennini venne dato l’ordine di attaccare su tutta la linea verso nord-ovest: la 92a divisione americana spinse delle colonne da Genova, liberata dai Partigiani, verso ovest lungo la costa fino a Savona e ad Imperia, e a nord ed ovest verso Cuneo e Torino: 4 Corpi da Verona passarono rapidamente attraverso Brescia, Bergamo spingendosi verso Como e la frontiera Svizzera, chiudendo così effettivamente il nemico in Piemonte, in Lombardia e nella Liguria occidentale, dove già i C.L.N. ricevevano proposte di resa da parte di truppe fasciste e tedesche, tra cui le divisioni 34a e 5a da montagna.

In quei giorni, all’incirca verso il 24 aprile, al « Nord-est » fu affi­dato il compito di aumentare al massimo la sua opera di disturbo e di ritardo della concentrazione nemica e del suo sistema di rifornimen­ti. Allorché Torino, Milano e Genova furono liberate, il C.L.N.A.I., da stazioni radio controllate da partigiani, si rivolse ai Partigiani del Veneto, i quali si sollevarono contro il nemico, scacciandolo dalle città e dai luoghi occupati, liberando le strade ed interi tratti di cam­pagna, attraverso i quali le colonne armate degli alleati avanzarono senza ostacoli per completare la liberazione del nord.

Le informazioni finora ricevute sono insufficienti per permettere un esame completo del contributo portato dai Partigiani italiani alla campagna del 1945. Questa relazione darà più avanti alcuni dettagli dei risultati raggiunti. Riportiamo qui taluni aspetti dell’aiuto dato dai Partigiani alle forze regolari.

Vennero presi complessivamente più di 40.000 prigionieri te­deschi e fascisti fra i quali molti ufficiali di grado superiore e fun­zionari importanti./

9 IL CONTRIBUTO DELLA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO
Vennero distrutti o catturati grandi quantitativi di armi e di equipaggiamento.
Sacche nemiche rimaste nel solco delle truppe avanzanti vennero eliminate permettendo alle annate di avanzare senza ostacoli.
Vennero controllate le strade e stabilite guarnigioni e polizia nel­le città, e i prigionieri e i disertori nemici furono rastrellati ed imprigionati.
Furono salvati dalla distruzione obbiettivi quali ponti, strade, e comunicazioni telegrafiche e telefoniche, di vitale importanza per una rapida avanzata.
Complessivamente più di 100 centri urbani vennero in prece­denza liberati dai Partigiani.
Allorché si verificò la resa generale, i Partigiani diretti dagli uf­ficiali di collegamento collaborarono ad una ordinata smobilitazione del nemico.
Il contributo partigiano alla vittoria alleata in Italia fu assai no­tevole e sorpassò di gran lunga le più ottimistiche previsioni. Colla forza delle armi essi aiutarono a spezzare la potenza ed il morale di un nemico di gran lunga superiore ad essi per numero. Senza queste vittorie partigiane non vi sarebbe stata in Italia una vittoria alleata così rapida, così schiacciante o così poco dispendiosa.

Nord-Est

Se si eccettuano le direttive generali date da questo Quartier Generale in accordo col Quartier Generale delle Forze Alleate e le direttive del 15° Gruppo di armate, e talune specificazioni di parti­colari richieste da parte delle armate in determinate circostanze, le Missioni furono lasciate libere di predisporre i propri piani parti­colari per le rispettive zone, secondo le condizioni e le possibilità locali. Questi piani possono esser brevemente riassunti  così:come quelli per la portati nella in

Carnia-Friuli.
Il 12 aprile fu riferito che erano stati preparati quattro piani dettagliati:

 1) Interruzione totale delle comunicazioni telefoniche e tele­grafiche entro la zona.
 2) Attacco in forze contro il nemico in tutti i settori con ili precipuo scopo di chiudere tutte le vie di uscita e lei strade per i rifornimenti.
 3) Concentramento di partigiani in quattro gruppi principali su posizioni difensive pronti a qualsiasi azione richiesta dal Gruppo di Armate.
 4) Mantenimento dell’ordine in caso di resa generale prima dell’arrivo delle forze alleate.

10 IL CONTRIBUTO DELLA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

Furono pure convenuti speciali radio-messaggi per mandare ad effetto i piani 1) e 2)  al momento richiesto.
Le richieste dell’8a armata, qualora si verificasse un collasso nemico, erano già state previste nel piano 4).

Zona di Belluno.
Comprendente la Divisione Belluno e la Divisione Nannetti.

    1) Il 31 marzo fu portato a conoscenza che erano stati com­pletati i piani per un attacco in forze da parte della Divisione Bel­luno in base alle direttive del 27 marzo. Essi comprendevano attacchi al nemico, antisabotaggio ed occupazione di città. Erano pronti dei volantini da distribuire tra i tedeschi e le popolazioni civili in caso di un collasso nemico.
     Le richieste dell’8a armata erano già state previste nel piano “A” della Divisione riguardante l’occupazione della zona da parte dei partigiani qualora venisse a cessare la resistenza nemica. Furono presi accordi riguardo a tutte le località importanti da occupare nel più breve tempo possibile ed all’organizzazione di posti di blocco su tutte le strade. Dovevano pure avvenire azioni di rastrellamento contro eventuali gruppi di resistenza isolati e le strade dovevano essere bloc­cate e mitragliate nel caso di un tentativo nemico di sfuggire verso il nord.
    2) Il 3 aprile, in risposta alle direttive del 27 marzo, il B L 0 [Ufficiale inglese di collegamento] riferì, per quanto riguardava la Divisione Nannetti, che un attacco in forza contro le vie di comuni­cazione nemiche era stato preparato e sarebbe stato effettuato non appena venuto l’ordine. Disse che il morale e lo spirito di collabo­razione erano «magnifici».
    Il 17 aprile, in risposta ad una nostra comunicazione con le ri­chieste dell’8a armata, Milo, il comandante della Divisione Nannetti, inviò un messaggio personale specificando i piani già stabiliti da lui per la sua Divisione. Essi comprendevano il blocco di strade, il pre­levamento di persone sospette, l’internamento di sbandati nemici e l’organizzazione di uno speciale servizio di informazioni allo scopo di fornire ai comandi alleati rapporti urgenti concernenti strade, pon­ti e campi minati. Gli uomini addetti a tale servizio sarebbero stati forniti di speciali carte di identità da parte del comandante della Divisione Nannetti.
    Il messaggio forniva pure particolari sulla proposta azione con­vergente contro le linee di ripiegamento nemiche, in caso di una ri­tirata organizzata, e terminava con l’assicurazione che le forze parti­giane di tale divisione sarebbero state impiegate al completo contro il nemico nazi-fascista.
    3)Il nostro ufficiale di collegamento più anziano presso il Quartier Generale della Zona di Belluno confermò il 20 aprile che piani coordinati per la zona, nell’eventualità di un collasso nemico,

11 LA RESISTENZA  ITALIANA IN  UN  DOCUMENTO ALLEATO

prevedevano il blocco delle strade, raggruppamento di sbandati, e misure atte ad impedire ai tedeschi ed ai fascisti di fuggire in bor­ghese.

Zona montuosa del Veneto occidentale.
     In risposta alle direttive del 27 marzo, l’ufficiale di collegamento inglese più anziano della zona, il 25 aprile riferì che erano stati) preparati dei piani per tagliare con sabotaggio ed imboscate tutte le strade della zona fra il Lago di Garda ed il fiume Brenta (escludendo la zona di Verona a meno che fossero stati lanciati altri quantitativi di armi e di esplosivi), e per eliminare la maggior parte delle guar­nigioni nemiche della zona. Il morale dei Partigiani veniva descritto tome «altissimo».

Pianure venete occidentali.
   Il capo della nostra Missione italiana a Treviso riferì il 30 mar­zo che le direttive ai Partigiani erano state diramate a tutte le for­mazioni con le quali egli era in contatto. La riorganizzazione per la prossima offensiva era ormai quasi completa sotto il Comando Mili­tare Regionale Veneto.
   Questo Quartier Generale fece tutto il possibile per favorire un coordinato collegamento con le formazioni partigiane nelle varie zone, in modo da assicurarsi che gli ordini operativi venissero trasmessi! rapidamente seguendo le giuste vie e che il massimo controllo venisse esercitato sui Partigiani allorché fossero stati incaricati di azioni su vasta scala. A tale scopo il Veneto poteva considerarsi diviso nelle quattro ben distinte zone operative sopra menzionate.

Ordini operativi finali.
   Allorché il 26 aprile la 5a Armata si trovava nei sobborghi di Verona e l’8a Armata si avvicinava a Padova, vennero impartiti ordini dal 15° Gruppo di armate per un’insurrezione generale ad ovest di Como e per la più intensa azione disturbatrice nel «Nord-est».
   Tali ordini furono immediatamente trasmessi alle nostre Missioni che per la maggior parte li ricevettero il 27. Un contatto giornaliero non sempre poteva essere assicurato con il nostro precario sistema di comunicazione radio ed essi non furono ricevuti dalla div. Nannetti che un giorno più tardi. L’ufficiale inglese di collegamento nella zona Carnia-Friuli, non accusò ricevuta dell’ordine fino al 29 aprile.
   La nostra Missione antisabotaggio di Venezia era in quel mo­mento priva di comunicazione radio, poiché il radio-operatore era stato catturato e sebbene fosse riuscito a fuggire aveva tuttavia perso il suo impianto. L’ufficiale inglese di collegamento, agendo di propria iniziativa, ordinò una sollevazione generale della città per il 28 apri­le, che ebbe pieno successo.
   Nel frattempo, il 27 aprile, il CLNAI, il quale si era assicurato/

12 LA RESISTENZA  ITALIANA IN  UN DOCUMENTO ALLEATO

il controllo della stazione radio di Milano, diramò un ordine a tutti i patrioti di tutta l’Italia del Nord di insorgere contro il nemico, ed in molte zone un’azione partigiana generale ebbe inizio non appena tale ordine venne dato. Sebbene ciò, secondo il programma del 15° Gruppo di armate, fosse prematuro, si poté poi constatare che il CLNAI affrettò la velocità dell’avanzata alleata ed impedì quei ri­tardi che avrebbero potuto verificarsi se la trasmissione dell’ordine di insurrezione si fosse basata soltanto sui collegamenti per radio.
   Il primo ordine del 15° Grappo di Armate fu prontamente se­guito il 27 aprile da un ordine inviato all’ufficiale inglese di collega­mento nella zona montuosa del Veneto occidentale di mandare ad ef­fetto il suo piano per tagliare le comunicazioni, ed in seguito, nella stessa giornata, da un ordine ai Partigiani della sua zona di conqui­stare e tenere Vicenza alla quale la 5a Armata si stava ormai avvici­nando rapidamente dopo aver già occupato Verona.
   Onde diminuire l’opposizione all’ avanzata dell’ 8a armata attra­verso la pianura padana, il 28 aprile vennero impartiti ordini alta nostra Missione Italiana della zona di Treviso affinché i Partigiani della sua zona occupassero e tenessero Treviso. Gli eventi incalzavano con tale rapidità che, quando tale messaggio fu ricevuto, Padova era già stata superata e le avanguardie alleate si erano spinte oltre Treviso verso Venezia. Seguendo le direttive radio da Milano, i Partigiani di questa zona si erano già sollevati in massa contro le guarnigioni ne­miche ed il fine desiderato era stato raggiunto.
   Il 28 aprile vennero trasmessi ordini dal 15° Gruppo di Armate alle nostre Missioni presso le divisioni Belluno e Nannetti ed al­l’ufficiale inglese di collegamento nella zona Carnia-Friuli di fare tutto il possibile per tagliare le linee di comunicazione nemiche ver­so nord e verso sud. Furono impartite direttive a tale zona perché mettesse immediatamente in effetti i piani prestabiliti, e per la zona Carnia-Friuli furono trasmesse le segnalazioni prestabilite in caso di rottura.

Proseguimento della campagna.

   La campagna finale fu di breve durata. Il periodo intercorrente fra la diramazione degli ultimi ordini operativi — il 26 aprile — ed i primi contatti fra le nostre Missioni del Veneto e le forze alleate variò fra i due giorni (per il Veneto occidentale) ed i sei giorni (per il gruppo di Missioni della zona Carnia-Friuli).
   Nella zona montuosa del Veneto occidentale, nonostante la scar­sità particolarmente acuta di armi e di munizioni, i Partigiani si sol­levarono non appena ricevuti gli ordini, il 27 aprile. Il giorno seguen­te 300 partigiani avanzarono su Vicenza ed altri 500 erano pronti a riunirsi ad essi per l’attacco di quella notte. Lo stesso giorno la nostra Missione entrò in contatto con le forze americane della V armata ed i Partigiani si unirono ad esse nella marcia su Vicenza. Al 29 di aprile la maggior parte della zona montuosa settentrionale della pro/

13 LA RESISTENZA  ITALIANA IN  UN  DOCUMENTO  ALLEATO.

vincia di Vicenza ad est del fiume Brenta era stata liberata dai Par­tigiani. Alcune (guarnigioni isolate stavano per essere, eliminate. I Partigiani continuarono a combattere fino all’Armistizio del 2 maggio ed oltre, poiché le forze alleate erano insufficienti per occupare tutta la zona montuosa ed alcune colonne nemiche continuavano una resi­stenza sporadica, bruciando villaggi e prendendo ostaggi.
    Nelle pianure venete le operazioni in massa dei partigiani co­minciarono il 27 aprile, secondo le direttive radio di Milano. Molte guarnigioni nemiche furono sopraffatte in quel giorno e le operazioni procedettero con esito favorevole. La Brigata Martiri del Grappa in, modo particolare, operando nella zona a sud del Monte Grappa e a nord della Strada 53, si distinse per aver liberato molti piccoli centri] urbani nella sua zona e per aver catturato oltre 800 prigionieri tede­schi. Le operazioni continuarono durante i 3 giorni successivi. Oltre ai prigionieri furono presi grandi quantitativi di materiale bellico e di munizioni; il rastrellamento si estese ad una vasta zona. Le perdite partigiane furono lievi.
   La Missione di Venezia, per quanto fosse incaricata essenzial­mente dell’antisabotaggio e non di operazioni militari, prese tutta­via contatto col C.L.N. locale, che aveva a sua disposizione circa 1000 uomini armati di pistole. La notte tra il 27 e il 28 aprile l’ufficiale di collegamento inglese persuase il C.L.N. che era giunto il momento favorevole per un’insurrezione di Venezia. Essa venne ordinata per le 6.30 del 28 aprile. I patrioti locali furono impegnati in duri com­battimenti per tutta la mattina seguente, finché a mezzogiorno il ne­mico chiese una tregua. Si raggiunse infine una intesa con la quale era concesso al personale navale tedesco di andarsene (di godere di un breve periodo di libertà) senza però fare alcuna demolizione e pre­via consegna delle carte indicanti i campi di mine. Furono catturati circa 3000 prigionieri e si ottenne un pieno successo nella azione di antisabotaggio. L’8a armata entrò a Venezia, già liberata, con i suoi porti in efficienza, il 29 aprile. L’ufficiale inglese di collegamento, ri­ferendo questo colpo di mano ben riuscito si espresse così: «I tede­schi furono colti di sorpresa, mentre avrebbero potuto spazzar via i Partigiani come volevano».
   Le operazioni in massa cominciarono prima nella zona di Bel­luno il 28 aprile, e varie piccole località a sud-est di Belluno furono rapidamente occupate dai Partigiani. L’attacco principale ebbe luogo nella notte tra il 28 e il 29 aprile. Esso si estese rapidamente e molte guarnigioni tedesche si arresero. Una vasta zona a sud di Belluno fu occupata dai Partigiani. Il 29 aprile molte strade furono tagliate e si fece di tutto per impedire il traffico nemico, specialmente sulla Stra­da 51. La 1a divisione Nannetti occupò, intatte, le importanti centra­li di Fadalto, Nova e Caneva. 3000 prigionieri e 1260 veicoli furono catturati dalla divisione Nannetti nelle operazioni del primo giorno. Il 29 aprile la guarnigione tedesca di Belluno avanzò una proposta di resa. La maggioranza delle truppe nemiche erano disposte ad arren/

14         LA RESISTENZA  ITALIANA IN  UN DOCUMENTO ALLEATO.

dersi, ma il nuovo comandante, il Generale Scholl, minacciò di radere Belluno al suolo, se i Partigiani avessero attaccato. Il 30 aprile due terzi della città erano nelle mani della GAP. Nel pomeriggio colonne dell’8a armata presero contatto colla nostra Missione presso la divi­sione Nannetti a Vittorio Veneto e fu stabilito per telefono coll’ufficiale inglese di collegamento di Belluno che le truppe alleate avreb­bero completato la liberazione di Belluno alle prime luci dell’alba del 1° maggio. La mattina del 2 maggio la 5a armata giunse a Belluno; per sostituire l’8a armata e per completare l’occupazione della zona. Le ultime sacche di resistenza tedesche dei dintorni furono spazzate via dai Partigiani nella notte del 2 maggio.
   In questa breve campagna durata solo 5 giorni, furono catturati! complessivamente 16.000 prigionieri nemici dai Partigiani della zona di Belluno. 7000 dalla divisione Belluno e 9000 dalla divisione Nan­netti. Il nemico, inoltre, ebbe molti fra morti e feriti per mano dei Partigiani e circa 1500 automezzi catturati. Disgraziatamente la mag­gior parte di questi furono in seguito distrutti dall’aviazione Alleata che non poté essere avvisata in tempo per sospendere le operazioni sui territori tenuti dai Partigiani.

Le operazioni nella zona Carnia-Friuli, condotte dal nuovo co­mando coordinato delle divisioni Osoppo-Garibaldi, con il quale il no­stro ufficiale di collegamento era in stretto contatto, cominciarono il 28 aprile, con un attacco partigiano su Buia. Sfruttando lo stato di de­moralizzazione del nemico, i Partigiani occuparono Artegna, Buia, Osoppo, Tarcento, Gemona e Resiutta, facendo prigioniere le guarni­gioni. Le difese della predisposta «linea Gemona» furono prese e tutte le vie di comunicazione interrotte. Fu contemplata la possibi­lità di paracadutare delle truppe nei pressi di Gemona per comple­tare la chiusura di ogni via di ritirata del nemico verso il nord, ma si mostrò inutile, e questo progetto non ebbe seguito. Nei successivi 3 poiché gli eventi incalzarono rapidamente, tale provvedimento si dileguò di ­giorni e i Partigiani occuparono altre località del Friuli e al 30 aprile la pianura era quasi interamente liberata, mentre nelle mani dei Par­tigiani rimase gran parte del materiale bellico e delle scorte del ne­mico.
   Un attacco su Udine fu in un primo tempo stabilito per la notte del 29 aprile, con azione simultanea sia dall’interno che dall’esterno della città. Tuttavia, questo Quartier Generale per mezzo di messaggi fece nuovamente rilevare la importanza massima di tagliare le vie di comunicazione nemiche e l’avanzata su Udine fu sospesa per assicu­rarsi che vi fossero sufficienti concentramenti di forze per bloccare le vie di ritirata del nemico. Udine fu infine occupata dai patrioti la mattina del 1° maggio e liberata con combattimenti nelle vie. Il 2 e il 3 maggio forze alleate raggiunsero la zona e presero contatto con le nostre Missioni. Nel frattempo era stato dato l’annuncio di una resa generale nemica in tutta l’Italia, benché alcune guarnigioni isolate resistessero ancora nel nord, specialmente i Cosacchi a Tolmezzo,/

15 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

Ospedaletto ed in altre località vicine. I Partigiani continuarono ad at­taccare tali guarnigioni e a molestare le retrovie nemiche finché giunse il grosso delle truppe alleate che prese la direzione della situazione. Per quanto non si abbiano ancora cifre sicure, è però noto che i Par­tigiani presero un gran numero di prigionieri nel Friuli: ad oltre 1000 furono calcolati quelli presi dalle sole Brigate 3a e 4a della divisione Osoppo.

Conclusione

   La descrizione qui sopra fatta della campagna combattuta da2 Partigiani in rinforzo dell’ultima avanzata delle armate alleate nel «Nord-est», non è assolutamente completa, ma illustra lo svolgersi degli eventi che furono comuni a tutto il Veneto. Il morale e l’entu­siasmo dei Partigiani furono ovunque e sempre altissimi, mentre lai demoralizzazione e disorganizzazione del nemico furono complete. Ovunque il nemico, lungo le direttrici di avanzata delle armate, fu attaccato con baldanza e con successo, tanto che sopra Padova e Vi­cenza fu poi solo più incontrata una leggera resistenza organiz­zata. In molte località le armate alleate non ebbero da fare altro che entrare nelle città ormai liberate ed aiutare i Partigiani nel rastrellamento delle ultime guarnigioni isolate.

Nord-Ovest

    Nella Lombardia settentrionale l’ordine di azione in massa con­tro il nemico fu ricevuto il 24 aprile. L’ufficiale inglese di collegamen­to nel Bergamasco trasmise immediatamente tale ordine ai Partigiani i quali, sotto il suo comando, irruppero dai loro capisaldi dell’alta Val Brembana, mossero sulla città di Bergamo ed intimarono la resa alla guarnigione tedesca. Dopo 24 ore, durante le quali si parlamentò a varie riprese con il comandante nemico, quest’ultimo infine accon­sentì ad arrendersi incondizionatamente ai Partigiani. Al 27 aprile la città di Bergamo e tutta la zona compresa tra le Alpi Orobie a nord, il lago d’Iseo ad est, il lago di Como ad ovest e la strada Como-Brescia a sud, erano liberate. Ciò permise alle avanguardie alleate di passare attraverso Bergamo e raggiungere Como il 28 aprile, tagliando ai te­deschi l’ultima via di scampo verso l’Austria. In questa zona i Par­tigiani catturarono 3000 prigionieri tedeschi e 1000 italiani.
    Nel frattempo a Milano, dove il nostro ufficiale di collegamento si era tenuto in contatto con il CLNAI, gruppi di resistenza s’erano sollevati ed avevano occupata l’intera città. Le truppe nemiche ven­nero bloccate nelle loro caserme fino all’arrivo degli Alleati, il 30 aprile, quando si arresero. La città era calma allorché giunsero gli Alleati.
    L’ordine di insurrezione generale fu dato in Piemonte il 26 apri­le. Immediatamente il piano ce «E» del CLN per un’insurrezione ge­nerale, del quale erano stati comunicati i particolari ai comandanti

16 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO.

di tutte le zone, venne posto in azione. Il risultato superò di gran lunga le previsioni. Al nord la Val d’Ossola fu liberata quasi subito. I Partigiani della Val Sesia scesero al piano ed occuparono Novara. Il 30 aprile le loro avanguardie erano a Milano.
    Intanto in Torino l’ufficiale inglese di collegamento era in stretto contatto col CLN ed era in grado di dare considerevole aiuto nel di­rigere l’insurrezione generale con cui i Partigiani riuscirono a liberare la città.
    A ovest, Biella fu la prima città a essere liberata insieme alla Val d’Aosta superiore e Val Susa superiore. Grave pericolo esisteva nel Canavese, in Val d’Aosta inferiore, e nell’area immediatamente ad ovest di Torino, per la presenza di un forte concentramento di truppe nemiche. Il loro comandante, Graziani, era stato catturato. Il suo successore, generale Pemsel, firmò un documento di resa ma fu sostituito dal generale Von Vietinghoff. Il suo successore, gene­rale Schlemmer, rifiutò di arrendersi nonostante le molte intimazioni del nostro Ufficiale di collegamento, opponendo il suo giuramento personale a Hitler, fino a quando non fu confermata la sua morte il 2 maggio. Questo fortissimo contingente di truppe — più di 30.000 uomini —, formante l’Armata della Liguria, fu trattenuto dai Parti­giani in piccolissime aree lungo la strada principale e senza tregua attaccato fino alla resa.
    La battaglia per Torino fu accanitamente combattuta. Per una settimana i Partigiani attaccanti guidati dagli ufficiali di collegamen­to, che si erano concentrati sulla città seguendo gli ordini emanali dal 15° Gruppo di Armate, penetrarono combattendo nel centro e il 3 maggio, quando le truppe Alleate arrivarono, Torino era libera. Mol­ti giorni prima dell’arrivo degli Alleati tutta l’area tra Torino e Ales­sandria era stata liberata dai Partigiani e nessun ostacolo ritardò l’a­vanzata delle colonne Alleate.
    Il Monferrato, le Langhe, il Cuneese furono tutti liberati senza l’aiuto delle truppe Alleate e molte migliaia di prigionieri, in mag­gior parte fascisti, furono catturati. L’intera Div. San Marco si arrese ai Partigiani.
    I Francesi poterono avanzare in tutte le vallate alpine pratica­mente senza sparare un colpo, e la maggior parte delle località da essi occupate, come Aosta, Susa e Cuneo, era stata liberata in prece­denza dalle formazioni partigiane locali che, nella maggior parte dei casi, avevano pure sgombrato le strade da mine e ostacoli.
    Ovunque in Lombardia e in Piemonte le nostre avanguardie fu­rono accolte da Partigiani entusiasti in città e villaggi liberati. I CLN locali, spesso guidati da un ufficiale inglese di collegamento, avevano assunto la direzione dell’amministrazione civile e l’ordine pubblico era mantenuto da distaccamenti, rappresentativi di ogni formazione partigiana in ciascuna zona.

17 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO.

APPENNINI E LIGURIA

Fase I.
Bologna

   I gruppi SAP e GAP in Bologna furono chiamati all’azione me­diante la nostra Missione Italiana la sera del 20 aprile. L’avviso ri­sultò insufficiente, a causa della rapida marcia tanto della 5a come della 8a Armata, e i gruppi poterono entrare in azione appena prima del loro arrivo. Nel breve tempo a loro disposizione, tuttavia, essi poterono impedire vaste demolizioni ad opera del nemico.

Modena
Ia Divisione «Modena» da montagna.

   Il 10 Aprile i piani preparati in collaborazione con la nostra Mis­sione erano pronti per l’attacco da parte di tutte le nove brigate (3.500 uomini) sulle seguenti linee nemiche di comunicazione imme­diatamente dietro il fronte:

  1. – Maranello – Pavullo – Pievepejago – strada di Garfagnana.
  2. – Sassuolo – Prignano – Polinago – strada Lama Mocogno.

     L’attività cominciò in pieno il 13 Aprile. Trasporti e truppe su ambedue le strade erano continuamente attaccati e, come risultato, ebbe inizio il quotidiano rastrellamento di prigionieri e disertori. Il nemico pattugliava nellarea di Prignano-Mocogno abbastanza attivamente ma non in forze sufficienti da tenere le forze Partigiane lon­tano dalla strada 12 e le pattuglie erano sempre respinte. I ponti riparati dal nemico sulla strada Prignano-Mocogno furono nuovamen­te distrutti in pochi giorni, e, di conseguenza, questa strada, per la quale doveva ritirarsi parte della Div. 232, non fu mai effettivamen­te usata.
    La notte del 20-21 Aprile la divisione ebbe l’ordine di marciare su Modena. Quel giorno vi erano stati chiari segni del ritiro tanto della 114a quanto della 232a Divisione e ciò che era significativo era l’arrivo della 616 Russa Bn (AOK) che, con la Feldersaiz BN co­stituì una linea di difesa da Prignano alla strada Monfestino-Sassuolo. Si tracciarono dei piani di attacco di questa linea sulla strada di Modena all’alba del 22 aprile con tre Brigate ed elementi di altre due, ma, benché la relazioni dell’ufficiale di collegamento con la di­visione fossero sempre buone e caratterizzate da reciproca confidenza, questo attacco non ebbe luogo per mancanza delle necessarie capa­cità militari dei Partigiani.
    La brigata Dragone e la colonna Russa del SAS Bn Alleata at­taccarono con successo Lama, Mocogno e Montecenere e il 22 Aprile/

18 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO.

occuparono ambedue i luoghi, catturando circa 100 prigionieri e mol­ti HT della retroguardia della 232a Divisione.
    Le Brigate Speranza e Stop a est e ad ovest di Maranello dimo­strarono in questo periodo il maggior spirito bellico e coprirono di notte tutte le strade in questa zona vitale con MGs. Il bottino inclu­deva 250 prigionieri e HT oltre a quattro AFVs.

Finalmente il 23 Aprile la Brigata Dolo e la Div. HQ Coy, dopo aver battuto due posti avanzati per la maggior parte del giorno e cat­turato 20 prigionieri occuparono Sassuolo nel pomeriggio, poche ore prima dell’arrivo dei Brasiliani. I Partigiani avevano cercato di rag­giungere Sassuolo aprendosi un varco la sera precedente ma, nono­stante due vivaci attacchi del distaccamento partigiano locale, il po­sto di blocco tedesco, fornito di armi pesanti, rimaneva troppo forte.

IIa Divisione di pianura Modena.  
    Questa divisione di dieci Brigale fu formata alla fine di Marzo con le formazioni Sap e Gap (4000). Tanto questa quanto la Div. da montagna erano ai comandi del Gen. di Brig. Guidelli, Comandante provinciale il cui Quartier Generale era in Modena. Con la guida del nostro ufficiale di collegamento egli mobilitò le Divisioni per l’azione1 offensiva il 19 ed aveva pronto un piano per l’espugnazione e l’occu­pazione di Modena. A questo piano avrebbe dovuto partecipare lai Div. da Montagna, ma in realtà la Div. di pianura era sufficientemente organizzata e agì da sola.
    Il pomeriggio del 21 aprile cinque brigate operavano intorno a Modena e una nella città. La notte del 21-22 l’attività partigiana e la pressione in Modena e nei dintorni aumentò quando il nemico iniziò la ritirata; quella notte, i Partigiani occuparono i primi obiettivi, in­contrando opposizione, e il 22 aprile le Brigate «Allegretti» e «Tabac­chi » occuparono la Questura, il carcere di Sant’Eufemia, la Centra­le Elettrica, gli uffici della Federazione Fascista, la Manifattura Ta­bacchi, le Fabbriche Maserati e l’Accademia in cui si trovavano in­genti forze di ufficiali fascisti e tedeschi e di truppa. La città era sot­to controllo e in ordine, eccettuata la presenza di pochi cecchini, e alcuni dei nostri ufficiali vi si trovavano già quando la prima colonna americana.vi entrò la sera del 22 aprile.
    Nel combattimento in città i Partigiani subirono 37 morti e 27 feriti. Tra i morti vi fu il Colonnello dei Granatieri di Sardegna Argiolas, Intendente Generale del Comando Provinciale del CVL. Vi furono 215 tedeschi uccisi e furono fatti 450 prigionieri, compreso Hauptmann Foerster, il Platz-Commandeur.

Reggio Emilia
Operazioni sul fronte di Garfagnana e sulla strada 63 Sud esclusa.

Castelnuovo nei Monti (L. 1445).
    Il 22 aprile le guarnigioni in Busama (1. 0838) e Collagna (1. 0436) si arresero. La notte fra il 22 e il 23 aprile fu attaccato il fronte del/

19 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

la Garfagnana a Foce delle Radici (1. 1920) e Piazza al Serchio (li­vello m. 417) e furono istituiti dei contatti con le truppe d’avanguar­dia della Div. 93a, e la strada 63 fu assicurata a nord escluso Castelnuovo.

Operazioni verso Nord inclusa la strada 9.

    A Castelnuovo la guarnigione fu trattenuta e si arrese all’ alba del 24 aprile. Dopo un’avanzata di approssimativamente 1100 uomini, su una linea generale e a cavallo della strada 63 durante la giornata del 23 aprile, tutti i nemici furono cacciati a Sud su una linea — escluso Montecchio (1. 1974) — incluso Quattro Castelli (1. 2168) – Borzano (1. 3362) – esclusi Scandiano (1. 3762) – Casalgrande (1.4059).

Giorno 24 Aprile.

    Alle ore 8 prendemmo contatto con la retroguardia tedesca che occupava Reggio Emilia sulla linea generale Canali (1. 3368) – San Maurizio (1. 3672) – La Villa (1. 3874). Alle ore 9,30 elementi avan­zanti del 133° Fanteria e della Div. 34a (USA) raggiunsero Canale e si unirono ai Partigiani; e un ulteriore Reggimento della stessa Di­visione si mise in contatto con i Partigiani a San Maurizio. La bat­taglia continuò tutto il giorno 24 aprile alla periferia della città e alle spalle della linea generale Canali-San Maurizio-La Villa. Alle ore 20 la resistenza organizzata del nemico nella città ebbe fine. Forze par­tigiane, inviate a tagliare la strada a ovest della città, impedirono al nemico di ritirarsi in ordine ed i tedeschi girarono a nord, attraver­sando la campagna, per arrendersi finalmente sulla linea del fiume o nell’arca di Guastalla (1. 4692).

Operazioni a Nord della strada 9.

    Durante la notte tra il 24 e 25 aprile e il giorno del 25 aprile i Partigiani ottennero il controllo della zona Correggio (1. 4581) – Guastalla-Poviglio (1. 2789) – Montecchio e tutta la resistenza tedesca nel­la provincia cessò circa le ore 15 del 25 aprile.

Il significato tattico delle Formazioni offensive dei Patrioti reggiani.

      Queste possono essere riassunte nel modo seguente:
       1) Distruzione del sistema della linea di comunicazione sul fronte della Garfagnana con continui attacchi.
       2) Impedire l’uso della strada 63 alle truppe nemiche in riti­rata, in primo luogo a quelle lasciate in presidio ad Aulla (1. 7921) e poi a quelle superstiti dal fronte della Garfagnana.
       3) Disorganizzazione delle truppe nemiche che si ritiravano da! fronte di Pavullo e si dirigevano, a Ovest sulla linea Sassuolo-Scan­diano.
       4) Riduzione al minimo delle possibilità di una resistenza del nemico nella città di Reggio Emilia per mezzo di azioni all’interno e all’esterno della città stessa.

20 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

        5) Divieto alle forze nemiche di attraversare il Po al limite nord della provincia concentrandosi in Guastalla dove erano riuniti 2500 prigionieri.

Parma

     Il 5 aprile i compiti delle rispettive Brigate furono ripartiti come segue:
Brigate dell’ovest. Ostacolare i movimenti del nemico sulla Stra­da N. 62 con attacchi continui alle colonne nemiche.
Brigate del sud. Impedire al nemico l’uso della strada da Posara via Licciana a Merizzo.
Brigate del Nord. Eliminare il maggior numero di guarnigioni ai piedi delle colline in preparazione di un attacco alla città stessa di Panna. Tali incarichi vennero subito eseguiti tanto che in pochi giorni il nemico subì forti perdite sulla Strada 62 e dovette ritirarsi al nord — ai piedi delle colline — fino alle linee da Montecchio a Collecchio, permettendo in tal modo, alle squadre di sabotatori, di agire con relativa sicurezza lungo la via Emilia e nella città stessa.
     Il nemico reagì fortemente alla pressione dei partigiani, al sud, nella zona di Licciana, tanto che le brigate di questi dovettero ritirarsi, dopo duri combattimenti, senza aver potuto eseguire i loro incarichi. Esse furono molto disturbate da due batterie antiaeree di rinforzo, usate come artiglieria contro di esse.
     Il 14 aprile si ricevette l’ordine di fare un piano per l’occupa­zione di Aulla. Detto piano fu eseguito sotto forma di una maggiore attività sulla strada N. 63. Le due Brigate di Apuania ebbero coma compito l’occupazione di Quercia e Costamala e di tenersi pronte ad entrare in Aulla.
     Il 20 fu dato l’ordine, per mezzo delle nostre Missioni, di attac­care immediatamente Aulla. Il 12 Borrini e la 4a brigata Apuania, oc­cuparono Quercia, e le brigate 144a e 143* dopo aver preso d’assalto tutte le guarnigioni della zona del passo di Ceretto, fecero franare 35 metri di scarpata sulla strada bloccandola completamente. Il ne­mico, nel frattempo stava evacuando dalla Garfagnana, e, per quanto) gran parte della div. Italia si fosse già ritirata verso il nord attra­verso il passo prima che esso fosse fatto franare, si verificò una gran­de confusione nelle truppe di retroguardia che avevano l’ordine di tenere Fivizzano usando la strada 63 come strada di rifornimento. Questo non poté naturalmente essere fatto e i partigiani occuparono Fivizzano il 22 aprile.
     Nel frattempo, le due brigate Apuania, dovettero ritirarsi da Quercia in seguito ad un forte contrattacco sul fianco destro, sferrata dal nemico, il quale raggiunse i sobborghi di Licciana senza incon­trare resistenza.
     Gli attacchi sulla strada N. 62, benché aumentati di frequenza in questo periodo, non riuscirono mai a bloccarla, tanto che essa, servì dal 20 in poi ad evacuare il gruppo Frester Pico.   

21 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

     Il 22 fu ricevuto l’ordine di far muovere tutte le forze in efficien­za verso il nord per l’occupazione di Parma. La 3a brigata Pablo e le brigate 143a e 143abis vennero fatte muovere verso i sobborghi della città dove rimasero fino al 25 aprile. Il giorno stesso la 3a brig. con mossa accerchiarne entrò nella città dal lato nord-est, lasciando il posto alla 143a brigata da montagna che aveva preso posizione il giorno prima. Il 25 la parte ovest di Parma era stata occupata dagli elementi locali delle SAP e all’imbrunire uno dei nostri ufficiali entrava in Parma dalla parte nord-est. La 3a brigata giunse alla mattina presto, seguita dalla 143abis e poi dalla 143a Brigata di Pablo. Un altro ufficiale di collegamento che era giunto con il Quartier Generale della Divisione, con l’incarico di occupare la città il 23, fece di tutto per persuadere la Divisione ad attaccare, ma fu molto ostacolato dalla presenza di numerose truppe nemiche nella zona di Collecchio e dall’indecisione dei Comandanti.
      La mattina del 25 fu preso contatto con forze corazzate alleate e venne stabilito che 200 partigiani della Brigata di Pablo, avrebbero scortato le forze alleate al fiume Taro la notte del 25 aprile: in se­guito però tale progetto non fu effettuato.
     Nelle imboscate tese sulla Strada N. 62, che era la principale via per i rifornimenti del gruppo Fretter Pico, furono distrutti 150 vei­coli, uccisi 300 soldati e catturati 50 prigionieri. In tutto il nemico ebbe le seguenti perdite: 500 morti circa, 2800 prigionieri fatti in combattimento, e circa 2000 inseguiti e accerchiati dai partigiani.

Concordia – Mirandola.

     La Brigata Remo contava circa 800 uomini armati e un ugual numero di disarmati. Ogni notte avvenivano lanci e la maggior diffi­coltà consisteva nel distribuire le armi in tempo utile. Per esempio, l’ultimo lancio fu raccolto, e le armi distribuite e usate contro co­lonne nemiche, nel volgere di poche ore. Il 19 aprile la zona era calma. Il 20 invece la strada era ingombra di trasporti e di truppe in movimento verso l’ovest attraversando la Secchia. La strada verso il nord fu usata pochissimo.
     L’ordine di un attacco in forze fu dato, dall’ufficiale di collega­mento, il 20 aprile. Fu ordinato di far saltare i ponti sulla Secchia, di interrompere la ferrovia e di attaccare le colonne nemiche. A. Pioppa si riuscì a far saltare il ponte, mentre a Concordia e a Bondanello essi rimasero intatti. Ciò fu utile in seguito agli Alleati, che se ne poterono servire. I partigiani attaccarono i reparti guastatoti tedeschi lasciati indietro, di modo che i ponti non subirono danni. La ferrovia fu messa fuori uso e gli attacchi ai trasporti furono molto efficienti. Il 21 vi era troppa truppa nemica nella zona per poter dare battaglia aperta, ma durante la notte e la giornata successiva, si ebbero ovunque scontri. Cavezzo fu presa da un battaglione alle ore 11 del giorno 22 e consegnata poi agli americani alcune ore dopo. Mirandola fu completamente occupata da tre altri battaglioni alle/

22 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

ore 23 del 22 e consegnata 13 ore dopo. Un’azione simile si ebbe per Concordia e per quasi tutte le altre località della zona.
     In definitiva si ebbero: 152 tedeschi uccisi e 894 prigionieri, 59 fascisti uccisi e 170 prigionieri. Furono distrutti 30 veicoli, 4 carri armati, 32 altri mezzi e 2 batterie di medio calibro.

La Spezia.  
     L’ordine di un’azione in forze fu ricevuto dalla Missione il 10 aprile. Il 13 i partigiani della 4a Zona occuparono Grugnato (P. 5825) e Borghetto (P. 5824). La centrale elettrica di Teglia (P. 7236) fu occupata e salvata il 12.
     Il 16 i partigiani cominciarono ad occupare la zona costiera e il 22 essi tenevano già la zona da Levanto a Riomaggiore (P. 5903), Padivarma (P. 6221) e Mattarana (P. 5027).
     Il 15 il distaccamento SAS della zona, aiutato da 100 partigiani, attaccò Pontremoli: la città era fortemente difesa e l’attacco fallì.
     Il 20 i partigiani, insieme a membri della Missione, mossero su Aulla e La Spezia, furono arrestati nella loro avanzata per un certo tempo da forze nemiche nella zona di S. Benedetto, il 23 aprile, ma riuscirono poi ad introdursi a La Spezia prima della 92a Divisione americana che arrivò nella città solo il 25.

XIIIa Zona (Piacenza).

     Non appena ricevuto l’ordine di un’azione in forze, il 5 aprile, la nostra Missione mandò immediatamente ad effetto i piani presta­biliti, fatti in collaborazione col Comando Partigiano. Si iniziò su­bito l’opera di sabotaggio diretta alle comunicazioni a nord e a sud della Via Emilia, che continuò poi per tutta la campagna con pieno successo. Il 5 aprile un gruppo di 70 soldati nemici tentò distruggere un ponte a Castell’Arquato (P. 7493). Due Brigate partigiane lo at­taccarono nell’intento di salvare il ponte — punto vitale per le linee di comunicazione — ottenendo un completo successo.
     Dopo questo incoraggiante risultato, i partigiani mossero per at­taccare Gropparello (P. 6921) e Monte-Chino (P. 5988) tutti e due fortemente difesi dal nemico. L’azione cominciò il 7 aprile dimo­strandosi subito un duro compito per le formazioni partigiane che sollecitavano continuamente interventi aerei, specialmente diretti al castello sulla collina, (P. 5989) caposaldo del nemico. Data la grande richiesta di interventi diretti in appoggio agli eserciti, non fu possi­bile dare ai partigiani aiuto aereo; la loro avanzata perciò venne un po’ ritardata. Comunque si combatté in questa zona fino al 19 aprile, data in cui il nemico fu obbligato a ritirarsi da ambedue queste piaz­zeforti.
     Nel frattempo, altre unità avevano completato l’occupazione di Castell’Arquato il 10 aprile. Furono attaccate pattuglie nemiche a Castione (P. 8799) e sulla   strada  nei  pressi  di  Corte Maggiore/

23 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

(P. 8008). La passerella sul fiume vicino a Monticelli (K. 7818) fa distrutta l’8 aprile.
     Il 19 avvennero seri scontri a Monticelli (K. 7519), Corte Mag­giore (K. 7909), Ponte Nure (K. 6810) e a Firenzuola (K. 7802). La Via Emilia potè considerarsi libera da Ponte Nure escluso, fino a Fidenza compresa, (P. 8894), benché quest’ ultima fosse poi stata rioccupata il 20 in seguito ad una resistenza opposta dal nemico al­l’attacco alleato su Parma.
     Il 23 le forze partigiane della XIIIa Zona, ricevettero l’ordine di prendere e tenere Piacenza. Per quanto detto ordine giungesse loro alcuni giorni prima del previsto tuttavia la mattina del 25 tutte le forze efficienti della XIIIa Zona avevano già condotto a buon punto l’attacco e si trovavano a 3 km. dalla suddetta città. In seguito, il 25, fu comunicato che Piacenza era caduta in mano dei partigiani, il che non era esatto, benché delle pattuglie partigiane fossero real­mente penetrate nella città. Il nemico oppose una resistenza ostinata impiegando pure mezzi blindati, ma i partigiani riuscirono a tagliare la Via Emilia sia ad est che ad ovest della città e a stabilire una linea di difesa lungo il fiume Nure, contro i nemici in ritirata da Parma.
     La battaglia per la città continuò dal 25 al 29. Il 26 uno dei nostri ufficiali di collegamento della 5a Armata, giunse a bordo di un’autostaffetta dalla Via Emilia e prese contatto con l’ufficiale di collegamento della XIIIa Zona presso Piacenza. La città però non fu definitivamente liberata che alle ore 7 del 28 aprile quando giun­sero le formazioni corazzate americane da Parma.
     Durante i due giorni 27 e 28, i partigiani della zona stabilirono e tennero una testa di ponte sul Po a S. Vittorio (K. 5020), secondo! l’ordine, del 23 aprile, del 15° Gruppo d’Armata. Nello stesso tempo essi presero la città di Pavia.
     Nella zona di Piacenza, vennero affidati, ai Partigiani italiani, compiti superiori a quelli affidati a qualsiasi altra formazione parti­giana in tutta la campagna d’Italia. Per quanto essi noli potessero prendere e tenere la città stessa che era un centro vitale delle comu­nicazioni nemiche, essi riuscirono nondimeno ad impegnare una im­ponente quantità di forze nemiche, a distruggere trasporti e mate­riale di somma importanza per il nemico. Ecco come si esprime il nostro ufficiale di collegamento della zona parlando degli sforzi com­piuti dai partigiani: «Bisogna riconoscere che il morale dei tedeschi era estremamente basso in questo frangente e che i loro ordini, an­che se ricevuti, erano certamente fraintesi. Nonostante ciò è indubbio che i Partigiani combatterono meglio che mai in questi tre ultimi! giorni, meravigliandoci per la loro determinazione e il loro spirito combattivo».

(continua)

oooooOooooo

(continuazione)

II°

RELAZIONE SULL’ATTIVITÀ DEL N° 1  SPECIAL FORCE
DURANTE IL MESE DI APRILE 1945

PARTE IV – PROGRESSI DELLA CAMPAGNA
IL CONTRIBUTO PARTIGIANO ALLA CAMPAGNA DI APRILE IN ITALIA

QUADRO GENERALE
 

3 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

     Completiamo la traduzione della Parte IV del Report on N.1 Special Force Activities, during April 1945 iniziata nel fascicolo n. 3 1949 della Rassegna, e riportiamo integralmente la traduzione delle Parti V, VII e X e parzialmente, per ciò che pare interessare più direttamente la Resistenza Italiana, la Parte VIII. Rimandiamo, per le informazioni sul documento, alla Nota introduttiva pubblicata sul precedente fascicolo.

VI Zona (Genova)

     Per quanto riguarda la VI zona, soltanto le unità dislocate a Est della rotabile Genova-Piacenza vennero comprese nell’ordine di ope­razioni decisive a partire dal 5 aprile. Le unità maggiormente interes­sate furono le Brigate «Codurri» e «Caio» della Divis. Garibaldi «Bisagno».

     La prima compì attacchi giornalieri contro il nemico dislocato a Carasco (P. 3040) fra il 10 e il 15 aprile. Le due brigate compirono un attacco combinato su Borgonovo (P.3244) il 15 aprile. Durante questo periodo le perdite nemiche furono di 25 morti, 20 feriti e 20 prigionieri.

     La brigata «Caio» continuò nei suoi attacchi a Borgonovo il 16 e il 17 aprile, e nella zona vennero tese imboscate alle pattuglie nemiche.

    Durante lo stesso periodo unità della Div. « Pinan » (Cichero) dislocate a ovest della rotabile n. 45 effettuarono il sabotaggio della ferrovia Genova-Alessandria e attacchi alle rotabili nn. 35. e 45. Fra il 19 e il 22 aprile la suddetta Divisione sabotò 4 locomotive, 12 va­goni, 37 carri bestiame e 55 veicoli stradali. Altri 25 veicoli stradali vennero catturati e le perdite nemiche, fra i morti, feriti, prigionieri e disertori ammontarono a 713 uomini.

     L’evacuazione nemica di Genova ebbe inizio il 23 aprile e fu risaputa per la prima volta il 24. A ciò si aggiunse un notevole mo­vimento sulle rotabili 1, 35 e 45, movimento che consenti a tutte le unità partigiane una larga possibilità di azione. Le brigate « Co­durri » e « Caio » concentrarono i loro sforzi in attacchi contro le guarnigioni dislocate lungo la rotabile n. 1, occupando Sestri Levante e Chiavari, precedendovi la Divisione Americana che avanzava lungo la rotabile n. 1, e numerosi villaggi della zona.

4 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

     Tutte le azioni decisive per l’intera VI zona vennero ordinate tramite la nostra missione Senior in Liguria per il 25 aprile e l’ema­nazione di tale ordine può venir considerata come il momento iniziale della seconda fase.

II Fase.
VI Zona (Genova).

     Il mattino del 23 aprile il gen. Meinhold, comandante la Piazza di Genova comunicò al Vescovo Siri, tramite il console tedesco di Genova, la sua intenzione di evacuare la città e il suo desiderio di effettuare un trapasso di poteri. L’evacuazione sarebbe durata quattro giorni durante i quali le autorità ecclesiastiche avrebbero dovuto ga­rantire che le truppe tedesche non fossero molestate dalle forze dei Patrioti. Come corrispettivo i tedeschi non avrebbero effettuata alcuna distruzione.

     Il vescovo trasmise la comunicazione al C.L.N., che rifiutò di intavolare qualsiasi negoziazione sulla base di concessioni al nemico; ciò in stretta osservanza con le direttive dell’Alto Comando alleato trasmesse al C.L.N. tramite il nostro B.L.O. (British Liaison Officer).

     Nel frattempo le intenzioni del nemico erano trapelate e la sera del 23 aprile le formazioni S.A.P. iniziarono l’azione contro posti isolati nemici. Durante la notte e il giorno seguente queste azioni si fecero generali sotto il controllo del Comando Regionale. I piani di contro sabotaggio vennero eseguiti e i pubblici servizi della città e della zona Nord fino a Tortona vennero occupati da reparti di Patrioti. Le ferrovie e le strade principali irradiantisi da Genova furono invase dai partigiani, le colonne nemiche furono attaccate e controllate da vicino mentre furono impedite le distruzioni di queste vitali linee di comunicazione.

     Con le brigate « Codurri » e « Caio », che avanzavano su Genova lungo la rotabile n. 1, avanzarono pure le unità della Div. « Pinan » e « Bisagno » non impegnate in compiti di controsabotaggio fuori delle città.

     Nel frattempo a Genova il C.L.N. si era riunito e aveva deciso di assumere l’amministrazione civile.

     La mattina del 24 aprile il gen. Meinhold avvisò il C.L.N. che se gli attacchi contro le sue truppe che si stavano ritirando non fos­sero cessati, avrebbe fatto bombardare la città. Il C.L.N. rispose ordinando di moltiplicare gli attacchi, e la sera dello stesso giorno il nemico lasciò nella città circa 7.000 uomini, asserragliati nella zona portuale, lasciando nelle mani dei partigiani la maggior parte della città. Sacche isolate di resistenza vennero rapidamente eliminate e il 25 aprile il gen. Meinhold offrì la resa incondizionata di 7.000/

5 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

uomini, resa che fu firmata dal gen. Meinhold stesso al C.L.N. alle ore 9 del 26 aprile.

     Nel frattempo i partigiani si erano assicurati il controllo della zona fra Genova, Tortona, i sobborghi di Piacenza e Chiavari.

     La città e la zona intera rimasero calme e l’ordine fu mantenuto. I servizi pubblici rimasero in gran parte intatti e il C.L.N. nominò il 26 aprile le pubbliche Autorità.

     Fino a che la 92″ divisione Americana non ebbe raggiunto la città alle ore 9.30 del 27 aprile, la nostra Missione fornì tutte le informazioni necessarie al 15° Gruppo d’Armate sullo sviluppo delle operazioni di eliminazione del nemico e di occupazione.

Liguria occidentale.

     Tutti i rapporti rivelano che l’evacuazione della Liguria occiden­tale fu così rapida che le unità partigiane ancora sui monti non fu­rono in grado di entrare in azione così prontamente da effettuare quel­le operazioni su vasta scala che erano nelle loro intenzioni; tuttavia in numerose località si ebbero dei combattimenti. I reparti S.A.P. delle città portarono a termine i loro compiti contro sabotaggio e ben poche distruzioni vennero compiute dal nemico.

     A tutti i reparti dislocati a occidente di una linea che attraversa Como in direzione Sud fu ordinato di iniziare l’insurrezione il 25 aprile. La ritirata era già in pieno corso e la maggior parte dei re­parti in azione.

     Il 25 aprile i partigiani, con le nostre Missioni, occuparono Ventimiglia e Savona quasi senza resistenza ;Imperia venne occupata il pomeriggio dello stesso giorno dopo un combattimento con il nemico in ritirata. Acqui è circondata il 25. Vennero attaccati dei treni sulla ferrovia Voltri-Ovada e il movimento stradale venne disturbato in­cessantemente. La mancanza di munizioni impedì ai partigiani di svol­gere un’azione efficace contro la ritirata della divisione S. Marco dal­la zona Altare (q.494) – Cairo Montenotte – verso Acqui.

     Il 27 aprile la zona era libera dal nemico. La situazione tran­quilla e l’ordine mantenuto. L’amministrazione civile era svolta abil­mente dai C.L.N. i quali nominavano le autorità locali.

     Nel periodo 26-29 aprile reparti francesi provenienti dalla fron­tiera francese occuparono la zona fino a Imperia. Il primo reparto alleato giunse a Savona il 30 aprile e i rappresentanti dell’A.M.G. giunsero a Imperia il 3 maggio.

Il comando dell’Oltrepò Pavese.

Il 23 aprile venne ordinato ai partigiani di questa zona di im­possessarsi e di difendere gli importanti nodi di comunicazione di Vo­ghera e di Tortona, tagliando così la linea di ritirata nemica da Ge­nova e dalle città della costa nord-occidentale.

6 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

     I reparti entrarono immediatamente in azione sotto la direzione della nostra Missione, attaccando i reparti in movimento sulla rota­bile n. 10 e sabotando la ferrovia Voghera-Piacenza. Voghera venne attaccata il 26 aprile e occupata dai partigiani nelle prime ore del 27; 260 tedeschi vi si arresero.

     Lo stesso giorno Casteggio, Stradella e tutte le guarnigioni della zona vennero attaccate e alla sera tutte erano state liquidate o si erano date alla fuga. Pavia e Castel San Giovanni vennero pure libe­rati il 27 aprile.

     Nessuna distruzione fu effettuata in Voghera e il C.L.N. locale si mise subito all’opera per quanto riguardava l’amministrazione civile. Prima che vi arrivassero reparti alleati o l’À.M.G., il 1° maggio par­tivano dei treni di viveri da Voghera per Genova.

Cronologia degli avvenimenti

      5 Aprile : Inizio dell’offensiva primaverile del 15° Gruppo d’Ar­mate.
      17 Aprile: Direttive di azione decisiva impartite alle Missioni campali degli Appennini.
      18 aprile: Sciopero generale preliminare nell’Italia nord-occiden­tale.
      19 aprile: Montecchio e Groparello occupate dai Partigiani del­la XIII Zona.
      20 aprile: Valtournanche occupata dai Partigiani.
      20-21 aprile: Modena cade nelle mani del B.L.O. e dei Parti­giani; presi 500 prigionieri. Villetta, Fontardenti e Pieve Fosciana occupate dai Partigiani. La rotabile della Val Sugana bloccata dai          Partigiani.
     23 aprile: Reggio Emilia presa dai Partigiani e dal B.L.O., i quali s’impadroniscono pure di Mirandola. Castelnuovo ne’ Monti occupata.
     24 aprile: I Partigiani della I Divisione Ligure, con la Missione del N. 1 Special Force, occupano La Spezia.
     Uomini della Brigata «Codurri» della VI Zona occupano Sestri Levante e marciano su Chiavari.
     24 aprile: Asti occupata dalla 6a Div. «Asti» di Otello, accompagnata da una Missione britannica.
     I partigiani occupano le loro posizioni intorno a Torino con uf­ficiali inglesi di collegamento.
     Biella evacuata dai tedeschi e nelle mani dei partigiani con uffi­ciali inglesi di collegamento.
     25 aprile: Direttive di azione, in massa vengono emanate per tutte/

    7 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

      le formazioni partigiane a ovest della linea attraversante Como in di­rezione sud e direttive di disturbo in massa a quelle situate a Est di tale linea.
      Notizia dell’occupazione di Genova da parte dei Partigiani della VI Zona e della Missione inglese.
      La Val Brembana liberata dai Partigiani sotto la guida del B.D.L.
      Il gen. Meinhold offre la resa incondizionata delle sue truppe.
      Notizia della fuga di ufficiali tedeschi e fascisti da Torino.
      Casale Monferrato occupata dai partigiani.
      Piacenza accerchiata dai partigiani sotto la guida del B.L.O.
      Prato e Savignano occupate.
      Ventimiglia e San Remo conquistate dai partigiani e dal B.L.O.
      Imperia, Savona e Albenga intatte oberate dai partigiani e dai B. L. O.
      26 aprile: Piacenza attaccata dai partigiani.
      L’intera area della Grande Genova nelle mani dei partigiani.
      I partigiani entrano in Milano, il B.L.O. parla alla Radio par­tigiana di Milano.
      Mieinhold si arrende incondizionatamente con 7.000 uomini.
      Parma liberata dai partigiani e dal B.L.O.
      Acqui occupata; i partigiani marciano  su Alessandria.
      Il gen. Farina comandante della San Marco chiede 5 giorni di tregua.
      Pavia liberata.
      Alba, Murazzano, Dogliani, Cairo Montenotte occupate dai par­tigiani.
      27  aprile: La zona da Nervi-Pegli fino a Tortona nelle mani dei partigiani.
      I partigiani e la Missione britannica controllano il Bergamasco.
      Novara liberata dalle formazioni di Moscatelli.
      Fra Stradella e Costeggio liquidate le guarnigioni.
      La valle del Po liberata dal nemico.
      Asolo, Loria, Crespano, Passagno, Riese e Altivole liberate.
      I partigiani occupano la zona Mandre – Mareno – Albina – Visna -Vazzola.
      Le Langhe liberate dal nemico.
      I partigiani occupano i sobborghi di Torino.
      La Missione francese è annunziata nei pressi di St. Cristophe.
      La Val Susa evacuata dai tedeschi.
      La Guardia Repubblicana del Friuli offre la resa.
      28 aprile: Piacenza liberata dal nemico.
      Il Comandante tedesco del Bergamasco si arrende al B.L.O. con 3000 uomini.

8 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

     Il B.L.O. si accorda con il C.L.N. di Venezia in vista di una completa liberazione.  La zona da Chatillon alla frontiera francese, liberata.
     I partigiani circondano Vicenza.
     Tutte le centrali elettriche salvate in Val Maira e Varaita.
     I partigiani controllano parte di Venezia.
     29 aprile: Venezia completamente occupata dai partigiani. La zona a nord di Vicenza liberata.
     Cuneo liberata dai partigiani. Padova liberata dalla VIII Armata.
     I tedeschi si arrendono a Mestre.
     Una missione inglese paracadutata sul campo di corse di Milano.
     I treni hanno ripreso servizio fra Voghera e Genova.
     A.C al lavoro col C.C.N. di Genova.
     Molte località fra le quali Gemona e Tarcento occupate dai par­tigiani.
     La Missione britannica conferma che Mussolini è stato giustiziato e che il suo cadavere è esposto a Milano.
     Gli Alleati entrano in Milano.
     Negoziazioni fra l’Armata «Liguria » e il B.L.O.
     Annuncio della cattura di 3.000 prigionieri e di 260 MT.
     30 aprile: La Val d’Aosta liberata fino a Bard.
     Nella zona di Belluno le truppe tedesche negoziano la resa.
     Schio presa dai partigiani.
     La Val Tanaro è liberata.
     Graziani tuttora in prigione e terribilmente impaurito.
     Notizia che le Osoppo-Garibaldi circondano Udine; più di 1000 prigionieri fatti dai partigiani.
     La San Marco si arrende al C.V.L. a Valenza.
     1° maggio: Oltrepassata la nostra Missione Italiana a Padova.
     Il prefetto fascista di Piacenza catturato dai partigiani.
     Il primo treno viaggiatori lascia Voghera per Genova.
     Moscatelli nominato sindaco di Novara.
     La centrale elettrica di Busca intatta.
     Tutte le installazioni della Val d’Aosta salvate.
     Il B.L.O. con la Div. « Nannetti » cattura più di 8.000 prigionieri.
     Belluno occupata dagli Alleati.
     La parte sud di Udine liberata dai partigiani.
     Tutta la provincia di Cuneo liberata.
     2 maggio: la Val d’Aosta liberata dal nemico.
     Il gen. Schlemmer firma la resa dell’Armata «Liguria ».

 9 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

 PARTE V

CONTRO-SABOTAGGIO

Introduzione

 

     Sin dall’estate 1944 destò preoccupazioni la previsione di una lenta ritirata del nemico dall’Italia del Nord, lasciando dietro a sè un solco di devastazioni degli impianti vitali dell’industria italiana, che avrebbero completamente paralizzato la ripresa economica del Paese e considerevolmente aggravato le responsabilità degli Alleati, nel risollevamento e nella ricostruzione dell’Italia dopo la liberazione. Nel periodo in cui il numero delle Missioni Alleate sul campo era ancora piccolo e l’influenza del C.L.NA.I. fontana dall’essere efficace, le pratiche possibilità di organizzare il contro-sabotaggio erano poche. Una volta che fu reso evidente che la Campagna Italiana non sarebbe finita prima che un altro inverno fosse passato, si cominciò a predi­sporre un piano a lunga scadenza perché almeno il minimo vitale degli impianti e macchinari fosse preservato dalla distruzione.

     Si fece ricorso al consiglio di esperti da Londra, pratici dei me­todi seguiti dal nemico negli altri paesi, mentre gran quantità di pre­ziose informazioni furono assunte dagli esperti della tecnica e dell’in­dustria nel Sud Italia, in Francia e in Svizzera. Come punto di par­tenza fu traccialo un elenco degli obiettivi a cui dar la precedenza, coprente l’intero territorio occupato italiano, e coordinato con le ri­chieste militari del 15° Gruppo d’Armate e con le richieste, per il periodo successivo alle ostilità, della Commissione Alleata e del Quartier Generale. La precedenza assoluta fu data alle centrali elettriche, di generazione e di trasformazione. Elenchi e mappe di esse furori preparate, in ordine di importanza per ciascuna delle tre principali regioni del territorio occupato: Nord Est, Nord Ovest ed Appennini. Al principio dell’anno a tutte le nostre Missioni fu ripetutamente sot­tolineata l’importanza del contro-sabotaggio, precisando le precedenze con cui si aspettava che esse procedessero nella loro zona operativa, e richiedendo un regolare servizio informativo sulle operazioni del ne­mico e sulle contro-misure partigiane.

     Nello stesso tempo i rifornimenti ai Partigiani, controllati dalle nostre Missioni furon riveduti per includervi le richieste di armamen­to e di equipaggiamento necessari alle misure di contro-sabotaggio e di finte demolizioni. Speciali Missioni di contro-sabotaggio furon pre­parate e introdotte a lavorare nelle zone non ancora coperte, la Val d’Aosta, la Val Maira, Genova e Venezia, con lo scopo di assicurare la preservazione in esse di obiettivi particolari. Tutte le altre Mis/

10 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

sioni già esistenti furono brevemente informate sui metodi dell’anti-sabotaggio e sulla priorità degli obiettivi da difendere nella loro zona operativa.

Una speciale istruzione per i Partigiani fu preparata dal PWB e inviata in territorio di operazioni in gran quantità nei colli aviolanciati. Una speciale trasmissione radio, per i Partigiani, inserita nel programma « L’Italia Combatte », dava loro consigli e direttive sul come interdire i metodi del nemico.

Così, sebbene il tempo fosse breve, i Partigiani furon istruiti sul contro-sabotaggio e gli esempi seguenti, pur indicando solo qualcuno dei risultati registrati, mostrano quanto fosse effettiva la loro prepa­razione.

Nord – Est

a) Zona della Div. Nannetti (a sud di Belluno).

     Il 3 aprile il nostro ufficiale di collegamento informino di aver preso contatto con Dorico, l’ingegnere capo della locale società elet­trica, che era partigiano simpatizzante e nello stesso tempo in rap­porti col nemico. Piani dettagliati di tutta la installazione elettrica nel Veneto furono così ottenuti e si fecero i preparativi per l’arrivo di una Missione contro-sabotaggio, destinata a Venezia. D’accordo con l’ingegnere capo e con Milo (comandante della Div. « Nannetti »), e su consiglio dell’ufficiale di collegamento, furon redatti i seguenti pia­ni con riguardo alle principali centrali elettriche della zona:

     Fadaldo (B. 7121) – Allagamento della centrale e della strada Lago Morto – Nove, per la profondità di due metri, così da renderla impraticabile;
     Nove (B. 6818) – Finte demolizioni;
     Caneva (B. 7909) – Finte demolizioni.

     La nostra missione considerò che ai partigiani sarebbe stato ri­chiesto di occupare la centrale per 48 ore durante lo svolgimento del­le operazioni al di sopra e richiedettero a questo proposito riforni­menti supplementari.

     Fu preparato un messaggio di emergenza per informare i Parti­giani quando l’azione sarebbe stata richiesta. Al più tardi il 27 aprile, l’ufficiale di collegamento riferì che i tedeschi avevano dato l’ordine di « non sabotare » queste centrali, per cui la preparazione dell’alla­gamento e le finte demolizioni furono sospese. Fu invece prestabi­lito di valersi dell’aiuto dei Partigiani nella zona della centrale. Un messaggio negativo sarebbe stato dato ugualmente in caso di neces­sità.

11 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

b) Venezia

     Il nostro B.L.O. fece un viaggio movimentato di 4 giorni a Ve­nezia, dal 16 al 20 aprile, durante il quale venne a conoscenza delle predisposizioni del nemico per le demolizioni. Prese anche contatto con il C.L.N. e con il direttore generale della Società Adriatica di Elettricità.

     Egli scoperse anche che il viadotto Mestre-Venezia, gli impianti di Porto Marghera la centrale termo-elettrica e tutte le chiatte a Ve­nezia e a Porto Marghera erano minati. Era anche stato detto che le navi ad Alberoni sarebbero state usate a scopo di blocco dei fondali.

     Dapprima il B.L.O. decise di neutralizzare con acido il detona­tore delle mine in mare, ancorate ai moli di Porto Marghera, e di sostituire le cariche alla centrale dello stesso porto. Riguardo alle possibilità di aiuto dei partigiani, il C.L.N. dichiarò di disporre di 2500 uomini organizzati in Venezia, di cui più di 1000 erano armati.

     L’ufficiale di collegamento giunse a Venezia, la seconda volta, il 25 aprile e riprese contatto con il C.L.N. Riferì che due moto-navi da 10.000 tonn. ( Vulcania e Gradisca), cariche di pietre, erano pron­te per bloccare l’entrata del porto.

     A quel momento l’8a Armata stava avvicinandosi rapidamente a Venezia, e mentre l’ufficiale di collegamento era intensamente impe­gnato nel garantire Venezia e prevenire le distruzioni, il suo opera­tore radio fu catturato dalle SS fasciste mentre era sul punto di rag­giungerlo. Egli sfuggì, ma dovette rinunciare alla stazione, sicché noi perdemmo il contatto diretto con questa Missione nel periodo di emer­genza; sino a che, qualche giorno dopo, noi sentimmo il racconto della liberazione di Venezia ad opera dei partigiani.

     A Venezia, nella notte dal 27 al 28 aprile, il nostro ufficiale di coli, informò il C.L.N. che era venuto il momento per una solleva­zione generale e che questa era prevista, per le ore 6.30 del 28 aprile. I partigiani, che si contavano in 1600 uomini armati di pistole, furono impegnati in duri combattimenti nella mattinata del 28 aprile, sino a che a mezzogiorno i Tedeschi chiesero ima tregua. Alle ore 15 un accordo fu raggiunto, per cui il personale navale tedesco, di circa 200 uomini in tutto, avrebbe avuto il permesso di lasciare Venezia, por­tando con sé le sole armi individuali, a patto che non venissero ef­fettuate demolizioni.

     L’uff. di coll. impiegò la notte tra il 28 e il 29 presso il Q. G. dei tedeschi rifiutando di lasciarli partire sino a che il comando non gli avesse rimessa la carta dei campi di mine. Alle ore 5 del 29 la carta fu ottenuta e i tedeschi poterono partire, su scialuppe. L’uf­ficiale descrisse tutto l’affare corale un « gigantesco bluff ». I tedeschi/

12 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

erano profondamente atterriti ed avrebbero potuto spazzare le forze partigiane quando volevano.

     Non fu effettuata alcuna distruzione di navi da guerra italiane e nessun tentativo fu fatto di blocco con le navi. Furon assicurati gli « accessi ai porti di S. Nicolò e Alberoni, e le installazioni del porto rimasero in attività. Le carte dei campi di mine furon consegnate alle autorità navali ed i piloti del porto furon pronti a dar la loro assistenza.

     Così quando l’8a Armata giunse il 29 aprile, Venezia, liberata dai partigiani, fu consegnata alle truppe occupanti in ordine e in buone condizioni.

Nord – Ovest

a) Lombardia

     Il nostro B.L.O. superiore in Lombardia, lavorando in stretto con­tatto con il C.L.N.A.I. e con il C.L.N. della Lombardia, fu in grado di assicurare che cura adeguata fosse impiegata nella preparazione delle misure di contro-sabotaggio, per preservare le principali instal­lazioni nella zona di Milano e di Bergamo, come gli impianti idroelettrici nelle valli a Nord di queste città. Egli tenne il contatto con molti dei principali industriali che, con le loro riserve finanziarie e l’in­fluenza sui dipendenti nelle varie fabbriche, furono di grande aiuta nella condotta di rallentamento della produzione, arrecante ritardi e disorganizzazione nei piani economici del nemico. Dal febbraio al­l’aprile una gran messe di informazioni economiche furon ricevute dai nostri ufficiali di coli, e passate alle Commissioni Alleate che furono così in grado di fare i passi necessari per preparare riserve di trasporto, materiale da guerra ecc., per alleviare il danno causato dal nemico alle industrie e per ripristinare la produzione con il più breve ritardo possibile.

b) Piemonte

     L’uff. di coli, nella zona di Ivrea iniziò a studiare i piani di anti­sabotaggio nella bassa valle d’Aosta e nel Canavese al principio di febbraio, quando fece un giro in Val di Gressoney e in Val Barthelemy, incontrandosi con i dirigenti delle varie centrali e dell’impre­sa Olivetti.

     Il suo primo atto fu l’interdizione del ponte ferroviario a Monte-strutte (J. 1979), che impedì al nemico di trasportare in Germania una quantità di macchinario e di materiale ammassato nella valle.

     Dopo un’accurata visita l’uff. di coll. concluse che il tentare un parziale smantellamento del macchinario o l’occultamento di esso die­tro muri provvisori, sarebbe stato troppo rischioso per la presenza di/

13 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

spie tra il personale. Egli decise di distribuire i partigiani in bande proporzionate all’importanza degli obiettivi da proteggere. Ogni grup­po doveva provvedere a predisporre delle posizioni sugli obiettivi e a far scorte di materiale da costruzione e di esplosivo presso a quello. Nello stesso tempo due gruppi dovevano star pronti a far saltare la strada e la via ferroviaria e a bloccare completamente la valle sopra e sotto gli obiettivi. Un terzo gruppo avrebbe recato disturbo al traf­fico tedesco.

     II piano era di bloccare simultaneamente la valle, eliminare il nemico così preso in trappola ed occupare le centrali. Dei muri anti­crollo avrebbero dovuto essere immediatamente costruiti intorno e so­pra le parti vitali del macchinario, così che nel caso di un successivo contrattacco nemico, tutto l’edificio sarebbe stato fatto crollare sulle macchine, proteggendole dalle demolizioni dei tedeschi.

     Nella Valle d’Aosta superiore, un’altra Missione, introdottasi spe­cialmente dalla Francia con un programma contro-sabotaggio, aveva preparato un piano simile. I due piani vennero strettamente coordi­nati.

     Nella Val di Susa superiore l’uff. di coll. aveva anche disposto le forze per la protezione delle centrali elettriche, e le aveva interamente riequipaggiate con il proposito di iniziare il compito ad aprile.

     Le informazioni non hanno potuto essere altrettanto coordinate per ciò che riguarda il successo del contro-sabotaggio nella stessa Torino, ma tutti gli impianti di pubblica utilità rimasero in funzione, secondo i frequenti rapporti fatti dal Comando Regionale Piemontese sui progressi dell’attività contro-sabotaggio dei partigiani nella pro­vincia.

Appennini e Liguria

a) Bologna

     Sebbene i gruppi-S.A.P. e G.A.P. avessero ricevuto gli ordini trop­po in ritardo per essere efficaci, poco danno fu arrecato dal nemico, e tutti i servizi furono normalizzati in 24 ore  dall’occupazione da parte dell’Esercito (alleato).

b) Modena

     L’obiettivo di precedenza era la sotto-centrale elettrica di Rubiera e altro secondario la sotto-centrale di Modena. I tedeschi ave­vano tenuto in entrambi dei sabotatori per un mese.

     Il 21 aprile, in seguito a ricezione di ordini, i gruppi di guasta­tori si ritirarono e gli edifici furono occupati dal C.L.N. Più tardi quelli ritornarono ma, incontrando opposizione, si ritirarono senza/

14 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

tentare seriamente di distruggere le centrali. Due piccole centrali presso Pievepelago furon distrutte dai sabotatori che vi erano stati accantonati per un mese o più.

     La grande centrale di 4 generatori a Farnetta, nella zona control­lata dai partigiani, fu preservata. La centrale telefonica automatica in Modena fu distrutta da sabotatori già presenti nell’edificio.

Il grande serbatoio idrico e l’acquedotto presso Formigine fu salvato da un tempestivo attacco contro il presidio dei gustatori.

c) Reggio

     A parte le grandi interruzioni delle condutture del gas, fatte in gran stile dai bombardamenti alleati, le S.A.P. e i CAP. della città riuscirono a salvare le installazjoni idroelettriche e del gas.

d) Parma

     In tutti i casi, i piani anti-sabotaggio furono ben eseguiti ed i servizi di pubblica utilità della città furono esenti da danni.

     Degna di menzione particolare la difesa realizzata da un reparto della Brigata « Pablo » che, sebbene rimasto isolato per due giorni, difese la grande centrale di trasformazione di Vigheffio, a sud di Par­ma e, sebbene attaccato spesse volte durante questo periodo, rimase al suo posto e ricacciò tutti gli assalitori.

e) La Spezia

     La centrale di Teglia (P. 7236) fu salvata dai partigiani, che ne occuparono l’edificio il 12 aprile.

     A parte l’esistenza di un numero di mine marine nella zona del porto, il porto di La Spezia fu trovato in buone condizioni. Nessuna relazione di demolizioni sino ad ora è giunta.

f) Genova e l’area intorno alla città.

     Per i seguenti obiettivi la necessità di precedenza fu portata a conoscenza delle nostre Missioni, con richiesta di piani dettagliati per la loro protezione:

     1) il porto di Genova;
     2) la strada e le comunicazioni ferroviarie con il retroterra di Genova;
     3) le centrali e in particolare quelle che alimentano la città e il porto di Genova e le strade ferrate che si dipartono dalla città;
     4) tutti i servizi di pubblica utilità.

Le attività di contro-sabotaggio per il porto di Genova furon le seguenti :

  1. Furon fatti tentativi per scoprire i dettagli dei piani di demo­lizione preparati dal nemico. Mediante l’ausilio di agenti si vennero a conoscere la collocazione delle cariche esplosive, i previsti affonda-/ 

15 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

 menti di navi a scopo di ostruzione, i criteri di sorveglianza e i sistemi per entrare nel porto dalla terra e dal mare.

    2) Il 18 aprile fu fatto un tentativo di affondare la nave Aquila, destinata a scopi di ostruzione, nella sua sede di ancoraggio. L’ope­razione fu progettata dal Royal Navy e messa in atto in collabora­zione con il personale italiano di immersione, provvisto da questo Q. G. Una torpedine fu disposta sotto la chiglia dell’ « Aquila », ma non era evidentemente sufficiente per affondare la nave che era carica di pietre e di altra zavorra.

     3) Ai primi di aprile un ufficiale italiano dello Stato Maggiore del Q. G. tedesco in Genova fu catturato, e una considerevole massa di informazioni sul porto fu ottenuta da lui. Egli fu trasportato con un aereo il 25 aprile per essere interrogato dal Royal Navy, ma arrivò troppo tardi perché la sua deposizione potesse essere di alcun valore per ciò che si riferiva a questo settore nemico. I dettagli ottenuti da lui furono in ogni modo di grande utilità Iper gli ufficiali sul posto.

     4) Il 14 aprile un ufficiale nel 1 Special Force raggiunse para­cadutato la Missione nella zona di Genova, allo scopo di ottenere no­tizie e informazioni sul porto prima e dopo la liberazione. Questo ufficiale interrogò il prigioniero sopra menzionato.

     5) Il 16 aprile una Missione italiana, composta da un ufficiale e da un radio operatore, raggiunse, paracadutata, la Missione nella zona di Genova. Essa aveva il compito di entrare nella città e fornire in­formazioni sulla città e il porto ed anche tenere i collegamenti con i gruppi S.A.P. e G.A.P. nella città.

     6) Fondandosi sulle informazioni ottenute da varie fonti, i grup­pi G.A.P. e S.A.P. progettarono dettagliatamente l’infiltramento nella zona del porto al momento in cui apparisse che il nemico prepara­va la ritirata, con il preciso intento di impadronirsi dei punti vitali e di evitare le distruzioni. In ciò sarebbero stati aiutati da alcuni lavo­ratori dei docks. A questo punto l’ufficiale superiore di collegamento nella zona, espresse l’opinione che la difesa* del porto era un compito che avrebbe esaurito le risorse partigiane sino all’estremo e che se il nemico era veramente deciso a distruggerlo, solo una piccola parte di successo era da aspettarsi.

     7) Riguardo alle comunicazioni stradali e ferroviarie, le brigate partigiane unificate vennero istruite dettagliatamente per impadronirsi delle posizioni chiave ad un dato momento e di rimuovere dai ponti le cariche di esplosivo immediatamente prima che fosse previsto che i tedeschi erano in procinto di farli saltare. Questi piani furon predi­sposti con cura e si previde che un largo successo avrebbe dovuto es­ser raggiunto.

     8) Le formazioni partigiane unificate sulle montagne e i gruppi/

16 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

     S.A.P. e G.A.P. in Genova si divisero i compiti per impadronirsi e di­fendere le centrali elettriche e i servizi di pubblica utilità. Dove l’oc­cupazione di tali obiettivi appariva di difficile realizzazione, furono prese disposizioni per effettuare finte demolizioni o per rimuovere i macchinari più vitali.

     I risultati raggiunti superarono ogni più ottimistica aspettativa. In parte perché la ritirata nemica era affare d’urgenza e in parte perché, grazie al pronto intervento partigiano, pochi sforzi risoluti furon fatti dal nemico per effettuare le demolizioni.

     Grazie alla determinazione dei partigiani di non concedere libera ritirata dalla città al nemico, ne furono impediti i movimenti lungo le rotabili e le ferrovie. Il nemico ritardò le distruzioni su queste linee di comunicazione nella speranza che la guarnigione della piazza di Genova potesse ritirarsi per mezzo di esse, dando così ampio modo ai Partigiani di dare esecuzione ai loro piani di contro-sabotaggio, cosa che essi fecero sfruttando l’occasione con ottimi risultati. Le uniche distruzioni stradali di cui si ebbe notizia avvennero sulla rotabile Ge­nova-Savona.

     Nella città stessa il fatto che il nemico si ritirò nella zona por­tuale consentì alle S.A.P. ed ai G.A.P. di occupare tutti gli impianti di pubblica utilità, di modo che entro poche ore tutti i servizi funzio­navano normalmente in Genova.

     Nel porto, sebbene il nemico fosse in grado di effettuare distru­zioni notevoli, dato che esso era materialmente nelle sue mani, in pratica non ne furono fatti che pochi tentativi. L’ufficiale navale en­trato nella zona ha già fatto il suo rapporto dal quale risulta che la maggior parte dei danni furono causati al porto dai bombardamenti alleati. Taluni danni relativamente lievi erano stati causati più re­centemente e l’entrata principale era stata bloccata in parte da navi colate a picco, lasciando solo uno stretto passaggio che la nave Aquila avrebbe dovuto chiudere. L’energica azione dei partigiani, unita alla incertezza del comandante tedesco, salvò il gran porto da una com­pleta distruzione.

Liguria Occidentale.

     Come nella zona di Genova, vennero preparati anche in questa zona piani dettagliati in vista del contro-sabotaggio, secondo il seguen­te ordine di priorità:

     I) centrali elettriche della zona, sia quelle di montagna che quelle di città:
     II) i porti di Savona, Imperia e San Remo;
     III) Impianti di pubblica utilità.
     Il metodo impiegato fu di solito quello di destinare una unità o un gruppo di partigiani per ogni obiettivo con l’ordine di occu-/

17 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

parlo e di presidiarli non appena il nemico avesse dato cenno di ri­tirata. In taluni casi, tuttavia, specialmente nella zona di San Dal-mazzo, la centrale elettrica venne usata dal nemico come caposaldo e in tal caso si ricorse al sistema di far arrecare dei danni dai lavo­ratori.

     La ritirata dalla Liguria occidentale fu così rapida che le forma­zioni nemiche si disorganizzarono notevolmente. Parte in grazia a ciò e parte grazie al fatto che i partigiani svolsero un’azione così rapida, il contro-sabotaggio nella zona ebbe pieno successo.

b) Zona di Piacenza-Voghera

     Analoghi provvedimenti vennero presi anche in questa zona per la protezione degli impianti di pubblica utilità. I partigiani otten­nero notevoli successi in Voghera e a due giorni dalla liberazione par­tivano da tale città dei treni di viveri per Genova.

     A Piacenza, nonostante una sostenuta reazione di fuoco, le S.A.P. svolsero una brillante azione. Furono rimosse le cariche de­stinate alla distruzione di una centrale elettrica, ed un’altra centrale venne occupata e presidiata per 36 ore. I servizi telefonici, del gas e dell’elettricità vennero salvati e funzionavano già il 29 aprile.

Conclusione

     I risultati raggiunti dai partigiani sulle colline e dalle forma­zioni clandestine di G.A.P. e S.A.P. in pianura e in alcune città, di­rette e controllate dal C.L.N. e tramite le Missioni alleate, han fatto si che l’apparato industriale italiano sia stato preservato quasi com­pletamente e che i servizi pubblici e gli impianti statali abbiano po­tuto continuare senza interruzione. Al tempo stesso l’opera della A.M.G. e dell’A.C. è stata grandemente facilitata dalle notizie for­nite loro in anticipo e necessarie a metterle in grado di porre in es­sere i loro piani per la ricostruzione dell’Italia settentrionale. No­tevole aiuto venne dato dai partigiani, tramite le nostre Missioni, alle forze navali dirette a Genova e a Venezia.

     Nonostante l’impossibilità di dare ai partigiani tutto l’aiuto che-essi richiedevano per l’attuazione dei loro piani di contro-sabotaggio — vennero fatte, per esempio, numerose richieste di lancio di repar­ti alleati di paracadutisti e furono sottoposti piani dettagliati di ap­poggio aereo, che non furono potuti accogliere durante la campagna poiché si sarebbero dovuti distogliere degli apparecchi da compiti più immediati — la rapida ritirata del nemico dalla maggior parte delle zone e la crescente ondata di rese e di diserzioni nelle ultime fasi, stanno a dimostrare che si ottenne un successo maggiore di quan­to si poteva immaginare. Il contributo dei partigiani al salvamento della struttura economica del loro paese deve venir considerato come l’aspetto di gran lunga più positivo delle funzioni che essi svolsero nell’intera campagna d’Italia.

 

18 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

 PARTE VII

IL PERIODO SUCCESSIVO ALLA LIBERAZIONE

I COMPITI DELLA MISSIONE ALLEATA NEL PERIODO SUCCESSIVO ALLA LIBERAZIONE

 

     Gli accordi firmati dal C.L.N.A.I., il Comando Supremo Allea­to e il Governo Italiano nel novembre dello scorso anno, oltre a ri­conoscere il C.L.N.A.I. come organo militare cui risaliva il potere di controllo e di direzione del C.V.L., gli diede un certo potere di esercitare funzioni nel periodo intermedio fra il crollo, la resa o la ritirata del nemico e quello dell’arrivo e dell’assunzione del con­trollo da parte dell’Esercito (alleato) e dell’A.M.G.

     Le Missioni britanniche furono ampiamente informate dell’e­stensione e delle possibilità racchiuse in questi accordi e fin dal pri­mo momento la loro politica fu quella di rafforzare e sostenere il C.L.N.A.I. e i C.L.N. nel lavoro preparatorio per l’assunzione del controllo durante il periodo interinale.

In breve i compiti principali che i C.L.N. dovevano assolvere durante questo periodo furono:

     1) mantenimento dell’ordine pubblico;
     2) impedire atti di estremismo e giustizia sommaria che avrebbero potuto essere esercitati contro fascisti e tedeschi da elementi poli­tici e militari delle forze partigiane;
     3) assunzione dell’amministrazione» civile fino all’arrivo dell’A.M.G. ;
     4) stabilizzazione del lavoro, dell’industria e della finanza;
     5) preparazione del disarmo delle forze partigiane;
     6) nomina alle cariche amministrative di persone competenti non fa­sciste.

     I compiti delle Missioni britanniche durante quel periodo do­vevano essere quelli di guidare e consigliare i C.L.N. nello svolgi­mento dei compiti loro assegnati, di vigilare che non fossero male interpretate tali direttive e che non fossero presi dei provvedimenti estremisti, e di predisporre con ogni mezzo l’assistenza all’A.M.G. e all’Esercito alleato nella loro avanzata, grazie alla loro esperienza e conoscenza delle condizioni e delle personalità locali. A tutt’oggi quest’opera continua in numerose zone. Completa soddisfazione è stata manifestata per quanto riguarda l’ordine trovato dall’A.M.G. al trapasso dei poteri dèi C.L.N. Soltanto pochi casi, e di natura minore, sono stati segnalati in cui il C.L.N. ha tentato di oltrepas­sare i propri poteri. La liberazione è sopravvenuta così rapida, nella maggior parte delle zone, che il periodo interinale si è dimostrato/

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breve; ma in molti casi la rapida avanzata delle truppe alleate ha fatto sì che le Missioni e i C.L.N. furono lasciati continuare nell’esple­tamento dei loro compiti fino a che non poté assumere la direzione PA.M.G.

Realizzazioni del C.L.N.A.I. in questo periodo

      In questo quadro è possibile citare soltanto qualche esempio del­l’opera eccellente svolta dai C.L.N. prima dell’arrivo dell’A.M.G. Nella maggior parte delle zone i compiti dei C.L.N. non sono finiti e un quadro completo del loro contributo non può esser ancora dato. Basti dire che quanto essi hanno fatto, lo hanno fatto bene e che il prestigio del Movimento di Resistenza italiano non è mai stato più alto che in queste ultime settimane, risultato dell’ottimo lavoro com­piuto dal C.I.N.A.I., e dai suoi Comitati regionali e provinciali.     

      1) La nostra Missione di Genova segnala il « sorprendente grado » di cooperazione fra C.L.N. e A.M.G. Non vi è traccia di discussioni politiche intralcianti l’amministrazione locale.
      2) Il seguente estratto del « Giornale del Popolo » di Bergamo costituisce un indice dei sentimenti popolari relativi al successo dei Partigiani controllati e diretti dal C.L.N. locale:

     « La liberazione di Bergamo e la salvezza della città è sostanzial­mente opera dei cittadini appartenenti ai vari partiti; grazie al peso delle forti formazioni partigiane, guidate da capi audaci, decisi e ac­corti, è stato possibile convincere il nemico che era inutile resistere e indurlo infine ad arrendersi ».

      3) La liberazione di Venezia e la salvaguardia delle sue attrezza­ture portuali fu ottenuta grazie agli sforzi compiuti dal C.L.N. nelle ultime settimane per organizzare squadre d’azione e protezione e se­guendo le direttive del 15° Gruppo d’Armate e del Quartier Generale delle Forze Alleate, trasmesse dal nostro B.L.O.

     4) A Pavia, Voghera e nelle città lungo la Via Emilia, si svol­sero riviste conclusive cui intervennero i C.L.N. e rappresentanti al­leati. Tutte le armi e le munizioni vennero consegnate in quasi tutti i casi senza incidenti e in una atmosfera che smentì completamente qualsiasi possibilità di una «seconda Grecia».

     5) A sindaco di Novara fu nominalo dal C.L.N. Moscatelli, le cui formazioni comuniste della Val Sesia avrebbero potuto sembrare un tempo una fonte potenziale di pericolo. Riconoscimenti personali del­la sua integrità e della sua competenza a coprire quel posto furono fatti da numerosi rappresentanti del C.L.N.

     É ancora troppo presto per dare un quadro definitivo dell’opera dei C.L.N. nel periodo successivo alla liberazione; fra sei mesi o un anno da oggi, sarà possibile vedere nella giusta prospettiva la loro

19 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

opera. Per il momento si può dire che essi hanno assolto le loro funzioni nella maniera più soddisfacente e il tempo mostrerà quali conseguenze ciò potrà avere per il futuro politico dell’Italia.

PARTE VIII

OPERAZIONI AEREE

Rifornimento di materiale

     Quantitativi sufficienti di armi, munizioni, materiale di sabotag­gio e materiale non bellico erano disponibili in colli confezionati di modo che le richieste delle nostre Missioni potevano venir soddisfatte con sufficiente rapidità.

     A causa della diversità di armi usate dai partigiani, il riforni­mento delle munizioni fu talvolta complicato.

     Le direttive del Comando Supremo delle forze alleate relative al tipo di rifornimenti che dovevano venir inviati erano emanate di tan­to in tanto e nel gennaio il SACMED emanò le seguenti direttive:

     1) Scoraggiare una indiscriminata espansione dei reparti armati.
     2) Incoraggiare atti organici di sabotaggio, complementari a ope­razioni MATAF, e attività di contro-sabotaggio.   
     3) Incremento dei rifornimenti di materiale non bellico per so­stenere il morale dei partigiani.

     Nell’aprile si ebbe un mutamento di direttive:

     1) Nessuna restrizione né per quantità né per qualità ai riforni­menti per la zona della battaglia degli Appennini.
     2) Nessuna limitazione ai rifornimenti di materiale non bellico alle zone non di importanza tattica.
     3) Introduzione di 250 tonn. di materiale bellico (per tutti gli organismi) in zone non di importanza tattica. Questo rifornimento non comprendeva armi personali di alcun genere e l’autorità del Co­mando alleato fu richiesta perché si potesse introdurre detto mate­riale per scopi specifici.

L‘appoggio aereo

Durante la campagna le Missioni campali segnalarono continua­mente obiettivi da bombardare e i risultati delle azioni delle forze aeree, con particolare riguardo ai ponti, al mascheramento di essi, ai concentramenti di truppe. Si riconobbe però che sovente il fattore tempo impediva che venissero svolte azioni appropriate, e quindi ven­ne adottato il sistema «Flash» (lampo) per mezzo del quale gli or­gani competenti dell’esercito (alleato) potevano venir informati nel tempo più breve possibile. Questo sistema consentì alle Missioni cam-/

21 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

pali di comunicare con questo Quartier Generale mediante radio tra­smittenti in qualsiasi momento per segnalare obiettivi da bombardare.

     Obiettivi a Nord-est furono raggiunti in maniera molto efficace, fra l’altro ottenendo l’annientamento di un attacco nemico di 3.500 uomini contro i partigiani nella zona a Sud-ovest di Belluno, mentre a Nord-ovest si ricevette il 16 maggio il seguente messaggio: «Pregasi complimentare R.A.F. per il suo appoggio aereo nell’aprile e maggio, di cui può far testimonianza la mia esperienza della zona nemica. I movimenti nemici furono quasi interamente limitati alla notte, e po­chi furono i danni causati a civili. In una circostanza i reparti aerei giunsero tre ore dopo il mio flasch (lampo) ».

Operazioni di atterraggio

     Oltre al normale sistema dei lanci, furono effettuate con successo alcune operazioni di atterraggio.

     Il terreno più usato fu quello noto sotto il nome di Excelsior, a 11 miglia Est-sud-est di Alba. Esso era già stato adoperato nel novem­bre per l’atterraggio di un « Lysander » e di un B. 25; fu parzialmente sconvolto dal nemico nell’inverno, ma era di nuovo pronto per l’uso alla fine di marzo. Da quel momento due Lysander e un C. 47 vi at­terrarono.

     Nella zona di Belluno venne usata una pista d’atterraggio per un Lysander nell’aprile.

     Nessun aereo venne perduto o fu danneggiato in tali operazioni.

     N° 5 SFSS con quartier generale in Firenze portarono a termine quattro operazioni di atterraggio con Fieseler Storch nella zona della battaglia degli Appennini.

Conclusione

     Nonostante gli spostamenti di questo Quartier generale e delle formazioni aeree, non si è mai avuta alcuna interruzione dei riforni­menti aerei alle nostre Missioni, durante il 1945, e la spedizione di circa 1200 tonn. di materiale ha indubbiamente messo in condizione i partigiani di portare il loro concreto contributo alla vittoria alleata nell’Italia settentrionale.

                 PARTE X
                  CONCLUSIONE

      Per molte ragioni lo specifico contributo dato dalle Missioni del N. 1 Special Force collegate con i Comitati di Liberazione e con le formazioni partigiane può non esser stato determinante. Il movimento partigiano in Italia sarebbe esistito ugualmente anche senza il loro aiuto, gli Alleali avrebbero vinto la campagna anche se esse non fos/

22 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

sero state sul campo, e missioni mandate da altre organizzazioni nei territori occupati, avrebbero assolto al loro compito ugualmente bene e forse anche meglio di quanto esse fecero, se il N. 1 Special Force non avesse preso parte alcuna nelle speciali operazioni. È in ogni modo possibile tracciare un approssimativo bilancio e stabilire se un dividendo può esser dato. Non v’è bisogno di dire che non è possibile limitare l’attivo al solo aspetto militare; poiché, come ben sa ognuno che si sia occupato di movimenti di resistenza, le interferenze dei po­litici e le loro ripercussioni non possono e non potrebbero essere escluse dalla condotta delle operazioni, e il significato politico del ruolo svolto dai partigiani, dai Comitati e dalle Missioni collegate con essi, è troppo saliente per essere passato sotto silenzio od ignorato.

     Forse il piano su cui il bilancio può essere preparato è dato dalle espressioni di soddisfazione formulate dal Primo Ministro, dal Coman­dante Supremo Alleato, dal Comandante in Capo, dal Ministro resi­dente, dall’Ambasciatore Britannico, dal Capo della Commissione Al­leata, dai Comandanti delle varie armate, corpi e divisioni, dai Com­missari Regionali e Provinciali, dal Governo Italiano, dal C.L.N.A.I. e dagli stessi capi partigiani. E non v’è alcun dubbio evidentemente nelle loro intenzioni se tali espressioni fossero dettate da senso di giu­stizia o di convenienza.

     Ogni azione pratica è giudicata dal confronto dei risultati ottenuti con il sacrificio sostenuto. Il 1° aprile 1945 v’erano 59 ufficiali inglesi, 66 inglesi di altro grado, e 92 agenti italiani, inviati in zona occupata dal N. 1 Special Force. Da questa parte delle linee v’era lo Stato mag­giore del Q. G. stesso, le due SFSS ed il personale e i mezzi provve­duti dalla formazione costitutrice, per andare incontro alle necessità operative e amministrative dell’unità. È difficile dire a qual numero ammontasse tutto il personale; probabilmente a non più dell’organico di guerra di un battaglione inglese, sebbene naturalmente ci fosse un numero maggiore di specialisti ed una percentuale più alta di uffi­ciali. Al loro debito posto devono pure essere messi gli aeroplani e gli equipaggi dell’aria che portavano personale e rifornimenti alla zona occupata, il costo dei rifornimenti stessi in entrambe le monete ed il lavoro per produrle, nonché la spesa sostenuta per alimentare le missioni stesse, sebbene queste in tutto e per tutta la durata della campagna in Italia rappresentino se non una frazione della spesa totale giornaliera sostenuta da tutta la macchina alleata in Italia. La questione, del resto, si risolve meglio da se stessa, con la considera­zione se questo costo in uomini e materiali sia stato giustificato dai risultati o se esso avrebbe potuto esser speso con maggior profitto nel contribuire alla campagna in qualche altro modo.

23 LA RESISTENZA ITALIANA IN UN DOCUMENTO ALLEATO

     L’azione offensiva intrapresa contro il nemico dietro alle sue stesse linee, le misure prese per prevenire le demolizioni da parte del ne­mico degli impianti e del potenziale industriale, l’amministrazione delle aree liberate sino a che il Governo Militare Alleato poté stabilirvisi, tutte queste operazioni sono state tratteggiate brevemente nelle pagine precedenti, e sono state riconosciute come il principale con­tributo dato dal Movimento Partigiano alla causa Alleata in Italia. In quale proporzione le missioni del N. 1 Special Force, in collega­mento con i Patrioti, li assistettero in questi loro tre assunti?

     Primo, esse furono in grado di dire ai Patrioti quello che gli Alleati attendevano da essi : quale azione militare il Comandante in Capo richiedeva e quando, quali predisposizioni contro-sabotaggio la Commissione Alleata ed il loro stesso governo riteneva opportune affinché l’avvenire dell’industria  assicurare che i territori liberati potessero presto tornare alla normalità. Secondo, le Missioni provvidero una rete di comunicazioni radio che resero pos­sibile che gli ordini e le intenzioni delle numerose autorità alleate fossero con rapidità rese note ai Patrioti; e queste comunicazioni rea­lizzarono, dal punto di vista tecnico, un grado di coordinamento tra gli elementi di resistenza e le forze regolari, nel solo campo militare, che probabilmente è senza parallelo nella storia della guerra. Terzo, le Missioni resero possibile la costante ed equa distribuzione dei ri­fornimenti. Quarto, esse provvidero ogni genere di informazioni, sul­la cui base le armate furono in grado di fondare i loro piani operativi, la Commissione Alleata di attuare determinate predisposizioni ammi­nistrative, i politici e i diplomatici di prepararsi per il futuro. Quinto, con la loro presenza e il loro esempio, esse incoraggiarono e ottennero il massimo rendimento dei patrioti in tutte le loro imprese.

     Infine, essi provarono, al di sopra di ogni dubbio, alla nazione italiana che gli Alleati apprezzavano gli aiuti che i Patrioti potevano loro dare, che noi avevamo compreso le loro sofferenze ed i loro pro­blemi ed eravamo disposti a condividerli, che volevamo assisterli nella loro lotta contro il nemico, rappresentato per essi dal loro passato e sempre presente nazi-fascismo, che noi riconoscevamo nel loro sforzo un atto di espiazione spirituale come un diretto contributo militare alla causa degli eserciti Alleati e che il nostro desiderio di vedere al più presto una Italia nuova, unita e prosperosa, era vivo in noi quanto in loro.